El sábado en la aldea Cuando la luz declina, la gentil campesina regresa al pueblo atravesando el llano, el haz de hierba al hombro, y en la mano un ramito de rosas y de violas que, como suele, apresta para adornar en la futura fiesta la cabeza y el pecho. En corro de vecinas y en el portal estrecho, vuelta la cara al sol que desfallece, siéntase para hilar la vieja abuela que sus años consuela con el cuento de historias peregrinas, cuando en las tardes del domingo, ornada, fresca y de pies ligeros, bailaba con los mozos compañeros de la época feliz de sus amores. Ya la luz sus fulgores extingue y densas sombras mueve el turbión de niños y muchachos desde el taller regresa y espera un día de cumplido gozo. Y cuando se ha extinguido todo vago ruido, oigo distinto y claro el golpe del martillo que se afana, antes que nuevo sol el alba encienda. señalarán las horas con su paso, y la usada labor, constante y dura, cada cual, para sí, recuerde acaso. Risueño adolescente, esta tu edad florida es como un día de esperanzas lleno; día claro, sereno, que precede à la fiesta de tu vida. Nada más te diré; pero tu fiesta, no sea nunca para ti enojosa. J. L. ESTELRICH. Canto notturno de un pastore errante dell'Asia Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di rïandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore. Sorge in sul primo albore, move la greggia oltre pel campo, e vede greggi, fontane ed erbe; poi stanco si riposa in su la sera: altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo, mezzo vestido e scalzo, con gravissimo fascio in su le spalle per montagna è per valle, per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, al vento, alla tempesta, e quando avvampa l'ora, e cuando poi gela, corre via, corre, anela, varca torrenti e stagni, cade, risorge, e più e più s'affretta. Senza posa o ristoro, lacero, sanguinoso; infin ch'arriva colà dove la via e dove il tanto affaticar fu vólto ov'ei precipitando, il tutto obblia. è la vita mortale. TOMO I Nasce l'uomo a fatica, ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento per prima cosa; e in sui principio stesso il prende a consolar dell'esser nato. l'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre studiasi fargli core e consolarlo dell'umano stato: altro ufficio più grato non si fa da parenti alla lor prole. perchè reggere in vita chi pol di quella consolar convenga? e forse del mio dir poco ti cale. Pur tu, solinga, eterna peregrina, il patir nostro, il sospirar, che sia; e perir della terra, e venir meno il perchè delle cose, e vedi il frutto del tacito, infinito andar del tempo. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore rida la primavera, a chi giovi l'ardore, e che procacci il veno co'suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille discopri, che son celate al semplice pastore. Spesso quand'io ti miro star così muta in sul deserte piano, che, in suo giro lontano, al ciel confina; seguirmi viaggiando a mano a mano; A che tante facelle? Che fa l'aria infinita, e quel profondo e dell'innumerabile famiglia; poi di tanto adoprar, di tanti moti girando senza posa, per tornar sempre là donde son mosse; uso alcuno, alcun frutto indovinar non so. Ma tu per certo, giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, che degli eterni giri, che dell'esser mio frale, qualche bene o contento avrà fors'altri; a me la vita è male. O greggia mia che posi, oh te beata, che la miseria tua, credo, non sai! quanta invidia ti porto! Non sol perchè d'affanno quasi libera vai; ch'ogni stento, ogni danno, ogai estremo timor subito scordi; ma più perchè giammai tedio non provi. Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe, tu se'queta e contenta; e gran parte dell'anno' senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggio sovra d'erbe, all'ombra, e un fastidio m'ingombra la mente; ed un spron quasi mi punge si che, sedendo, più che mai son lunge da trovar pace e loco e pur nulla non bramo, e non ho fino a qui cagion di pianto, quel che tu goda o quanto, non so gia dir; ma fortunata sei. Ed io godo ancor poco, o greggia mia, nè di ciò sol mi lagno. Se tu parlar sapessi, io chiederei: Dimmi: perchè giacendo a bell'agio, ozïoso, s'appaga ogni animale; me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale? Forse s'avess'io l'ale da volar su le nubi, e noverar le stelle ad una ad una, o come il tuono errar di giogo in giogo, più felice sarei, dolce mia greggia, più felice sarei candida luna, o forse erra dal vero, mirando all'altrui sorte, il mio pensiero: forse in qual forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna, e funesto a chi nasce il di natale. Canto nocturno de un pastor nómada en los desiertos de Asia ¿Cuál es, ¡oh luna!, silenciosa luna, por los desiertos campos; ve las aguas y las praderas ve, y al fin, rendido, ¿De qué os sirve la vida? Dime, ¡oh luna! mi rápida existencia, tu carrera inmortal? ¿Quién me responde? El hombre nace en el dolor. Naciendo |