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ma da tali circostanze non risulta, mi pare, neppur probabile (e, invero, il C. parla solo di qualche probabilità) che il Montanhagol conoscesse Guiraut Amic e Raimon Gaucelm tra il 1241 e il 1245, anno della morte di Raimondo Berengario. Dell'opera di fidi mediatori avranno avuto bisogno i due conti anche prima, durante il non breve periodo delle ostilità.

Il C. riconosce senza esitare (e questo avean fatto già altri, e il Tourtoulon, e lo Chabaneau, e il sottoscritto) il trovatore in quel Montanhagol ch'ebbe la sua porzione nel repartimiento di Valenza incominciato da Giacomo I d'Aragona, nel 1238. Ma il Jeanroy in una sua recensione ') affaccia qualche dubbio, nonostante che il C. rilevi la presenza di molti, qualificati giullari, a quel repartimiento 3). Certo, le omonimie eran frequenti a quei tempi in paesi limitrofi e uniti da antiche relazioni politiche: e, per esempio, il G. Figueira che appare in quella stessa lista di ripartizione è assai probabilmente tutt'altra persona che il famoso autor di serventesi, col quale il C. inclina a identificarlo, e del quale sappiamo che precisamente nel 1238 avea rivolto l'anim, alle cose d'Italia ). Certo molti, nel secolo XIII, recarono quel nome"); e quanto al Montanhagol, esso nella lista del repartimiento è una volta messo in riga coi Barcellonesi) (potrebbe però trattarsi di divisioni regionali di carattere puramente militare) e figura anche nel repartimiento del 1239 *).

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Il Montanhagol si recò probabilmente in Ispagna, secondo il C., per fuggire i rigori dell' Inquisizione. Ma ciò non impedisce, sempre secondo il C., che come poeta egli fosse il genuino rappresentante

1) Cfr. Annales du Midi, Xe année, pag. 346.

Ferrandus

*) Van ricordati, oltre quelli di cui il C. fa menzione, joculator, (Colección de doc. inéd. del Archivo general de Aragona, XI, 337 e 491); "P. joculator et Marquesia uxor ejus, (Ibid., p. 362); G. de Avinione, joculator, et uxor Guascheta, (Ibid., pag. 499); Pintiner juglar, (Ibid., pag. 528); e P. juglar, forse lo stesso che il precedente (Ibid., pag. 565).

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3) Cfr. LEVY, Guilhem Figueira, pag. 5.

*) Un Guillaume Figueira, della famiglia dei Simiane è ricordato da GAUFRIDI, Histoire de Provence, I, 133; un "Wilelminus Figueria Barberius figura come teste in atto commerciale dato a Marsiglia l'11 aprile 1248 (Cfr. BLANCARD, Doc. inéd. sur le commerce de Marseille au moyen âge, II, 61); e, più curioso ancora, nel regesto angioino 1269 B, c. 60A (Arch. di Stato di Napoli) si legge un ordine sovrano in data 11 marzo 1269 al giustiziere d'Abruzzo, perchè faccia restituire a Guglielmo Figueira gli averi tolti a lui ed a suo padre in Sulmona.

) Cfr. Colección cit., vol. cit., pag. 203. 6) Cfr. Colección cit., vol. cit., pag. 527.

d'un'arte accomodata ai criterî degli Inquisitori: i quali condannavano e la pratica e l'espressione dell'amor cortese. .A me era parso che la materia della lirica amorosa si affinasse tra le mani del Montanhagol e d'altri contemporanei per un'artificiosa ma in pari tempo inevitabile esagerazione dei principî che quella materia costituivano ab origine: pare invece al C. che il Montanhagol non ad altro tendesse se non a conciliare la dottrina dell'amor cortese coll'autorità della morale cristiana, unicamente per disarmare il rigore dei chierici. Ma con tale opinione non sono in perfetto accordo le parole che lo stesso C. altrove scrive: "la nouvelle doctrine de l'amour n'est à vrai dire qu'une forme du changement survenu dans l'esprit du temps,; ad essa contraddice giudiziosamente il Jeanroy, allegando 1) qualche passo delle poesie di questo trovadore, in cui, come in tante altre poesie trovadoriche del sec. XII e del sec. XIII, si rimprovera alla donna amata di " ritardar la gioia, dell'amante; e ad essa, pur riconoscendola ingegnosa, non saprei acconciarmi neppur io, che in una delle più notevoli, la più notevole, anzi, delle canzoni del Montanhagol, leggo: "Non hanno tanto detto i primi trovatori in materia d'amore, là, ai bei tempi gioiosi, che ancor noi non facciamo, dopo essi, canti di pregio, nuovi, piacenti e veraci: e invero dir può uomo ciò che non sia stato detto; chè altrimenti non è trovatore buono e fino, se non facendo canti nuovi, gai e ben composti su concetti nuovi d'un'arte nuova Qui io non riconosco il trovatore che e la propria coscienza e l'arte propria umilia davanti alla tirannia trionfante dei chierici: qui io sento la libera elezione d'un'arte nova, baldamente affermata. E quando in una delle stanze che seguono leggo: ma ben v'accerto che meglio uom crederebbe che sua beltà mova dall'alto cielo; chè talmente ella sembra opera di paradiso, che quasi non par terrena la sua grazia,, quando io leggo ciò, veramente mi appare il trovatore atteggiato a quella reverente stupefazione, a cui poi s'atteggerà anche Dante, e in cui il terror dei padri inquisitori non ha e non può aver nulla che vedere.

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D'accordo, dunque, col C., nel riconoscere al Montanhagol il merito della novità: ma un po' di vecchio gli è pur sempre restato addosso, e il C. non manca di rilevare nel suo linguaggio amoroso quel che è comune a tutti i trovatori e, tra l'altro, che amore, singolarmente onorandolo, lo ha scelto a cantare per ricrear gli spiriti. Se non che tale espressione, secondo il C., non ha più in bocca al Montanhagol il suo valore convenzionale; è anzi un tratto preciso, un'allusione al mutamento apportato dall' Inquisizione nello spirito

1) Annales cit., pag. 347.

del tempo. E come qui, dappertutto dove col vecchio linguaggio tradizionale il trovatore esalta il passato a riscontro del presente, egli s'ispira, secondo il C., alla realtà circostante considerata in antitesi ai tempi gai della Provenza libera e festante. Persino la misura, questa virtù delle virtù, a cui inneggiò tutta la poesia didatticomorale di Provenza, per non dir del medio evo, assumerebbe tra le mani del Montanhagol i caratteri precisi d'una virtù positiva, che ha un valore a sè, e non soltanto regola, ma ispira le altre virtù. E in tutto ciò io non saprei consentire col C., perchè, a parte il resto, considero che una poesia la quale scaturisca dalla realtà viva sforza e rompe necessariamente gli argini dei vecchi formularî.

Alla Introduzione, nella quale molto più troverei da lodare ch'io non abbia discusso, seguono i testi razionalmente ricostituiti secondo i vari manoscritti nei quali ci pervennero, e accompagnati da frequenti e larghe note, grammaticali, storiche, esegetiche, non che dalla versione in prosa. Un ricco glossario, finalmente, chiude il volume, al quale si potrebbe invero rimproverar qua e là lungaggini e superfluità. Ma son difetti, questi, inevitabili in un primo lavoro di tal genere. E, nel complesso, la mia modesta opinione è che il volume venga, nella collezione, a fare onorata compagnia al Bertran de Born, il cui autore, A. Thomas, il Coulet ebbe a maestro 1). CESARE DE LOLLIS.

GIUNTA A PAG. 53.

M'importa di richiamare l'attenzione del lettore su due luoghi principalmente dei miei Appunti'. A p. 53, riga 5, prima di ebbene,

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1) Relego in nota qualche osservazione saltuaria. Lo Zenker non dice, come il C. gli fa dire (pag. 32) di Falquet de Romans (io scrivo Falquet, secondo il cod. Vat. 3207, nn. 190-122 dell'ed. Kehrli e Gauchat, e i quattro documenti del 1233 dati dal PAPON, II, Preuves, pagine LXVII, LXVIII, LXX-LXXI; tuttavia cfr. SCHULTZ, Zeitsch. für Rom. Phil., IX, 133) che fu di buona famiglia: sì solo che il giullare Falchetto dovè aver tali qualità personali da esser bene accolto dovunque (cfr. ZENKER, Die Gedichte des Folquet von Romans, p. 31. Halle, 1896). La Leandreide non si può dir senz'altro composta vers le milieu du quatorzième siècle, (pag. 35), specie dopo ciò che ne scrisse OTTOLENGHI, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXIV, 380 e seg.; e i quattro versi che il C. ne cita a pag. 35 furon pubblicati in miglior lezione dal RENIER, Sui brani in lingua d'oc del "Dittamondo e della "Leandreide pag. 18; e cfr. anche MONACI, Testi ant. prov., col. 119. Il n. XI (On mais a om de valensa) fu pubblicato già secondo tutti i mss. da APPEL, Peire Rogier, pagg. 95-96. Al doctor di n. VII, v. 11, che il C. traduce maîtres, fa, mi pare, bel riscontro il doctores con cui Dante spesso nel De Vulg. Eloq. qualifica i primi che poetarono in volgare (Ĉfr., p. es., ediz. RAJNA, p. 40. Firenze, 1896).

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è da leggersi affatto simile è il verso citocado; nella stessa pagina, n. 2, male io ho usato d'una citazione del Meyer, chè in tres pedes v'ha certamente un errore; di modo che cade l'argomentazione ch'io ne deducevo, senza tuttavia nuocer troppo al discorso generale intorno al termine pedes. Meno fortuna ancora trovò nelle mie indotte mani, nè so se gli studiosi me lo perdoneranno, il termine rhythmus, nell'uso del quale troppo facilmente io volli vedere un contrapposto tra AE. e AR. (cfr. p. 39 e p. 47, primo capoverso); ringrazio il professore Ramorino d'avermene avvertito; ne ho fatto motivo di una nota al mio scritto: La Sestina d'Arnaldo e la Terzina di Dante, Milano 1899, al quale rimando l'indulgente lettore anche per altre correzioni (che voglio sperar di minor conto) e per qualche nuova indicazione di terminologia esametrica venuta a mia notizia. G. M.

NOTIZIE

Gl'infortunj della tipografia Vigo di Livorno prima, indi i mutamenti seguiti nella ditta E. Loescher e C. di Roma, hanno tenuto lungamente in forse la continuazione degli Studj. Ora questa sembra assicurata, essendo stata assunta dalla casa editrice Ermanno Loescher di Torino; e a far sì che in avvenire le pubblicazioni possano succedersi più speditamente, il prof. De Lollis da me invitato viene a condividere le cure della direzione. La redazione dei fascicoli procederà come nel passato; ma una aggiunta si è creduto opportuno di farvi, quella di alcune pagine dedicate alla bibliografia e alle notizie sul movimento contemporaneo degli studj neolatini. Con ciò intendiamo di secondare un desiderio che ci fu ripetutamente espresso da più parti; e se per ora la ristrettezza dello spazio concesso dall'editore non ci permette di dar subito a questa parte quella estensione che l'oggetto pure dimanderebbe, confidiamo che in seguito non ci sarà impedito di dedicare ad uno scopo cotanto utile qualche pagina di più. ERNESTO MONACI.

A. Audollent, nella Revue de philologie (luglio 1898), esamina l'ortografia degli antichi lapicidi cartaginesi.

E. G. Parodi nella Romania (XXVII, 177 e sg.) ha preso a trattare del passaggio di V in B e di alcune perturbazioni delle leggi fonetiche nel lat. volgare.

Sulla riduzione dei perfetti -avi in -ai ha una breve nota dello Schuchardt la Zeitschr. del Gröber XXI, 228.

Sul suff. -arius la dissertazione dello Staaff (Upsala, 1898) ha dato luogo nella Z. medesima (XXI, 296-300) ad altre osservazioni del Marchot, che non sembrano essere l'ultima parola sull'argomento.

Un Lexicon Petronianum a cura di I. Segebade ed E. Lommatzsch è uscito a Lipsia (Teubner, 1898).

M. Bonnet, a seguito degli Acta Apostolor. apocrypha del Tischendorf, ha pubblicato un nuovo volume (Lipsia, 1898) contenente altri apocrifi inediti, parte greci e parte latini, sugli apostoli Andrea, Mattia, Pietro, Bartolommeo, Giovanni.

O. Haag nelle Romanische Forschungen, X, 835-936, ha pubblicato uno studio sulla latinità di Fredegario.

Un Rhythmus S. Alexis, da un cod. Admont. del sec. XI attribuito a papa Leone IX, è stato pubblicato dall'Amelli nel fasc. 1° della Miscellanea Cassinese (M. Cassino, 1897).

E. Norden, nella sua opera Die antike Kunstprosa (Lipsia, Teubner, 1898), dopo aver trattato dello svolgimento artistico della prosa classica dai suoi primordj fino al cominciare dell'êra moderna, dedica il resto del volume (pp. 659-960) a illustrare le vicende della prosa fino al rinascimento, trattando di nuovo anche delle origini della rima e delle clausole ritmiche dei dettatori.

G. Mari, del quale in questo stesso fascicolo viene a luce uno studio sui trattati di ritmica latina del medioevo, in un volume a parte teste pubblicato dallo Hoepli, ha messo a stampa una raccolta di quei trattati sotto il titolo: I trattati medioevali di ritmica latina, Milano, 1899.

Sull'origine dei versi italiani ha belle pagine, e preziose per dottrina e buon senso, Francesco d'Ovidio nel Giorn. stor. d. letter. ital., XXXII, 1-89.

Guglielmo Meyer, di Spira, tratta dell'origine dei Mottetti nelle Nachrichten d. Ges. d. W. zu Göttingen, 1898, fasc. 2.

T. Ortolani ha pubblicato sullo Strambotto popolare italiano (Feltre, Castaldi, 1898) un fascicolo che forma la prima parte di uno studio inteso a riassumere tutta la storia dello Strambotto. Cfr. L. Biadene, in Rass. bibliogr. d. letter. ital., vol. VI.

Carlo Salvioni ha comunicato all'Istituto Lombardo (Memorie 1897, Rendiconti 1899) parecchie centinaja di Postille italiane da aggiungere al Lat.-rom. Wörterb. del Koerting.

Di V. Vivaldi, Storia delle controversie intorno alla nostra lingua dal 1500 ai nostri giorni, è uscito il vol. III (Catanzaro, 1898), e si annunzia prossima la pubblicazione del IV.

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S. Pieri illustra la toponomastica delle Valli del Serchio e della Lima in Arch. glott. ital. Suppl. V.

R. Sabbadini ha dato un saggio di toponomastica dell'Isola dell'Elba negli Studi glottologici italiani dir. da G. De Gregorio.

Un fascicolo di Toponimia calabrese ha pubblicato già dal 1895 P. Rolla (Casale, Cassone), e ultimamente C. Avolio ha pubblicato un saggio di toponomastica siciliana in Arch. glottol. ital. Suppl. VI. C. Salvioni nel Bullett. stor. d. Svizzera ital. XIX illustra l'elemento volgare negli Statuti latini di Brissago, Intragna e Malesco; nel XX pubblica varie note di toponomastica lombarda.

A. Trauzzi ha cominciato uno studio su Gli elementi volgari nelle carte [notarili] di Bologna fino al sec. XII, dando in questo primo fascicolo (Bologna, Zanichelli, 1898) una serie di appunti fonetici e morfologici.

Sulla conjugazione nel napolitano ha pubblicato uno studio J. Subak in Neuphilol. Abhandl. aus Jahresberichten œsterr. Gymnasien u. Realschulen (Wien, 1898).

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