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mi travaglio di più divisioni. Dico bene, che a più aprire lo intendimento di questa canzone si converrebbe usare più minute divisioni; ma tuttavia chi non è di tanto ingegno, che per queste che son fatte la possa intendere, a me non dispiace se la mi lascia stare: chè certo io temo d'avere a troppi comunicato il suo intendimento, pur per queste divisioni che fatte sono, s'egli avvenisse che molti le potessero udire.

XX.

Appresso che questa canzone fu alquanto divulgata fra le genti, conciofossecosachè alcuno amico l'udisse, volontà lo mosse a pregarmi ch' io gli dovessi dire che è Amore, avendo forse, per le udite parole, speranza di me oltrechè degna. Ond' io pensando che appresso di cotal trattato, bello era trattare alcuna cosa d'Amore, e pensando che l'amico era da servire, proposi di dire parole, nelle quali trattassi d'Amore; e dissi allora questo sonetto:

Amore e cor gentil sono una cosa,
Si com' il Saggio in suo dittato pone;
E cosi senza l'un l'altro esser osa,
Com' alma razional senza ragione.

Fagli natura, quando é amorosa,
Amor per sire, e 'l cor per sua magione,
Dentro allo qual dormendo si riposa
Talvolta brieve, e tal lunga stagione.
Beltate appare in saggia donna pui,
Che piace agli occhi si, che dentro al core
Nasce un desio della cosa piacente:

E tanto dura talora in costui,

Che fa svegliar lo spirito d'amore:
E simil face in donna uomo valente.

Questo sonetto si divide in due parti. Nella prima dico di lui in quanto è in potenza; nella seconda dico di lui in quanto di potenza si riduce in atto. La seconda comincia quivi; Beltate appare. La prima si divide in due: nella prima dico in che soggetto sia questa potenza; nella seconda dico come questo soggetto e questa potenza sieno prodotti insieme in essere ; e come l'uno guarda l'altro, come forma materia. La seconda comincia quivi; Fagli natura. Poi quando dico Beltate appare, dico come questa potenza si riduce in atto; e prima come si riduce in uomo, poi come si riduce in donna, quivi: E simil face in donna.

XXI.

Poichè trattai d'Amore nella soprascritta rima, vennemi volontà di dire anche in lode di questa gentilissima parole, per le quali io mostrassi come si sveglia per lei quest' amore, e come non solamente lo sveglia lå ove ́dorme, ma là ove non è in potenza, ella mirabilmente operando lo fa venire. E dissi allora questo sonetto:

Negli occhi porta la mia donna Amore;

Per che si fa gentil ciò ch'ella mira:
Ov' ella passa, ogni uom vêr lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core.

Sicchè, bassando il viso, tutto smuore,

E d'ogni suo difetto allor sospira:
Fuggon dinanzi a lei superbia ed ira:
Aiutatemi, donne, a farle onore.

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente;
Ond'è beato chi prima la vide.

Quel ch'ella par quand' un poco sorride,
Non si può dicer nè tener a mente,

Si è nuovo miracolo gentile.

Questo sonetto ha tre parti. Nella prima dico siccome questa donna riduce in atto questa potenza, secondo la nobilissima parte degli occhi suoi: e nella terza dico questo medesimo, secondo la nobilissima parte della sua bocca. E intra queste due parti ha una particella, ch'è quasi domandatrice d'aiuto alla precedente parte ed alla seguente, e comincia quivi: Aiutatemi, donne. La terza comincia quivi: Ogni dolcezza. La prima si divide in tre; che nella prima dico, come virtuosamente fa gentile ciò ch' ella vede; e questo è tanto a dire, quanto adducere Amore in potenza là ove non è. Nella seconda dico, come riduce in atto Amore ne' cuori di tutti coloro cui vede. Nella terza dico quello che poi virtuosamente adopera ne' lor cuori. La seconda comincia; Ov' ella passa: la terza; E cui saluta. Quando poscia dico « Aiutatemi, donne, » do ad intendere a cui la mia intenzione è di parlare, chiamando le donne che m'aiutino ad onorare costei. Poi quando dico: Ogni dolcezza, dico quel medesimo ch'è detto nella prima parte, secondo due atti della sua bocca; uno de' quali è il suo dolcissimo parlare, e l'altro lo suo mirabile riso; salvo che non dico di questo ultimo come adoperi ne' cuori altrui, perchè la memoria non puote ritener lui, nè sue operazioni.

XXII.

Appresso ciò non molti di passati (siccome piacque al glorioso Sire, lo quale non negò la morte a sè), colui ch'era stato Genitore di tanta maraviglia, quanta si vedeva ch' era quella nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo se ne gìo alla gloria eternale veracemente. Onde, conciossiachè cotale partire sia doloroso a coloro che rimangono, e sono stati amici di colui che se ne va; e nulla sia così intima amistà, come quella da buon padre a buon figliuolo, e da buon figliuolo a buon padre; e questa donna fosse in altissimo grado di bontade, e lo suo padre (siccome da molti si crede, e vero è) fosse buono in alto grado; manifesto è, che questa donna fu amarissimamente piena di dolore. E conciossiacosachè, secondo l'usanza della sopradetta cittade, donne con donne, e uomini con uomini si adunino a cotale tristizia, molte donne s' adunaro colà, ove questa Beatrice piangea pietosamente. Ond' io veggendo ritornare alquante donne da lei, udii lor dire parole di questa gentilissima com' ella si lamentava. Tra le quali parole udii come dicevano: Certo ella piange sì, che qual la mirasse dovrebbe morire di pietade. Allora trapassarono queste donne; ed io rimasi in tanta tristizia, che alcuna lagrima talor bagnava la mia faccia, ond' io mi ricopria con pormi spesse volte le mani agli occhi. E se non fosse ch' io attendea anche udire di lei (perocchè io era in luogo onde ne giano la maggior parte delle donne che da lei si partiano), io men sarei nascoso incontanente che le lagrime m' aveano assalito.

E però dimorando ancora nel medesimo luogo, donne anche passaro presso di me, le quali andavano ragionando e dicendo tra loro queste parole: Chi dee mai esser lieta di noi, che avemo udito parlare questa donna così pietosamente? Appresso costoro passarono altre, che veniano dicendo: Questi che quivi è, piange nè più nè meno, come se l'avesse veduta come noi l'avemo. Altre poi diceano di me: Vedi questo che non pare esso; tal è divenuto. E così passando queste donne, udii parole di lei e di me in questo modo che detto è.

Ond' io poi pensando, proposi di dire parole, acciocchè degnamente avea cagione di dire, nelle quali io conchiudessi tutto ciò che udito avea da queste donne. E però che volentieri le avrei domandate, se non mi fosse stata riprensione, presi materia di dire, come se io le avessi domandate, ed elle m'avessero risposto.

E feci due sonetti; che nel primo domando in quel modo che voglia mi giunse di domandare; nell' altro dico la loro risposta, pigliando ciò ch' io udii da loro, siccome lo m'avessero detto rispondendo. E cominciai il primo; Voi, che portate: il secondo; Se' tu colui.

Voi, che portate la sembianza umile,
Cogli occhi bassi mostrando dolore,
Onde venite, chẻ 'l vostro colore
Par divenuto di pietà simile?

Vedeste voi nostra donna gentile
Bagnata il viso di pianto d'amore?
Ditelmi, donne, chè mel dice il core,
Perch' io vi veggio andar senz' atto vile.

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