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che mi sembrino più meritevoli di essere segnalati. Qui ne presento un primo saggio 1).

1. addimmidito (gonfiato, detto solo delle parti malate del corpo), da ad tumid-itus (tumid-us); quindi addimmidi (verbo).

2. cavitri (buco), da *cavutulum, dim. di ca v-um. Si ha anche il verbo cavitrua, che rimanda a *cavut(u)lare. Il nesso t'l o d'l dà, di regola, dr. Cf. ficetra (beccafico) da ficed (u)la. 3. irci (dare il maschio alla capra), da *hirc-ire (hirc-us). Il primo i ha suono gutturale.

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4. laanella (lasagna), da laganum. Della desinenza -ella dovuta all'analogia è inutile parlare. La gutturale g innanzi a vocale forte cade; e questa prende un suono gutturale, per es., mao (magus); allina (gallina); liimi (legumi). Il vocabolo poi mi richiama alla mente il noto verso di Orazio (Sat., I, 6, 15): inde domum me | ad porri et ciceris refero laganique catinum che ha affaticato quasi tutti gli interpetri antichi e moderni. Acronio spiega laganum per un cibo di segala sottile come una membrana, cotto in una salsa di pepe. Secondo Isidoro (Orig., XX, 2, 17) laganum è una fetta di pane sottile cotta prima nell'acqua e poi fritta nell'olio; secondo Esichio (s. v. láɣavov) è una focaccia fatta con fior di farina ed olio e cotta in padella. Da queste interpetrazioni sembra che lagana in sostanza siano quelle che noi chiamiamo frittelle, e così spiegano alcuni lessicografi moderni, come il Georges (cf. Lateinisches Wörtb., s. v.). Altri, non soddisfatti punto, ricorrono alle varianti congetturali e invece di lagani leggono lachani (=oleris). Vi sono stati alcuni però che da un passo di Apicio

1) Quest'anno, insegnando nel ginnasio di Campobasso, ho potuto accertarmi che i vocaboli da me raccolti sono usati, con leggiere variazioni fonetiche, in quasi tutti i comuni della provincia. La fonetica del dialetto di Campobasso fu illustrata magistralmente dal D'Ovidio (Arch. glott., IV); tale studio mi dispensa dal recare esempi a conferma dei cambiamenti fonetici che si verificano nelle parole qui esaminate.

(De re cul., IV, 134), dove si parla di un pasticcio (composto di carne dipesci e di pollo, di beccafichi, di uova toste, di olio, vino e pepe), il cui involucro è costituito appunto da lagana, hanno argomentato che queste siano su per giù le nostre lasagne. Questa spiegazione è confermata dal significato del vocabolo che ancor vive nel nostro dialetto e rende chiaro il verso di Orazio, il quale ci fa sapere che la sua parca cena era un piatto di lasagne con ceci e porri; piatto che è ancor oggi comune presso la gente povera.

5. sillecchia (baccello delle fave), da silic(u)la; così pellecchia da pellic(u)la. Il nesso c'l normalmente si schiaccia; pure abbiamo liccla (lucciola) da *luc (u)la (?) e cocla (bugie, cose vuote, pallonate) da coc(u)la (?).

6. jiata (rigonfiamento e allargamento di acque), da (aqua) flata. Vi è anche il verbo inghjata da *inflatare (cf. inflatus). Il nesso fl- passa di regola a ji: jiamma (flamma); jiöre (florem); jimi (flumen). Il suono ghjè dovuto alla n.

7. onnia (ogni cosa). La massaja ricca dice: a la casa meia ci sta onnia onnia (tutto tutto).

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8. cinna (natura della donna), da caenum; il quale vocabolo sta a cunnus come caenio a cunio ( stercus facio). Per il suono i cf. cili da caelum; cicato da *caecatum.

9. acchia (l'insieme di parecchi covoni accatastati in forma quasi di un ago), da ac(u)la. Abbiamo acchione, l'insieme di parecchie acchie. Covone poi dicesi manicchio (manuculum), che può andare insieme con manunchiu, registrato dal Körting.

=

10. fraja (abortire), da *fragiare (cf. fragium rottura). La g seguita da i ovvero da e passa ad j (carajesima: =quâ dragesima; jnri = gen(e) rum; jli= gelum).

11. ingenita (ingenerare), da *ingenitare (cf. ingenit-us). 12. ingalla (mettere su alcuno, impastocchiarlo con parole), da ingallare (cf. Körting, s. v.); va insieme con il francese enjoler, che appunto il Diez fa derivare da ingallare.

13. cúiri (cuoio, pelle), metatetico di corium. Si usa solo nella frase imprecativa: “ti pozzano levá ri cuiri, (= che tu sia scorticato!)

14. vir-ti (tuo nonno, tuo padre); è vir tuus. È comune nel Molise il sufisso pronominale: frati-ti, mammita, sor-da (la d per la t è dovuta all'influenza della r).

15. conqueste (lamento, afflizione), da conquestum. È un vocabolo comune in Montagano, paesello presso Campobasso. 16. kim mu (perchè mai), per assimilazione, da cur mo(do)? La u normalmente dà i (v. n. 11, 12); qui ha influito sulla o, che di regola ha per corrispondente un suono tra la e e l'a francese (mö =mo (do), mönte= montem; döna donat).

=

17. tuanno (frutice), da ta mnum (cf. eauvós). Dal quale nome si è fatto il verbo stanna (togliere dalla vite i frutici inutili) e il sostantivo stanna tira.

18. vituacchii (specie di frutice simile alla vite), da *vitac (u)lum. La a, se non v'è influenza di altra a iniziale o finale, si dittonga: uanne (annum), ualle (gallum), ma annata, allina (gallina).

19. rifölta (serbatoio d'acqua presso i mulini che non hanno abbondanza d'acqua corrente), da (aqua) refulta, cioè acqua

contenuta.

20. kindra (piccola culla), da cun (u)la; va con il romagnolo condla. L'Ascoli spiega il d come insertizio nella formula n'l; il D'Ovidio, a proposito di gondola, vuole che sia dovuto ad un fenomeno di alterazione ascendentale di nn in nd (Arch. glott., IV, 170). Per la dr vedi n. 2.

21. péd ngröne (fusto degli alberi), da *pedunculum+one, terminazione dei nomi accrescitivi. Quanto a ng da ne cf. inghitta (incollare); inga miniato (incamminato), ed ingignia da encaeniare, rinnovare qualche cosa, come abito, cappello, ecc. (Cf. Augustini Tract. 84, in Joann.).

22. sirduacchio (alquanto sordo), da *surda c (u)lus.

23. cipio (prendo), da *cepio, che dovette esistere accanto alla forma capio. Lo usano i poveri di Vinchiaturo (paese) nel ringraziare i loro benefattori:

ciento come cipio,

abbia il centuplo di quello che prendo).

che tu

24. fera (sarebbe), da foret, con la desinenza dei verbi della prima. Si usa nella frase: fera bune, (sarebbe opportuno) per es.

far questo o quello. In altri paesi dicono "fora,.

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25. scerpare usato da Dante e notato dal Diez (Etym. Wörtb., II, 63), per scerpere da discerpere (dis-carpere), vive ancora nel nostro dialetto con il significato originario.

26. camella (vaso di latta per bere e per mangiare), da camella posta da Gellio (XVI, 7), sebbene usata da Ovidio (Fast., IV, 779) tra le voces obsoletas et ex sordidiore vulgi usu petitas. Cf. franc. gamelle, spagn. gemella.

27. ristöccia (stoppia), da *aristoceam (cf. arista); così v'è 'mbaniccia (pappa) da in+paniceam.

28. tantillg (pochino, pochettino), da tantillum.

29. salto (podere, pascolo), da saltum.

30. ingenne (brucia, detto delle ferite infiammate), da incendit. 31. la marasa (nome di una contrada), da lama rasa. Da lama abbiamo lamatira (frana paludosa), la macchione (luogo paludoso), e il verbo allamarsi (infangarsi) da *adlamare se. 32. sine (smetti, lascia, ecc.): si usa come esclamazione di disgusto e di noia, per es.: sine (= vattene); sine, chi bu (= finiscila, che vuoi ?).

33. lice (albeggia, risplende), da lucet.

D. TAMILIA.

LAT. VULG. (DE LA GAULE DU NORD)

*VAUSIO *ESTAUSIO ET *DAUSIO.

Les formes de l'ancien français vois estois *dois (d'où doins) sont restées jusqu'aujourd'hui un problème. On persiste à répéter (par exemple le Traité de la formation de la langue française de Darmesteter, revu par M. Thomas, § 609) qu'elles sont dues à une action de puis, du verbe pouvoir, sans arriver, je crois, à persuader personne. D'abord entre puis ou, si l'on veut, pois, qui existe aussi en ancien français, et vois estois *dois, on ne découvre pas un rapport dans la signification. Une objection beaucoup plus grave est d'ordre phonétique: puis ne peut guère être séparé de son subjonctif puisse, qui a une s sourde, et puisque puis puisse a produit d'un côté ruis ruisse 1), truis truisse, pruis pruisse, comment aurait-il déterminé vois, subj. voise? 2).

1) Il y a une certaine connexion de sens entre ruis, je prie, je demande (la permission), et puis, qui dans certains cas signifie: j'ai la permission. Je crois que puis a d'abord déterminé ruis et celui-ci les autres à cause de l'identité absolue de leurs formes dans la conjugaison presque entière.

2) La meilleure explication de puis puisse n'est pas *pocsu (G. Paris) ni possio venu du subj. *póssia (Meyer-Lübke), c'est possu influencé par les inchoatifs et leur empruntant leur finale, explication qui éclaircit aussi le provençal, ce que ne fait pas *possio.

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