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IL "ROMANCE DE LOPE DE MOROS ...

(Nuova ipotesi)

Esaminando il ms. latino 3576 della Biblioteca nazionale di Parigi, il sig. Hauréau scoprì il poemetto ormai conosciuto col titolo di Romance de Lope de Moros e il trattatello in prosa De los diez mandamientos, che, segnalati a Paul Meyer, videro poi la luce nella Romania il 1887 (XVI, pag. 364 e segg.) a cura del Morel-Fatio, il quale vi premise una sobria illustrazione critica per spiegarne l'importanza data l'estrema povertà de' testi castigliani anteriori al sec. XIV-fissarne la cronologia, esporne la materia, dichiararne la metrica e l'origine locale.

Il codice, che è una raccolta di sermoni latini scritti nel mezzogiorno della Francia ne' primi anni del sec. XIII, sarebbe, secondo il Morel-Fatio, passato subito in Ispagna, e quindi, non più tardi del 1630, tornato in patria. Ma esso non conserva nessuna traccia evidente del suo soggiorno transpireneico, poichè i testi spagnuoli poterono benissimo esservi inseriti nella stessa Francia. Quel che si può dire di certo, è che il poemetto e il trattatello sono di scrittura del secolo XIII.

Ne' 263 versi è narrato l'incontro di due amanti e, promiscuamente, un contrasto dell'acqua e del vino. L'amante e autore dice di essere un chierico che amò molto le donne, e Moró mucho en Lombardia

Por aprender cortesia (vv. 1-10).

Studi di filologia romanza, VIII.

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Un giorno d'aprile, trovandosi egli sotto un ulivo, vide tra' rami d'un melo un vaso di vino e uno d'acqua. Questa scaturiva dall'albero: egli ne avrebbe bevuto, se non avesse sospettato che fosse incantata. Quindi, per difendersi dalla caldura, si svesti e si distese sull'erba (11-36). S'avvicinò a una fonte perenne che aveva la virtù di refrigerare per un lungo raggio tutta l'aria d'intorno, ed era circondata da erbe e fiori odorosi. Bevve, colse un fiore e volle cantare; ma ecco avanzarsi una bella ed elegante signora, che, punta da gelosia, cerca il suo amante. I due dapprima non si riconoscono, o per non essersi visti mai, o per essersi divisi da molto tempo si erano amati da lontano, scambiandosi alcuni doni. E questi doni appunto servono a rivelare le persone de' due amanti, che s'affrettano a rifarsi del tempo perduto. Poi la signora va via, lasciando l'amico nel più profondo dolore (36-147). Ciò nonostante il buon chierico è assonnato, vorrebbe dormire, quando la sua attenzione è richiamata da una colombella che s'intromette nel vaso dell'acqua, e, uscendone, rovescia l'acqua sul vino (148-162), dando così occasione a uno de' contrasti tradizionali fra' due liquidi.

Dal testo, assai più che da un breve riassunto, saltano agli occhi di chiunque le discrepanze e le contradizioni contenute nelle varie parti del poemetto, e l'assoluta indipendenza de' due temi, che vi si svolgono senza un almeno apparente. Onde il Morel-Fatio ben s'appose congetturando che i versi del cod. 3576 non dovessero costituire un solo componimento; ma non fu felice allorchè volle dividerli, con un taglio, in due parti: una pastorella (Poème d'Amour) e un contrasto (Débat du vin e de l'eau), assegnando a quella i primi 162 versi, a questo i rimanenti. Non fu felice, perchè i primi 162 versi, oltre al dialogo de' due amanti, contengono elementi essenziali del contrasto, quali, a mo' d'esempio, sarebbero lo sfondo del quadro (vv. 11-36) e l'occasione per la quale i due liquidi vengono a contatto (vv. 148-162). In verità egli confessò di non

aver veduto chiaro nel disegno generale del componimento e in alcuni luoghi del testo; ma non ci disse da qual principio fosse partito per far quella sua divisione, che, sotto. un certo punto di vista, aumenta le difficoltà.

Rimasta così insoluta, o mal risoluta, la questione, si comprende bene come un secondo editore, non potendo, per i motivi a' quali abbiamo accennato, accogliere le conclusioni del Morel-Fatio, dovesse riproporsi il quesito, e giungere a risultati nuovi. Il secondo editore fu il Monaci 1), che volle tornare all'unità primitiva del testo, e diede al poemetto il titolo di Romance de Lope de Moros, deducendolo dall'explicit 2).

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Egli osservò giustamente che la divisione del Morel-Fatio era affatto arbitraria, e attribuì il componimento a un chierico desideroso d'innalzare l'arte sua al di sopra di quella de' giullari e de' trovatori. "L'arte dei clérigos fu studiosa "e ostentatrice di novità quanto quella dei giullari era te"nace alla tradizione, e una novità non doveva parer questa, " in cui due materie abbastanza ripugnanti fra loro, due sog"getti tolti a prestito uno dalla poesia di corte, l'altro " dalla poesia di piazza venivano a fondersi insieme ? Qui " ad una scena idillica si contrappone una scena da trivio, a figure reali e gentili si mettono accanto enti fantastici e bizzarre personificazioni, e quasi a un tempo si "fanno sentire canti e soavi colloqui d'amore, e diverbi e " beffe e vituperi fra nemici irreconciliabili. Un accozza"mento siffatto fu strano per certo e abbastanza umoristico, e sebbene condotto poco felicemente potè pur avere " il suo effetto, recitato all'improvviso, nell'ambiente aulico " cui dovette essere destinato, in mezzo a persone che volevano ridere e divertirsi, 3).

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1) Testi basso-latini e volgari della Spagna, col. 39-43. Roma, 1891. 2) Op. cit., note, col. 99.

*) L. c., col. 100.

Questa arguta spiegazione del Monaci sarebbe in certo modo persuasiva, se dal testo risultasse l'intenzione dell'autore di far cosa nuova, e se l'accozzamento de' temi, più che strano, non fosse addirittura pazzesco. Come mai un chierico poi, per innalzare l'arte sua al di sopra di quella de' giullari, avrebbe lungamente sfruttato un tema popolare, sia pure amalgamandolo con un altro di natura cortigiano? E si può chiamare accozzamento di temi per contrasto quello che ci troviamo innanzi, se le parti del Romance, come son disposte nel codice, non presentano fra loro alcun vincolo ideale? Quel nesso "originario e, per quanto strano, indissolubile, che il Monaci scorge ne' vv. 13-25 e 149-162, prova solo che i citati versi appartengono a un unico componimento, ma non già che hanno relazione con quelli che vi si trovano in mezzo: sono come due terre emerse separate dall'oceano. Si poteva dunque sperare un effetto umoristico da una composizione simile? Dovevano essere molto singolari le persone che nel sec. XIII volevano ridere e divertirsi, se i poeti le servivano e le contentavano così.

Tuttavia dalle ipotesi contrarie e poco soddisfacenti del Morel-Fatio e del Monaci, prese insieme, qualche cosa di vero si può dedurre: cioè, che i componimenti sono due, ma che la partizione fattane è arbitraria.

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Un terzo editore, il prof. E. Gorra, due anni or sono, dopo aver riportato in gran parte le su riferite parole del Monaci, soggiungeva: "Però io non credo che sia neces"sario l'ammettere nell'autore intenzioni artistiche tanto riposte e peregrine, e stimo più naturale il pensare a "una semplice sovrapposizione di due componimenti diversi. "L'autore trovandosi ad avere fra mano due composizioni poetiche, senza dubbio forestiere e molto probabilmente provenzali o francesi, trovò comodo, traducendole nel suo volgare, di riunirle in un solo componimento, senza darsi gran fatto pensiero della discordanza, 1).

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1) EGIDIO GORRA, Lingua e letteratura spagnuola delle origini, p. 217. Milano, 1898.

Il Gorra dunque sarebbe più disposto ad accettare le conclusioni del Morel-Fatio; ma nella riproduzione del componimento si attiene a' criteri del Monaci, e conserva il titolo di Romance de Lope de Moros.

Ora io non so spiegarmi come mai tre illustri e valenti studiosi non abbiano pensato subito a un incastro sconclusionato, o a un raffazzonamento risultante dalle varie parti di due diverse composizioni. Son forse nuovi o rari gli esempi di simili miscele, dovute a copisti ignoranti e pretenziosi? Perchè dunque spiegarsi altrimenti le incongruenze del nostro testo castigliano, e non tentare invece la selezione de' versi che costituivano i due primitivi componimenti e di quelli che per avventura potrebbero essere stati introdotti dall'amanuense col proposito di riparare a qualche stonatura troppo forte?

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Sarebbe molto utile stabilire se il codice soggiornò realmente per un certo tempo in Ispagna, come suppone il Morel-Fatio, o non s'allontanò mai dal suo luogo d'origine. Ma io non ho gli elementi necessari per far quest'indagine, nè credo che ve ne siano. Fu uno Spagnuolo, come sembra al Gorra, che, trovandosi ad avere fra mano due composizioni forestiere, e probabilmente provenzali o francesi, le fuse traducendole nel suo volgare? E perchè dovette trovar comodo di riunirle? E perchè, volendole riunire, le sminuzzò? Ovvero fu un amanuense qualunque che, avendo d'innanzi due componimenti, scritti su pezzi volanti e disordinati di pergamena, li copiò con la buona fede che fossero una cosa sola tratto forse in inganno dal fatto che tutte le due scene si svolgono in un orto pur nutrendo egli stesso de' dubbi su questa integrità, sì da essere indotto ad apportarvi qualche interpolazione e qualche taglio? Data la illogica disposizione delle parti che compongono il Romance, questa ipotesi mi sembra la meno inverosimile.

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