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LA BUONA STELLA DI DANTE

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E suppergiù le medesime cose si fa ridire da Carlo Martello (Par. VIII, 97 ss.); il quale conclude:

Sempre natura, se fortuna trova

Discorde a sè, com' ogni altra semente
Fuor di sua region, fa mala prova.

Dante si compiaceva molto d'esser nato mentre il Sole era nella costellazione dei Gemini; poichè in astrologia, come ne insegna il Lana, « colui che ha Gemini per ascendente, naturalmente si è ingegnoso ed adatto a scienzia litterale, e maggiormente quando lo Sole si trova essere in esso segno ». E come nel paradiso (XXII, 112) leverà un inno di gratitudine a quella costellazione:

O gloriose stelle, o lume pregno

Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
Con voi nasceva e s'ascondeva vosco

Quegli ch'è padre d'ogni mortal vita,

Quand'io senti' da prima l'aer tosco. .;

come nell'inferno, tra' consiglieri frodolenti (XXVI, 21), ammonirà sè stesso a tener in freno l'ingegno sortito nascendo sotto buona stella:

E più lo ingegno affreno ch'io non soglio,
Perchè non corra che virtù nol guidi,

Si che se stella buona, o miglior cosa,

M'ha dato il ben, ch'io stesso nol m'invidi;

come, sulla cima del purgatorio (XXX, 109), farà dire da Beatrice sul suo conto:

Non pur per opra delle rote magne

Che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
Secondo che le stelle son compagne,

Ma per larghezza di grazie divine,.....
Questi fu tal nella sua vita nuova
Virtualmente, ch'ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil prova:

così ora si fa dire dal saggio ser Brunetto, che se egli avesse seguita la sua stella, se cioè si fosse giovato « virilmente delle facoltà sortite da' cieli » 1, ei non sarebbe fallito al porto glorioso.

Quando Brunetto mori, Dante era in sui trenta anni; e pur senza essere un astrologo, non credo dovesse parer molto arduo arrischiare una profezia sull'avvenire di lui! Che una stella gloriosa lo guidasse, Brunetto non dice d'essersene accorto in sul nascere, quando egli cioè non era in Firenze; bensì nella vita bella, durante tutto il tempo che lo vide nel mondo pulcro (Inf. VII, 58), in la vita serena (VI, 51), nel dolce mondo (VI, 88), nella dolce terra (XXVII, 27). Dall'esperienza quotidiana egli avea visto che il cielo era singolarmente benigno a Dante: oroscopo ben più sicuro! Che poi codesta benignità celeste fosse giunta a lui per opra delle rote magne o per larghezza di grazie divine, Brunetto, come Beatrice, non decide. E forse il circospetto notaio pensava su questo riguardo come il Boccaccio; il quale, concludendo la sua chiosa, scriveva: ma che a un giovane volenteroso l'eccellenza « venga dalle

1 FOSCOLO, Discorso sul testo; Firenze 1850, p. 422. Per l'AROUX, l'étoile de Dante n'est autre que la stella d'Oriente, di Soria, que la Rose et la Fleur pour laquelle nous avons vu que déliraient tous ces amants platoniques, chauds partisans et imitateurs de Frédéric II. N'avionsnous pas dit que Brunetto Latini n'allait pas tarder à parler le langage sectaire ? >>

Non già « in la vita novella, come altri pretese di leggere, e lo ZANI DE FERRANTI (Di varie lezioni da sostituirsi alle invalse nell'Inferno di D. A.; Bologna 1855) preferì perchè quella espressione vale anzi tutto: nella tua gioventù; e... significa inoltre: per quanto potei giudicare da quel tuo libercolo cui titolasti Vita Nuova ». Anche l'AROUX intese così, e chiosò allegramente: Dans la Vie nouvelle, dont son disciple lui avait adressé le premier sonnet, en même temps qu'aux fidèles d'Amour, ses frères, avec l'intention de l'enrôler dans les rangs sectaires. On y était admis au moyen d'une initiation, sorte de régénération mystique, qui faisait dépouiller le vieil homme catholique, auquel succédait l'homme nouveau, éclairé par la lumière de la raison ».

L'OPRA DELLE ROTE MAGNE

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stelle, quantunque Iddio abbia lor data assai di potenza, nol credo 1; anzi credo venga da grazia di Dio, il quale esso di sua propria liberalità concede a coloro, i quali, faticando e studiando, se ne fanno degni

1 Quanto alla peste però, il buon messer Giovanni la pensava un po' come Don Ferrante. < Nella egregia città di Fiorenza, diceva nella Introduzione al Decamerone, pervenne la mortifera pestilenza, la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre inique opere, da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali.... ».

I PRIMI VERSI

I.

Dante annunziò il suo avvenimento poetico ai dicitori d'amore, che intorno al 1283 tenevano il campo in Toscana, col sonetto che poi mise primo nella Vita Nuova. Vi narrava un suo sogno, e ne chiedeva il significato. Gli era parso di ve dere il signor Amore, allegro,

tenendo

Mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna, involta in un drappo, dormendo.
Poi la svegliava, e d'esto core ardendo
Lei paventosa umilmente pascea;
Appresso gir ne lo vedea piangendo.

Nelle agilità delle movenze, nell'evidenza della rappresentazione e nella serietà del simbolismo, già, senza dubbio, si scorge l'unghia del leone. Ma il poeta giovinetto è egli pure impacciato nelle pastoie del convenzionalismo delle forme sicule e provenzali. Quello stesso artificio di proporre una questione d'amore, perchè gli altri « riscrivan suo parvente», apparteneva al genere delle tenzoni, vere sciarade di soggetto erotico da risolvere con gli arzigogoli della galanteria.

Trapiantate, come tante altre forme della nostra antica li rica, dalla Provenza, le tenzoni aveano qui attecchito subito. Dapprima furon dibattiti di canzoni contro canzoni: e, per

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esempio, all'aretino Giovanni dall'Orto, della seconda metà del secolo XIII, che si lamentava di Amore, rispondeva, « in persona d'Amore », Tommaso da Faenza con un'altra canzone d'ugual numero di versi e con la stessa disposizione di strofi e di rime 1. Poi si contese con sonetti; i quali vennero per tal guisa a prendere il posto che nelle tenzoni occitaniche tenevano le strofi isolate 2. Disputarono così, nella corte di Federico II, il Gran Cancelliere, il notaio da Lentino e Jacopo Mostazzo falconiere dell'imperatore, intorno alla natura d'Amore 3. Dino Compagni rispondeva da Firenze a Guido Guinizelli, il quale avea preteso d'insegnare la maniera di conquistare il cuore dell'amata, che Amore vuole umiltà e cortesia *. E anzi a Bologna e in Toscana la tenzone venne di mano in mano prendendo una fisonomia diversa; chè li degenerò in una disputa scolastica, qui si restrinse troppo in un quistionario galante. E un oscuro notaio Bartolommeo chiedeva a un lucchese Bonodico quale sia preferibile per una dama, un amatore audace o un timido; e Bonagiunta poneva il quesito quale sia il primo affanno che l'amore produca; e Guido Orlandi, quale amore sia più forte, il coniugale, il carnale o il naturale; e il fioren

'Cfr. RENIER, Liriche di Fazio degli Uberti; Firenze 1883, p. CCCXXVII 88. e 213 ss. E GASPARY, Scuola, p. 128-9.

Cfr. le tenzoni di Blacaz e Peirol, di Blacaz e Peliziers, di Blacaz e Folquetz, di Gui de Cavaillon e Bertrams d'Avignon, di Folcons e Cavaires, del Coms de Blandra e Folquetz de Roman, ecc. ecc., nell'Archiv für das Studium der neueren Sprachen dell' HERRIG, Vol. XXXIV, p. 405-7. Per le tenzoni italiane in sonetti, cfr. BIADENE, Morfologia del sonetto nei sec. XIII e XIV, negli Studi di filologia romanza del MONACI, Vol IV, p. 96 ss.

3 Cfr. MONACI, Da Bologna a Palermo, nell' Antologia della nostra critica moderna del Morandi. A. ZENATTI, Arrigo Testa ecc., negli Atti della R. Accademia Lucchese, vol. XXV, 1889. MONACI, Di una recente dissertazione su Arrigo Testa ecc., nei Rendiconti dell' Acc. dei Lincei, 1889, Vol. V, II, p. 59 ss.

Cfr. DEL LUNGO, Dino. I, 320 ss. Graziosa la chiusa:
E vi credete più bel ch'Ansalone:

Come sovente le farfalle al foco,
Credete trar le donne dal balcone.

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