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LA NELLA

189 dei suoi conforti su per la montagna, quel Virgilio appunto a cui egli s'era dato per sua salute.

Che se Forese è oramai sulla via della salvazione, ei non deve ciò a meriti propri. Per pentirsi della vita scioperata, avea aspettato che gli venisse meno la possa del peccar più; ma c'era stata una donna gentile che (Purg. XXIII, 88)

Con suoi preghi devoti e con sospiri

gli aveva accorciata la lunga e dolorosa via del purgatorio, aveva cioè fatto in pro del marito morto quel che la morta Beatrice operava nel cielo in pro del suo fedele mal vivo. La Nella, la « più cara e più diletta » a Dio tra le donne fiorentine, quella di cui egli stesso, Dante, aveva osato profanare gli affetti pudichi in uno degli sgraziati sonetti scambiatisi con Forese, era appunto una Beatrice terrena, una donna cioè che conservava quaggiù, nella Barbagia fiorentina, un cuore d'angelo; mentre l'altra era tornata fra gli angeli, dopo d'aver solo per poco pellegrinato quaggiù sotto le sembianze di donna. L'una compiva il suo miracolo d'amore rimanendo in terra, gli occhi levati al cielo; l'altra nel cielo, impetrando pel traviato ispirazioni e visioni. Forese però non era stato che un buontempone e soprattutto un ghiottone; non così Dante, che poteva assomigliarsi a un campo rigoglioso per << buon vigor terrestro» divenuto « maligno e silvestro col mal seme e non colto » (Purg. XXX, 118-20). E perchè la sua conversione possa avvenire, conviene che Beatrice discenda all'uscio dei morti e commuova in suo aiuto Virgilio. Alla salvazione di Forese invece è bastata la Nella. Buono per il Cavalcanti se si fosse anch'egli dato per tempo a Virgilio! Ma disdegnando una guida siffatta, egli, vivo, non s'era potuto accompagnare a Dante nel pellegrinaggio espiatorio, e, morto, si comprende che forse lo aspetti l'arca infocata dove già sono stipati con più di mille il padre e il suocero.

Virgilio poi non incoraggiava Dante alle presentazioni; e non tanto per eccessiva modestia, quanto per un giusto senso di discrezione. Ben egli saprà, occorrendo, ricordare i suoi « alti versi » (Inf. XXVI, 82) e la sua « alta tragedia » (XX, 113); ma perfino a Stazio non si sarebbe manifestato se Dante non ve lo avesse quasi costretto con l'ingenuo sorridere ed ammiccare. Al solo Sordello, perchè mantovano, si dà a conoscer volentieri. Guidato dal fren dell'arte, il poeta evitava di moltiplicare scene simili, e in omaggio all'abituale rapidità del suo stile, e per non nuocere a quegli effetti drammatici che si riserbava cavare da situazioni meglio opportune1. E chi consideri che egli « da più d'un accenno lascia scorgere che non intende mica registrar nei suoi versi tutto addirittura quello che nel viaggio ha visto, udito e detto » 2, ammetterà facilmente che qualche altra volta la presentazione dev'esser avvenuta, quantunque dalle parole del poema non si cappia. Non è, per esempio, riferito che Dante dica il suo nome a Currado Malaspina, nè che si faccia riconoscere ad altro indizio; eppure questi sa profetargli le accoglienze che di lì a qualche anno gli saranno fatte in Valdimagra (Purg. VIII, 109 ss.).

In conclusione, a ser Brunetto Dante non ha creduto necessario od opportuno presentar la sua guida; gli basta lasciargli intendere che non è corpo umano, e perciò gli dice: « questi m'apparve ». Benchè uomo colto, il notaio guelfo non aveva avuta nessuna intimità di spirito col poeta dell'impero romano; e la riverenza che, senza dubbio, anche lui gli avrebbe dimostrata, sarebbe stata prodotta da motivi affatto estrinseci, tali cioè da non poter appagare l'animo di Dante 3.

1 V. indietro, p. 31-33.

2 D'OVIDIO, Il tacere è bello, p. 5. V. indietro, p. 178.

3 Meritan d'esser ricordate la chiosa d'un antico e quella d'un moderno. Il BUTI: l'autore ha dimostrato Virgilio, e detto che è sua guida; lo

LE CITAZIONI DI OVIDIO

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X.

Pur con Ovidio, che prescelse come sua guida in un episodio del Tesoretto, il Latini si mostra in rapporti superficialissimi. Tre volte appena lo ricorda nel Tresors1: l'una per riferirne la sentenza: Vainc ton corage et ta ire, tu qui vains toutes choses » (p. 352); l'altra, pel verso: « L'aigue qui sovent ne se muet devient porrie; autressi devient li hom chaitis por estre oiseus » (p. 398), che nel testo è Ut capiant vitium ni moveantur aquae; e la terza, per raccontar di lui un particolare che non ci è pervenuto per altre vie. Parlando

quale ben vedea ser Brunetto, ma non sapea se andava come guida o come compagno. Ora per la demostrazione è fatto certo ch'elli si è guida. E puossi vedere che lo nostro autore non sanza intendimento finse queste domande fatte da ser Brunetto....; per dimostrare a ser Brunetto, come a filosofo et astrologo, che non aveva conoscenzia di Virgilio che era poeta. E PHILALETHES (D. Alighieri's Göttl. Comödie; Leipzig 1868, vol. I, p. 105): Man will behaupten, Dante nenne in seiner Antwort den Virgil nicht, obgleich Brunetto nach seinem Namen fragte, weil dieser Letztere den Mantuaner nicht genug geachtet und denselben im ganzen Tesoro unter den unzähligen Citaten aus Cicero, Seneca, Boëthius, den Kirchenvätern, Horaz und Juvenal etc. nur zwei- bis dreimal citirt habe».

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Accade però nel Tesoretto di trovar riferite, senza citazione di autore, opinioni o sentenze che o son proprie di Ovidio o si riscontrano anche in lui. Così, vv. 613 ss.: «Che 'nanzi questo [peccato], tutto Facea la terra frutto Sanza nulla semente O briga d'om vivente Metam. I, 109: Mox etiam fruges tellus inarata ferebat; e 102:.... per se dabat omnia tellus (cfr. Purg. XXVIII, 69: « l'alta terra senza seme gitta, e 116: ....alcuna pianta Senza seme palese vi s'appiglia = Metam. I, 108: natos sine semine flores. Cfr. Genesi I, 11 e 12; III, 19). · Vv. 653-4: Si come dice un motto: La fine lola tutto > Her. II, 85: Exitus

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acta probat. Vv. 689 ss.: «Ma l'omo ... 'n alto a tutte l'ore Mira, per dimostrare Lo suo nobile affare... › — Metam. I, 85: Os homini sublime dedit, caelumque videre (cfr. Tresors, p. 23: « Por ce fist Diex en tel maniere home, que sa veue esgarde tozjors en haut, par senefiance de sa dignité). E nel Favolello, v. 89 ss.: < Che come la fornace Prova l'oro verace,... Così le cose amare Mostran veracemente Chi ama lealmente > Trist. I, 5, 25: fulvum spectatur in ignibus aurum. Ma ognuno intende come siffatti riscontri non possano provare una conoscenza diretta dei poemi di Ovidio.

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dell'uccello ibis, esce a dire: « et sachiez que Ovides li très bons poetes, quant li empereres le mist en prison, fist I livre où il apeloit l'empereor par le non de celui oisel; car il ne savoit penser plus orde creature » (p. 213) 1. Ma è pur degno di considerazione che egli, prima di Dante, in un poema allegorico, si lasciasse soccorrere da un poeta latino.

Non già che, se il Tesoretto non ci fosse stato, il più giovane dei due poeti fiorentini non avrebbe sentito il bisogno, pel suo strano e difficile viaggio, d'un esperto che gli mostrasse il cammino. Lo stesso Enea non vi s'era avventurato senza la scorta della Sibilla. E, nelle visioni medievali, nessun pellegrino va solo pei regni d'oltretomba. Tundalo è condotto da un angelo; frate Alberico da san Pietro; sant'Anscario da san Pietro e da san Giovanni; un Giudeo da Maria; un cava. liere da san Benedetto; san Paolo medesimo, in quella leggenda che si venne formando, sui vaghissimi accenni lasciati dall'apostolo nella seconda lettera ai Corinti (XII, 2 ss.), intorno al suo rapimento « nell'empireo ciel », è guidato da san Michele. Ma tutte codeste erano, si badi, guide sacre; chi invece conduce Dante è, nonchè un profano, un poeta pagano che non ebbe fede, appunto come il poeta che conduce Brunetto pel labirinto amoroso 3. Se Ovidio era esperto delle arti dell'amore, Virgilio era della topografia infernale. E non solo per quella tal quale conoscenza che tutti i dannati mostran d'averne, ma e perchè già un'altra volta aveva percorso il paese, congiu

1 L'ELLIS, nel suo accurato volume P. Ovidii Nasonis Ibis ex novis codicibus ecc. (Oxonii, 1881), non fa cenno di questa strana congettura. Egli confuta quelli che additavano nell'ibis o un Corvino o C. Giulio Hygino o il poeta Manilio (p. XIX), e per conto suo propone l'astrologo Thrasyllus, ricordato da Svetonio quale commensale di Augusto e da Tacito quale cortigiano di Tiberio (p. XXVI).

Dopo di lui, ma non so se anche dietro il suo esempio, Guglielmo di Deguilleville, monaco cisterciense morto circa il 1360, nei suoi Pelerinages de la vie humaine, de l'âme, e de Jesus-Christ, introduce Ovidio per farsi ammaestrare, chi lo immaginerebbe?, circa le maggiori verità della fede.

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rato dalla cruda Eritone 1, e perchè un inferno aveva alla meglio tracciato anche lui.

L'episodio è forse il più vivace del Tesoretto, e ad ogni modo è di quelli che meglio lasciano scorgere i germi della creazione dantesca 2. Licenziato da Prodezza, ser Brunetto si avvia al regno dell'Amore (v. 2177 ss.):

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Or si ne va 'l Maestro

Per lo camino a destro, 3
Pensando duramente
Intorno al convenente
De le cose vedute;
E sson maggior essute
Ch'io non so divisare;
E ben si dee pensare,
Chi ha la mente sana
Od ha sale 'n dogana,
Che il fatto è smisurato,
E troppo gran dittato
Sarebbe a ricontare. *

Ben so il cammin, però ti fa securo: Inf. IX, 30. Cfr. D'OVIDIO, Dante e la magia, nella Na. Antologia del 16 sett. 1892, p. 213 ss. 2 II GINGUENÉ (Hist. littér. d'Italie, pt. I, ch. 8, vol. II, p. 12) fu forse il primo a considerare il Tesoretto com'una delle fonti della Commedia. Dopo d'aver brevemente riassunto l'argomento del poema, egli concludeva: «Voilà donc une vision du poëte, une description de lieux et d'objets fantastiques, un égarement dans une forêt, une peinture idéale de vertus et de vices; la rencontre d'un ancien poëte latin qui sert de guide au poëte moderne, et celle d'un ancien astronome qui lui explique les phénomènes du ciel; et voilà peut-être aussi le premier germe de la conception du poëme du Dante, ou du moins de l'idée générale dans laquelle il jeta et fondit en quelque sorte ses trois idées particulières du Paradis, du Purgatoire et de l'Enfer » . II DELIUS (op. cit., p. 11 ss.) ha poi esaminate più minutamente le somiglianze che il massimo nostro poema mostra di avere con l'umile suo precursore. È degno di nota che in qualche antico codice si trovino insieme il grande e il piccolo poema. Così nel c. 14614 della Biblioteca Reale di Bruxelles, del sec. XIV, esaminato dal NOVATI (Rassegna bibliografica del D'ANCONA, a. II, 1894, p. 44-5); e così nel Corsiniano 44, G, 3, della fine del sec. XIV (cfr. Bull. Soc. Dant., n. s., I, 143).

3 Inf. X, 1-3: Ora sen va per uno stretto calle.... Lo mio maestro ». * Inf. XXXII, 1 ss.: S'io avessi le rime.... Io premerei di mio concetto il suco Più pienamente.... Chè non è impresa da pigliare a gabbo.... ». IX, 61: O voi che avete gl'intelletti sani.... ». - Par. I, 5: «e vidi cose che ridire Nè sa nè può chi di lassù discende ». · Inf. IV, 146: « sì mi caccia il lungo tema Che molte volte al fatto il dir vien meno ».

SCHERILLO, Biografia di Dante.

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