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toris, Die Tricesimo Augusti, Millesimo, quingentesimo, decimo quinto, Pontificatûs nostri Anno Tertio.

Dor.

P. BEMBUS

Garissimo in Christo Filio nostro Henrico Angliæ Regi Illustri.

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Ju. Cardinalis de Medicis pro dicto Polydoro.

Serenissime ac Invictissime Rex et Domine, Domine mihi Colendissime, humilimas Commendationes.

Nisi scirem quâ promptitudine Reverendissimus Dominus meus Cardinalis Hadrianus in causa Collectoris Se gesserit, ut Majestatis vestræ voluntati satisfaceret, quave fide et servitute in eam semper fuerit, minus audacter fortasse scriberem quam nunc facio pro Polydoro ejus Servitore, quem non sine molestia in Carcerem conjectum intellexi.

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Nam quum Reverendissimus Dominus Cardinalis omnia fecerit quæ ex eo petebantur, et Dominus Andreas possessionem Collectoris acceperit, et omnia Acta transacta jam sint, Proindè Majestatem vestram plurimum rogo ne permittat talem Cardinalem et Servitorem suum tantam pati indignitatem, ejusdemque Servitorem sic diutiùs detineri, quem quantum magis ex animo possum, commendo vestræ Regiæ Majestati, et supplico ut dignetur mandare quòd liberetur; in quo faciet Sanctissimo Domino nostro rem valde gratam, Mihi gratiam singularem, et Ipsum Dominum Reverendissimum non mediocriter consolabitur.

Et felicissimè valeat vestra Regia Majestas, cui Me humillime commendo.

Bononiæ,

1

Bononiæ, tertia Septembris, Millesimo quingentesimo

decimo quinto.

Excellentissima vestræ Regiæ Majestatis,

Humilimus ac Fidelissimus Servitor,

JU. CARDINALIS DE MEDICI

Dors.

Serenissimo et Invictissimo Principi Domino, Domino mihi Colendissimo, Domino Henrico Angliæ, &c. Regi.

No. CXXVII.

(Vol. iii. p. 70.)

Fabron. vita Leon. X. p. 93.

DILECTE Fili, salutem et Apostolicam benedictionem. Accepit, quemadmodum Deo O. M. placuit, eas pacis conditiones, quas ei dedimus, Carissimus in Christo Filius Franciscus Rex Christianissimus, libentique animo nobiscum et cum Sede hac Sancta fœdus inivit, quam rem non solum eidem Sedi sed universæ Reipublicæ Christianæ speramus, ac confidimus in Domino maxime utilem et salutarem futuram. Nunc autem. cum existimaremus ad ejusdem Sedis et Reipublicæ dignitatem magnopere pertinere, ut de tota re, ejusque partibus te reliquosque fratres nostros Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinales quam primum consulamus, ut quæ agenda deinceps sint, communi omnium sententia constituantur, peto abs te, ut, omni mora postposita, quod commodo tuo fiat, Viterbium ad nos te conferas, qua in urbe ad 111. Kal. Novembris erimus. Id erit et prudentiæ tuæ ac dilectionis, quam Apostolicæ Sedi Christianoque nomini debes, maxime proprium, et nobis vehementer gratum. Datum Corneti, sub

annulo

annulo Piscatoris die xxi. Octobris MDXV. Pontificatus nos

tri anno III.

No. CXXVIII.

(Vol. iii. p. 75.)

Ex relat. Anon. ap. Parid. de Grassis de ingressu Summi Pont. Leonis X. Florentiam. p. 9.

ENTRO la Santità di Leone X. dolla Porta a S. Gaggio, la quale trovò ornata di un bello e vago arco fatto a similitu-dine di quelli delli antichi Romani; dipoi se ne venne a S. Felice in Piazza, dove trovò il secondo Arco dove era l'immagine di Lorenzo suo Padre con un verso, che diceva : Hic est Filius meus dilectus; il che da S. S. veduto, e letto fu visto alquanto lagrimare; dipoi addirizzatosi su per via Maggio arrivò al Ponte a S. Trinita, il quale trovò ornato di due bellissime macchine: una era all' entrare del Ponte in forma di arco, nella sommità della quale era scritto, Leoni X. laborum victori, e l'altra era di là dal Ponte di verso S. Trinita, e quest' era un' altissima Guglia. Passato il Ponte arrivò a S. Trinita, e dipoi sul canto, dove si abboccano le due strade, una detta Parione, e l' altra Porta Rossa: quì vi era fatto un' altra Macchina in forma di un tondo Tempio, avanti al quale un Vestibolo in forma di Luna, nel fregio del quale erano lettere, che in sostanza significavano esser questa Città in protezione di due Leoni, e due Giovanni felicissimamente posarsi, intendendo per l'uno il celeste Batista, e per l'altro il terrestre de' Medici: dipoi addirizzandosi su per Porta Rossa, arrivato in Mercato Nuovo, quivi trovò un' altissima Colonna molto ben Gavorata, dipoi per Vacchereccia arrivò in Piazza de' Signori, dove sotto gli archi della Loggia, che de' Tedeschi si chiama, era fatta una grandissima Statua di Ercole colla Clava in sulla spalla, dipoi tor

cendo

cendo verso il Leone, che è sul canto della Ringhiera, quivi trovò un altro arco bellissimo, il quale era diviso in quattro, e per il suo mezzo faceva due strade, posato su otto bianchissime Colonne scannellate, nella sommità del quale era scritto: Leoni X. P. Max. propter merita; e così passando dal Sale, e da i Gondi arrivò al Palazzo del Potestà, dove era dirimpetto a Badia fatto un superbissimo arco, e allato alla Porta di detta Badia ve n' era fatta a similitudine di quella un' altra finta; e questo per non essere la detta Porta a dirittura nel giusto mezzo della via del Palagio a tale che la falsa dalla vera non si distingueva, e sopra quest' arco fu scritto: Leoni X. Pont. Max. Fidei Cultori; e seguendo la strada dal Canto de' Pazzi, e venendo da' Fondamenti quivi sul canto d' onde prima si scuopre la Cupola trovò un altro arco bellissimo, il quale sembrava tutto di rosseggiante Porfido, e per la sua mirabile struttura fu tenuto il più bello di tutti gli altri, nella sommità del quale era scritto: Spes ejus in Domino, Leo X. Pont. Max. e girando dietro a essi Fondamenti pervenne in sulla Piazza di S. Gio. dove la faccia di S. Maria del Fiore era tutta rifatta da terra fino alla cima del tetto, e mostrava con bellissima invenzione essere tutta di pallidi marmi, che per loro stessi denotassino per lunghezza del tempo, e per le continove piogge essersi dalla lor atural bianchezza neli colore dell' orientali perle trasformati.

La Chiesa dentro fu molto sontuosamenta ornato, e parata, e fatto un palco dentro in Chiesa, alto da tre cubiti, e largo dodici, il quale, cominciava dalla Porta principale, e andava a dirittura su per il mezzo della Chiesa fino all' Altar Maggiore, su per il quale camminando il Pontefice, con quelli che erano seco, la sua benedizione al Popolo che in sul basso pavimento della Chiesa era largamente donava, e cosi per quello si condusse all' Altar Maggiore, dove fatte le debite solenni cerimonie S. S. si cavò il Regno di testa, e fu

dato

dato a quello de' quattro Prelati, che di sopra dicemmo, il quale non lo aveva, e dipoi si cavò di dosso li paramenti, e rimase in bianchissimo Roccetto, sopra il quale si messe la Mozzetta di velluto rosso con il Berrettino in testa del medesimo, nel quale abito fece il resto della Via per infino al suo alloggiamento, e così uscendo di Chiesa, e passando dal Canto alla Paglia arrivò al Canto de' Carnesecchi dove era fatto un vago, e bellissimo Arco con 10 Ninfe, che cantavano, e trall' altre in un quadrato era dipinto un Leone, che colla propria lingua curava le piaghe di un ferito corpo, con un motto, che diceva: Omne dulce in ore Leonis.

Dipoi arrivato in sulla nuova Piazza di S. M. Novella, nel mezzo della quale era fatto un bello e grandissimo Cavallo, a similitudine di quei due, che sono in Roma a Monte Cavallo: Dipoi si transferrì in Via della Scala, e alla Sala, detta del Papa, dove era preparato il suo alloggiamen: to. Era con bella invenzione fatta una bella macchina all' entrare di detta Strada, e all' entrata di detta Sala un' altra, sebbene l'intenzione dell' Artefice, che quivi lavorò, era, che tal lavoro fosse continovata dall' entrata della strada per infino alla Porta della Sala; ma dalla brevità del tempo impedito, non potette condurre a perfezione se non le dette due parti principali.

No. CXXIX.

(Vol. iii. p. 76.)

Parid. de Grassis, de ingressu Leon. X. Florentiam. p. 1.

CUM per diversa loca Agri Florentini Pontifex solatianter spatiatus esset, et denique in Villa, quæ de Marignolle permansisset,

VOL. VI.

C

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