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BENEDETTA COLEI..... "

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l'eccelso poeta dei tempi nuovi, benedicono, per bocca della maggior musa dei Latini, lei che lo portò nel seno:

Benedetta colei che in te s'incinse!

Così appunto aveva esclamato una popolana ebrea ascoltando la mite e celestiale parola del giovane profeta di Nazareth: Beatus venter qui te portavit, et ubera quae suxisti! 1.

In quel verso, e non sono io il primo a notarlo, è l'unico accenno che nel poema Dante faccia alla madre '; e in tutte le altre opere, non troviamo ricordo di lei se non in quel luogo del Convivio (I, 13), in cui riconosce dalla lingua volgare il beneficio dell'essere. « Questo mio volgare », egli dice, <<< fu congiugnitore delli miei generanti, che con esso parlavano, siccome il fuoco è disponitore del ferro al fabbro che fa il coltello; per che manifesto è lui essere concorso alla mia generazione, e così essere alcuna cagione del mio essere ». La sua indole era naturalmente schiva dall'ostentare in pubblico i pudichi affetti della famiglia; e in codesta ritrosia lo confortavano e gli esempi dell'arte classica e la consuetu

1 LUCA, XI, 27.

3

2 Il qual verso fu anch'esso stranamente letto e interpretato. Qualche antico, invece del s'incinse, lesse s'incese, e credette il poeta parlasse di Beatrice, spiegando: « beata illa Beatrix quae se incendit amore tuo, quae sic incensa venit ad me Virgilium ut ducerem te per istum Infernum, ubi videres iustam vindictam superborum, et disceres sic spernere eos ». Ma BENVENUTO, che riferisce questa chiosa, la condanna perchè gli pare un po' sforzata, magis violentata. Per conto suo, considerava il s'incinse quasi un vocabolo creato da Dante, e supponeva suggeritogli dal fatto che, quando la madre lo portava nel seno, cingebat se super ipsum. (ISIDORO invece avea scritto: incincta praegnans, eo quod est sine cinctu »). L'ANONIMO FIORENTINO però: In te, cioè sopra a te; o veramente se. guitando il volgare antico, che dicono molti d'una donna gravida: ella è incinta in uno fanciullo, cioè ell'è gravida ». L'Imolese poi cadeva in un curioso equivoco, confondendo la madre con la moglie di Dante: Et hic nota, lector, quod mater Dantis fuit vere beata: vocata est enim Gemma, et tamquam gemma praetiosa misit tantam lucem in mundum ». 3 Pare sicuro che di Orazio Dante non conoscesse se non le Satire, almeno di nome, e l'Arte poetica; ad ogni modo, anche Orazio non nominò

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dine della nuova e i costumi del tempo. La poesia di quelle fortunate massaie non consisteva nei sonetti o nelle ballatelle, bensì nel vegliare a studio della culla e nel trarre alla rocca la chioma '; e il poeta esiliato, pur levando inni sempre più forbiti alla gloriosa donna della sua mente, ripensa con angosciosa nostalgia al suo nido, dove ha lasciato « ogni cosa diletta più caramente ». È solo un singhiozzo ch'ei permette al suo cuore di padre, di sposo e di fratello; chè ripiglia poi subito l'atteggiamento d'indomito patriota e di giudice severo d'ogni umana bassezza o fastigio. E se nella Commedia stessa trova modo d'intrattenersi de' suoi maggiori, o nell'inferno (X) per vantarli in cospetto del più fiero loro avversario, o nel paradiso (XV) per affermarli di nobile stirpe; e se pur tenta di renderci più pii verso un rissoso spirto del suo sangue che, dannato (XXIX), si sdegna non alcun consorte gli abbia ancor vendicata la violenta morte, o d'indurci a raccorciare colle nostre preghiere la lunga pena inflitta al suo bisavo nel girone dei superbi in purgatorio (Par. XV, 91 ss.): gli è perchè questi appartenevano alla parte storica della sua famiglia, e col parlarne egli appagava il proprio orgoglio d'uomo di parte e d'antico e puro fiorentino.

Una volta sola, e nella sua opera più giovanile ed ingenua, ei solleva un lembo del velame che nascondeva ai profani il

mai la madre sua, e non vi alluse, e toccò invece teneramente, a proposito di Augusto, del sentimento materno. Carm. IV, 5:

Ut mater iuvenem, quem notus invido

Flatu Carpathii trans maris aequora
Cunctantem spatio longius annuo
Dulci distinet a domo,

Votis ominibusque et precibus vocat,
Curvo nec faciem litore dimovet;
Sic desideriis icta fidelibus

1 Cfr. DEL LUNGO,

nella poesia del secolo

Quaerit patria Caesarem.

La donna fiorentina ecc.; e Beatrice nella vita e
XIII; Milano 1891, p. 15.

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santuario domestico. Essendo infermo, immaginò nel delirio della febbre che la Beatrice fosse morta, e tra 'l sonno diceva parole con doloroso singulto di pianto e invitava la morte a venire anche a lui. « Una donna giovane e gentile, la quale era lungo il mio letto, » ei racconta, « credendo che il mio piangere e le mie parole fossero lamento per lo dolore della mia infermità, con grande paura cominciò a piangere ». Accorsero altre donne ch'eran per la camera, e « facendo lei partire da me, la quale era meco di propinquissima sanguinità congiunta, elle si trassero verso me per isvegliarmi credendo che io sognassi, e diceanmi: non dormir più, e non ti sconfortare (V. N., § 23). Codesta tenera creatura, immortalata poi nella canzone che comincia appunto col parlar di lei: Donna pietosa e di novella etate,

Adorna assai di gentilezze umane,

ha tutta l'aria d'una sorella; e che sia proprio tale si chiarisce dal sentir poco più oltre indicare pur come « distretto di sanguinità» con Beatrice (§ 33) chi il poeta stesso dice « fratello » di lei (§ 34). Quale poi ne fosse il nome, e in che rapporti rimanesse con l'esule, non si può che vagamente congetturare. Potrebb'esser la Tana, che fu sposata a Lapo di Riccomanno dei Pannocchia, e che il Passerini provò contro il Pelli esser sorella anzichè nipote di Dante 1; o davvero quella che fu moglie di Leone Poggi, ricordata dal Boccaccio come madre di un Andrea, da cui egli, « essendo suo dimestico divenuto, udì più volte de' costumi e de' modi di Dante ». E piacerebbe immaginare si trattasse proprio di questa seconda,

1

'Cfr. IMBRIANI, Studi, 81 ss. In uno dei sonetti di Forese a Dante si ricordano codesta Tana e il fratellastro Francesco: Ma ben ti lecerà il lavorare, Se Dio ti salvi la Tana e 'l Francesco ». Cfr. DEL LUNGO, Dante ne' tempi di Dante, p. 450. Banchus Riccomanni et consortes, del sesto di Porsampiero, excepto Pannocchia et fratres, son tra gli esclusi dall'amnistia di Baldo d'Aguglione. Cfr. DEL LUNGO, Esilio, 138.

anche perchè codesto suo figliuolo « maravigliosamente nelle lineature del viso somigliò Dante, e ancora nella statura della persona; e cosi andava un poco gobbo come Dante si dice che facea; e fu uomo idioto, ma d'assai buono sentimento naturale, e ne' suoi ragionamenti e costumi ordinato e laudevole ».

Eppure, con che vivo e squisito sentimento il poeta della Commedia non tocca delle più pure gioie domestiche ! Si direbbe anzi che nulla lo intenerisca quanto una madre che, consolando, usi l'idioma

Che pria li padri e le madri trastulla,

o un bambino, che, pendente dall'amato seno, « bagni ancor la lingua alla mammella » e « chiami mamma e babbo » : così spesso gli ricorrono alla mente queste care immagini '. All'invito di Beatrice, nell'Empireo, di guardar nel fiume di luce, Non è fantin che sì subito rua

Col volto verso il latte, se si svegli

Molto tardato dall'usanza sua,

Come fec'io,

egli dice (Par. XXX, 82 ss.). E i golosi del purgatorio (XXIV, 106 ss.), che alzano le mani verso i rami gravidi e vivaci del desiderato pomo, gli sembrano

Quasi bramosi fantolini e vani,
Che pregano, e il pregato non risponde,
Ma, per far esser ben lor voglia acuta,
Tien alto lor disio e nol nasconde. 2

1 Il CARDUCCI (Studi letterari; Livorno 1874, p. 255), ingegnandosi « a ricomporre una immagine della vita di Dante in Ravenna », ce lo descrive che scherza coi figlioletti di Piero, alcun de' quali pendendo dal petto della giovine madre ha forse ispirato all'avo le tre stupende comparazioni infantili che infiorano gli ultimi canti del paradiso ». II CIPOLLA invece (Di alcuni luoghi autobiografici nella D. C.; Torino 1893, p. 16) supporrebbe: « ai soavi ricordi dei primi anni del suo matrimonio si rivolge con acceso desiderio l'esigliato poeta, quando con ripetuta insistenza toglie le sue immagini dal bambino lattante ».

2 Qualcosa che ricorda questo paragone si trova già nella canzone di Ai

SENTIMENTO DOMESTICO DI DANTE

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E a proposito della prematura discesa dell'alto Arrigo in Italia, fa da Beatrice esclamare (Par. XXX, 139 ss.):

La cieca cupidigia che v'ammalia
Simili fatti v'ha al fantolino

Che muor di fame e caccia via la balia.

Nè solamente a queste scenette còlte nella realtà corre il suo pensiero, ma altresì a quelle efficacemente descritte da alcuno dei poeti prediletti. Quando nel purgatorio (XXVI, 94 ss.) uno spirito gli si manifesta niente meno che per Gu ido Guinicelli, a lui par di sentirsi commosso quasi allo stesso modo de' figli d'Isifile nel momento, descritto da Stazio (Theb. V, 720 ss.), che riconobbero e salvaron la madre dall'imminente morte. Se poi Virgilio gli dà qualche maggior segno della sua affezione, in quelle premure ei gusta subito la soavità delle carezze materne. Così in Malebolge, quando lo libera dagli artigli dei diavoli (XXIII, 37 ss.):

Lo duca mio di subito mi prese,

Come la madre ch'al romore è desta

E vede presso a sè le fiamme accese,
Che prende il figlio e fugge e non s'arresta,
Avendo più di lui che di sè cura,

Tanto che solo una camicia vesta.

E sulla cima del purgatorio (XXX, 43 ss.), al risentire « l'alta

meric de Pegulhan, Si com l'albres... (BARTSCH, Chrestom. provençale, 160): E nous en cal quan mi vezetz morir,

Abans o faitz de mi tot atressi
Cum del enfan qu'ab un maraboti
Fai hom del plor laissar e departir;
E pois, quant es tornatz en alegrier
Et hom l'estrai so quel donet et tol,
Et el adoncs plor' e fai major dol,
Dos aitans plus que no fetz de premier.

E non era ignoto alla più antica poesia italiana. Cfr. GASPARY, La
Scuola poetica siciliana; Livorno 1882, p. 99.

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