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Et oltre a ciò ogni

dre, che non mi tenga nello Stato suo. dì mi si sono scoperte insidie di veneno, e di ferro, lequali tutte attribuisco ai miei malevoli, non alla Santità di Nostro Signor, che sò bene essere impossibile, che con la clementia, e bontà sua fusse congiunta una cosi ardente sete del sangue mio, et una così perfida ingratitudine contra di me, dal quale (lasciando le cose più vecchie, che facilmente si scordano) Sua Santità, e tutti i suoi hanno ricevuti infiniti benefici in quei tempi che la Casa sua era ne' termini, in che hora ha posto me. Ma quelli che hanno procurato, e tuttavia procuravano la mia ruina, procurano ancora l'infamia di Sua Santità; e credendo lor quella tanto come fà, à me era necessario per vivere di andare in Turchia. Sforzato io dunque da queste cause mi son posto à venire verso Casa mia con opinione che se bene la morte me ne seguisse, non me ne debba seguire almeno infamia. Che se à Sua Santità essendo Cardinale con istimation grandissima, e con modo di vivere in dignità fu lecito far una tanta, e cosi crudele occisione in quella povera Terra di Prato per entrare nella Patria sua come Cittadino, della quale egli era in esilio; molto più debba esser lecito à me, esule non d'una Città ma di tutta Christianità, e privo non che delle Dignità temporali, ma quasi del vivere, e de' Sacramenti della Chiesa, e del Commercio degli huomini in una così atroce persecutione, nella quale contra lo Stato, e la vita, e l'Anima mia si adoperano l'Armi Temporali, e Spirituali essermi lecito (dico) cercare d'andar nella Patria, della quale, e per giudizio di tutti i miei popoli, e d'ogn' altro, eccetto che di Sua Santità, sono legittimo Signore. Supplico adunque le Signorie Vostre Reverendissime per quella misericordia, che si deve à coloro, i quali sono posti in calamità senza colpa, che si degnino trovando qualche modo, ò via di mitigare l'animo del sommo Pontefice, essere mie protettrici, ch'io non posso stimare l'auttorità loro, e la natural bontà di Nostro Sig. con la innocentia mia non debbiano spezzar la durezza, che nell'ani

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mo

mo di Sua Santità hanno edificata le labbra inique, e le lingue dolose de'miej avversari. Et io per ricuperare la gratia di quella non ricusarò sorte alcuna di sommissione, o ancor di pena sopportabile, E se pure io non merito di ottenere da lei misericordia, degninsi almeno le Signorie Vostre Reverendissime favorirmi tacitamente con gli animi, e pensieri loro, a raccommandarmi con efficacia alla infallibile bontà, e giustitia di Dio. E se li miei successi saranno prosperi (com'io spero) riconoscerò lo Stato, e la Vita dalle Signorie Vostre Reverendissime, con opinione, che la Maestà Divina habbia esaudito i loro giusti desideri, e per li loro meriti m'habbia havuto in protettione. E cosi parimente se le mie picciole forze non saranno oppresse dal gran cumulo della Potentia di N. Signore accompagnata dall'Arme spirituali, e da quelle di tanti altri Prencipi, sarà miracolo espresso, e buon testimonio che l'innocentia mia, condannata da gli huomini in Terra, sia da giudice maggiore e più giusto assoluta nel Cielo. Et alle Signorie Vostre Reverendissime humilmente baciando le mani, di continuo in buona gratia loro mi raccommando.

No. CXXXIX.

(Vol, iii. p. 141.)

Rymer, Fœdera. tom. vi. par. i. p. 135.

Papa ad Regem, pro Subsidio contra Hostes Ecclesiæ.

CHARISSIME in Christo Fili noster, salutem et Apostolicam Benedictionem.

Non veremur ne Majestas tua nostram, quam de ea capimus fiduciam, in optimam partem non accipiat ejusdem Fidej et maximi amoris quo illam semper prosecuti sumus:

Et

Et quia existimamus pristinum illum suum animum Sedi Apostolicæ durissimis in rebus subveniendi perstare in eadem voluntate, auctamque potius ejus animi magnitudinem fructu tantæ gloriæ quantam ex similibus actionibus aliàs consecuta est quàm diminutam esse;

Nos quidem certè, quamquam maximis nostris et ejusdem Sanctæ Sedis angustiis difficultatibusque pressi ad hunc diem usque, nihil Tibi oneris imponere, nullam Majestati tuæ inferre molestiam sustinuimus, non de tua voluntate, pictate erga nos et eandem Sedem benevolentia dubitantes, sed quod in Te certissimum rerum nostrarum perfugium usque ad extremam necessitatem voluimus esse illibatum atque in

tactum,

Nunc verò cuperemus te cernere oculis, quibus rapinis et depopulationibus, quanto furore et scelere perditorum et nefariorum Hominum Status Ecclesiasticus hujusque simul Sanctæ Sedis Dignitas vexetur, laceretur, diripiatur, cùm nihil Latronum avaritiæ libidini crudelitati obstet; non pudor a stupris nefariis, non Religio a Sacris et Locis et Rebus violandis, non misericordia a cædibus Eos coherceat, quæ Nos ut reprimeremus exhausimus jam omnia ferè et hujus Sanctæ Sedis et èorum qui communem Rem Ecclesiasticam ita afflictam dolent subsidia, nè quid de nostra Dignitate decederemus, nè sceleratis Hostibus facilem cursum suæ improbitatis faceremus.

Sed cùm, si volumus salvam Ecclesiasticam esse Rempublicam majore conatu et viribus nobis opus sit, unique, inter Reges Christianos Principes, tuæ Majestati præcipuè confidamus, petimus a te et hortamur Majestatem tuam in Domino, summoque affectu requirimus, ut, quod aliàs consuevisti, tuique præstantissimi Animi est proprium, subvenire in tantis angustiis, difficultatibus, indignitatibus, huic Sanctæ Apostolicæ Sedi communi Matri Fidelium cunctorum

tuâ

tuâ curâ, prudentiâ, opibus, facultatibusque quamprimùm velis.

Quem autem in modum et qua potissimum ratione videatur expedire et tua Majestas pro sua prudentia cogitabit, et Dilectus Filius Nicolaus Scomber Ordinis Prædicatorum noster Familiaris, istuc hac præcipuè de causa missus, cum eadem communicabit; cui eam nostro Nomine alloquenti Majestas tua fidem summam adhibendo ita secum reputabit, neque hoc majus erga Nos beneficium ab ea proficisci posse neque ipsius laudi et nomini magis honorificum fore quicquam, quàm si ad suam peculiarem Virtutem et Gloriam se converterit, præstare Sanctam Romanam Ecclesiam ab Insidiis et Latrociniis Impiorum Salvam atque Tutam.

Dat. Romæ apud Sanctum Petrum, sub annulo Piscatoris, die vicesimo Junii millesimo quingentesimo decimo septimo, Pontificatûs nostri anno quinto.

JA, SADOLETUS,

Carissimo in Christo Filio nostro Henrico Regi Angliæ,

No. CXL.

(Vol. iii, p. 461.)

Leoni, Vita di Fr, Maria Duca d'Urbino,

COMMISSIONE à voi Capitano Suares, et Oratio Florida di quanto in nome mio harrete à procedere, e far intendere all'Illustrissimo Signor Lorenzo de' Medici,

E prima, Essendo che non poca laude si conceda à ciascuno Prencipe, che per qual causa si vogli farci Guerra,

quando

quando si sforza che con meno sangue, e danno del Paese, che possibile sia, si ponga fine alla sua intentione; e tanto più quello, che pure si persuade doverne restare patrone. Nel qual concetto persuadendomi, che'l prefato Signor Lorenzo sia, ingannato forse più presto dalla fama, che dalla conscienza; ho pensato cosa all'uno, et all'altro di noi convenientissima. Perche se tanto lui desidera questo Stato, come la passata e presente Guerra mi dimostra, gli sia carissimo trovare modo, che con prestezza, senza più grave peso di questi popoli, mostrando il valor suo, e delle sue genti à satisfarsi. E però per tal rispetto a voi Capitano Suares, et Oratio, commetto, che espeditamente lo dobbiate chiamare à combattere in luogo qual voglia à IIII. mila per IIII. mila; o III. mila o II. mila; o mille; o cinquecento; o cento; o venti, o quattro, et il minore numero che gli piaccia, purchè ciascuno di noi ci intravenghi, e che siamo a piede con arme da Fanti e piede, come vanno alla Guerra. vuole ambedui noi soli con arme, che con prestezza troyar si possa, più mi fia caro; e dove, o per la prigione, o per la morte di uno di noi il vincitore con più satisfattione d'animo darà fine al suo disìo, et al languire di molti.

Et in ultimo se

Giudico dunque che per il valore di sua Signoria, e di molti che gli sono appresso, che fanno la medesima professione di honore, queste ragionevoli offerte gli saranno carissime; però al vostro ritorno mi riportarete à qual più esso si risolva, acciò possa dal canto mio espeditamente provedermi. Mando il termine di tre giorni per la risoluta disposta aggiongendo ancora al combattere del numero grosso piacendogli fare combattere CCC. Cavalli Leggieri con altritanti delli suoi pure alla leggiera accappati dalle Compagnie, cioè che ogni Capitano ne elegga tanto numero della compagnia propria e non d'altrove, ch'arriva alla somma delli CCC. con Lancia, Spada, Pugnale, e Mazza. E quando le sopradette conditioni non gli piacessero (il che non credo) vi ricordarete

offerire,

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