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dipingere questa settimana. Per Dio non è burla, che hora ora mi sopragiugne medesimamente M. Baldassar, il quale dice ch'io vi scriva, che esso s'è risoluto di stare questa state à Roma, per non guastare la sua buona usanza, massimamenté volendo così M. Antonio Thebaldeo. A. V. S. bascio riverentemente la mano et nella sua buona gratia mi raccomando. A. 19. d'Aprile. MDXVI. Di Roma.

No. CLXII.

(Vol. iii. p. 290.)

Tiraboschi, Storia della Letter. Ital. vol. vii. par. iii. p. 101. ILLUSTRISSIMO DOMINO FRATRI OSSERVANDISSIMO, DOM. HIPPOLITO, S. Lucia in Silice Diac. Card. Esten. et Rever. et Illustriss. Monsignore mio, Comen. Et per la lettera de la S. V. Reverendissima, et a bocha da M. Ludovico Ariosto, ho inteso quanta letitia ha conceputa del felice parto mio: Il che mi è stato summamente grato, cussì la ringrazio de la visitazione; et particolarmente di havermi mandato il dicto Monsignore Ludovico; per che ultra ch'el mi sia stato accetto, representando la persona de la S. V. Reverendissima, lui anche per conto suo mi ha addutta gran satisfazione, havendomi cum la narratione de f' opera ch'el compone facto passar questi due giorni, non solum senza fastidio, ma cum piacer grandissimo; ch' in questa, come in tutte le altre actione sue, ha havuto bon judicio ad eleggere la persona in lo caso mio. De gli rasonamenti, che ultra la visitacione havemo facti insieme, Monsignore Ludovico renderà cunto alla S. V. Reverendissima; alla quale mi raccomando. Mantuæ, tertio Februarii, M.D.VII. Prego la S. V. che per mio amore provedi al Gabriele, che ha tuolto per moglie la servitrice de

la

la Fe. Me. de Ma. de quello officio che la gli ha proReverendissima V. S.

messo.

Obseq. Soror, Isabella Marchionissa Mantuæ.

No. CLXIII.

(Vol. iii. p. 340.)

AL SANTISSIMO NOSTRO SIGNORE PAPA LEONE DECIMO, GIOVAN GIORGIO TRISSINO.

AVENDO io già molti giorni, Beatissimo Padre, composto una Tragedia, il cui titolo è Sofonisba, sono stato meco medesimo lungamente in dubbio, s' io la dovessi mandare a Vostra Beatitudine, o no; Perciò, che da l' un de' lati considerando l'alteza di quella, la quale è tanto soprà gli altri uomini, quanto che il grado, che tiene, è sopra ogni altra dignità, e rimembrando ancora la grandissima cognizione, che ha, così de la lingua Greca, come de la Latina, e di tutte quelle scienzie, che in esse scritte si trovano, et appresso vedendo quanta occupazione continuamente le reca il governo universale di tutti i Cristiani, io stimava non essere convenevol cosa il mandare a sì alto luogo, et a sì dotte, et occupate orecchie questa mia operetta in lingua Italiana composta. Ma poi da l' altro lato pensando che sicome vostra Beatitudine avanza ogni mortale di grandeza, così da nessuno è di mansuetudine superata, e che per quantunque gravi, e necessarie occupazioni, mai non si lasciò talmente impedire, che non scegliesse tanto spazio di tempo, che potesse leggere alcuna cosa; e sapendo eziandio che la Tragedia, secondo Aristotele, è preposta a tutti gli altri poemi, per imitare con suave sermone una virtuosa, e perfetta azione, la quale abbia grandeza; e come Polignoto antico pittore ne l'opere sue imitando faceva i corpi, di quello che erano

migliori,

migliori, e Pauson peggiori, cosi la Tragedia imitando fa i costumi migliori, e la Comedia peggiori, e perciò essa Comedia muove riso, cosa, che partecipa di brutteza, essendo ciò, che è ridiculo, difettoso, e brutto; Ma la Tragedia muove compassione, e tema, con le quali, e con altri amaestramenti arreca diletto a gli ascoltatori, et utilitate al vivere umano; le quali cose tutte (com' io dico) da l'altro lato pensando, mi davano tanta confidenzia, et ardire a mandarla, quanto quell' altre m' inducevano a ritenerla. Così adunque tra sì fatti dubbii dimorando, avvenne, che queste ultime ragioni ajutate da i suavissimi costumi di Vostra Beatitudine, e da la inefabile bontà di Quella, rimasero vincitrici; La onde mi diedero tal ardire, ch' io feci deliberazione di offerirle e dedicarle, la predetta mia fatica. A la quale non credo già, che si possa giustamente attribuire a vizio, l' essere scritta in lingua Italiana, et il non avere ancora secondo l'uso comune accordate le rime, ma lasciatale libere in molti luoghi. Perciò che la cagione, la quale m'ha indotto a farla in questa lingua, si è; che avendo la Tragedia sei parti necessarie, cioè la Favola, i Costumi, le Parole, il Discorso, la Rappresentazione, et il Canto; manifesta cosa è, che avendosi a rappresentare in Italia, non potrebbe essere intesa da tutto il Popolo, s' ella fosse in altra lingua, che Italiana, composta; et appresso i Costumi, le Sentenzie, et il Discorso non arrecherebbono universale utilitate, e diletto se non fossero intese dagli ascoltanti. Si che per non le torre la Rappresentazione, la quale (come disse Aristotele) è la più dilettevole parte de la Tragedia, e per altre cagioni, che sarebbono lunghe a narrare, elessi di scriverla in questo Idioma. Quanto poi al non aver per tutto accordate le rime non dirò altra ragione; perciò, ch' io mi persuado, che se a Vostra Beatitudine non spiacerà di voler alquanto le orecchie a tal numero accommodare, che lo troverà, e migliore, e

più

più nobile, e forse men facile ad asseguire di quello, che per avventura è riputato; E lo vederà non solamente ne le narazioni, et orazioni utilissimo, ma nel muover compas- › sione necessario; Perciò che quel sermone, il quale suol muover questa, nasce dal dolore, et il dolore manda fuori non pensate parole, onde la rima, che pensamento dimostra, è veramente a la compassione contraria. Adunque,

Beatissimo Padre, essendo (come dice Plutarco) non minor laude ad un gran Signore l'accettare lietamente le cose picciole, di quello, che si sia il donare agevolmente le grandi; ardirò di pregare Vostra Beatitudine, che si degni di prendere questo mio picciol dono; il quale da sincerità di mente, da fermissima fede, e da ardentissimo amore accompagnato le porgo. Et in questo già non ardisco di dire, che Quella debbia imitare Xerse Re de i Re; al quale un povero villanello, che passare lo vide, non avendo altro, che donare, corse ad un fiume vicino, e raccolse de l'acqua con ambe due le palme, e donogliela; la quale Xerse molto allegramente accettò; e fecegli dimostrazione, che tal dono gli fosse stato gratissimo; Ma ben la esorto a fare, come fa il Re de l'Universo, di cui è Vicario in terra, il Quale risguarda sempre a l'amore, a la sincerità, et a la fede del donatore, e non a la qualità del dono.

No. CLXIV.

(Vol. iii. p.343.)

Trissino, Italia liberata da' Gotthi. lib xvi.

ANCHOR vi volje dir, quel che mi disse
Un amico di dia, ch ira profeta,

ᎠᎥ

Di alcuni Papi, che verrano al məndə
E queste fur le sue parole espesse

La sede in cui sedete, il maggior Pierw,
Usurpata sarà da tai pastori
Che fian vergogna eterna al christanesm
Ch' avarizia, luxuria, Tyrannia
Faran ne' petti lwr l'ultima pruova,
Et haran tutti e lar pensieri intenti

Ad aggrandire i suoi bastardi, e darli
Ducadi, signorie, terre,

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paesi,

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E a i propinqui de la lor bagascie;
E vender vescavadi, benefici,
offici, privilegi, dignitadi,
E swllevar li infami, per denari
Rampere, & dispensar tutte le leggi
Divine, buone, non servar mai fede

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Che faran grandi i Saracenie i Turchi,
E tutti li avversari de la fede;

Ma la lor vita scelereta lorda

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Fia conosciuta al fin dal mondo errante

Onde corregera tutto 'l govern

De i mal guidati populi di Christa.

No.

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