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" CAVALCANDO L'ALTR' IER.... Nella sembianza mi parea meschino

Come avesse perduto signoria;

E sospirando pensoso venia,

Per non veder la gente, a capo chino.

249

Anche il poeta è 'pensoso, e, costretto a cavalcare « alla compagnia di molti », dice sgradirgli l'andare; ma Amore lo scuote:

Quando mi vide, mi chiamò per nome,
E disse: Io vegno di lontana parte,
Ov' era lo tuo cor per mio volere,
E rècolo a servir nuovo piacere.
Allora presi di lui si gran parte,

Ch' egli disparve, e non m'accorsi come.

Che freschezza di colorito e quale vivacità nella rappresentazione! Ed è vero che codesto « Dante sospiroso fra i cavalieri di cavallata » è « tanto fantastico..... quanto il personaggio che, invisibile a tutti fuori che a lui, si aggiunge alla comitiva »; vero che qui « l'uomo è il rimatore », e che, << sull'ordito dei fatti reali è intessuta la fittizia prammatica dell'amore per rima, son ricamate le gracili malinconiose imagini di essa » 1: ma quanto amabile non riesce la figura trasognata di quel giovanetto che sarà Dante, cavalcante a malincuore per una spedizione militare forse di semplice parata, lungo il suo « fiume bello, corrente e chiarissimo », angosciato però che si dilungava dalla sua beatitudine! Anche lui, Dante, si lasciava alle volte sopraffare, quando era in parte altr'uomo, da quella passione amorosa, che gli doveva poi vestir le piume a così alto volo; e gli sbigottimenti ond'è pieno il romanzo giovanile non parranno degni di lui, solo a chi non vorrà considerare quali mutamenti non avranno operato sull'animo suo e la morte della donna adorata, e gli anni, e le lotte politiche, e l'esilio.

Cfr. le belle pagine del DEL LUNGO, Beatrice nella vita ecc.,

32 ss.

Tra codeste personificazioni d'Amore, di sapore più spiccatamente classico è quella descritta nel terzo sonetto. Vi si piange la morte di una donna giovane e di gentile aspetto molto », amica di Beatrice.

Udite quant' Amor le fece orranza :

Ch'io 'l vidi lamentare in forma vera
Sovra la morta immagine avvenente;
E riguardava invêr lo ciel sovente,
Ove l'alma gentil già locata era,

Che donna fu di sì gaia sembianza.

Qui l'Amore rassembra un di quei genii che l'arte antica atteggiò « di lagrime e di dolore » sui sepolcri; e nel pensiero del poeta, esso era Beatrice medesima : « in forma vera ». Poichè più tardi (§ 24) Amore susurrerà al cuore dell'innamorato che «< chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha meco». E allora gli giungerà « una immaginazione d'Amore », la quale ricorda, nell'allegro contegno dell'Amore, la visione dei diciott'anni (son. 14):

E poi vidi venir da lungi Amore
Allegro sì, che appena il conoscia;
Dicendo: Or pensa pur di farmi onore;
E 'n ciascuna parola sua ridia.

Questa volta però nulla che metta paura: si avvicinano anzi al poeta « pensoso », accompagnate e presentate da Amore, la donna sua e quella del Cavalcanti, monna Bice e monna Vanna:

E sì come la mente mi ridice,

Amor mi disse: questa è Primavera,

E quella ha nome Amor, sì mi somiglia.

Chi sa com'avrà gridato l'Orlandi, che per tanto meno avea dato sulla voce al Cavalcanti, insegnandogli

Ch' Amor sincero non piange nè ride,

LE PERSONIFICAZIONI D'AMORE

251 nel vedere che Dante trattava l'Amore « come se fosse una cosa per sè, e non solamente sostanza intelligente ma si come fosse sostanza corporale »! Dalle parole, con cui nella Vita Nuova il poeta comincia il commento al sonetto testè riferito (§ 25): Potrebbe qui dubitar persona degna di dichiararle ogni dubitazione, e dubitar potrebbe di ciò ch'io dico d'Amore », sembra poter dedurre che delle grida ci furono. Dante ha tutta l'aria di chi si scagioni da accuse autorevoli, evitando per quanto è possibile la polemica. Il Carducci anzi ha opportunamente richiamato il sonetto Molti volendo dir che fosse amore, nel quale, contrariamente appunto all'opinione di Dante, si sostiene:

Ma io dico ch' Amor non ha sustanza,

Nè è cosa corporal ch'abbia figura,
Anzi è una passione in disïanza.

Ma e chi scrisse questo sonetto? La Raccolta giuntina lo attribuisce addirittura a Dante; e dal lato della forma non ne sarebbe indegno. Sennonchè, quando « alcuno amico » richiese questi che « gli dovesse dire che è Amore », egli rispose col sonetto Amore e cor gentil... (§ 20); e prima e poi considerò l'amore appunto come sostanza e cosa corporale. Il Corbinelli lo trovò senza indicazione d'autore; e, non volendo arrischiare congetture, questo solo risulterebbe certo, se davvero fossimo sicuri che il poeta vi alludesse nel suo commento, che il nome del rimatore è da ricercare tra gl'illustri del tempo, giacchè di persona i cui dubbi eran parsi meritevoli di confutazione.

1 Cfr. Vita Nuova illustrata dal D'Ancona, p. 190.

2 Cfr. appendice alla Bella mano, p. 259; e FRATICELLI, Il Canzoniere, p. 225-6.

༥.

Non poche tracce son rimaste nella Vita Nuova dello studio amoroso del poeta giovanetto sulle canzoni dei trovatori1. Non già ch'egli imiti sguaiatamente o servilmente, com'avean fatto per esempio Dante da Maiano o Guittone; anzi, pel magistero del suo stile, quella materia e quelle forme, già sbiadite e stracche, par che tornino a vita novella. E mentre i rimatori suoi predecessori o contemporanei avean fatto e facevano d'ogni erba fascio, egli invece fece ghirlanda d'ogni fiore.

D'animo squisitamente delicato e gentile, pare che non conosca donne che non siano gentili. « Una gentile donna di molto piacevole aspetto » era quella che gli servi per << tanto tempo » da « schermo di tanto amore » (§ 5); « una donna giovane e di gentile aspetto molto », la morta amica di Beatrice (§ 8); « gentili donne », quelle che gli domandano il secreto del suo core » (§ 18); « donna giovane e gentile », la sorella che lo assiste (§ 23); « gentil donna di famosa beltà », la Vanna (§ 24); « gentil donna giovane e bella molto » (§ 36), e « donna gentile, bella, giovane e savia » (§ 39), la pietosa che lo riguardò dalla finestra; e << donne gentili », quelle due che gli mandano a chiedere le sue parole rimate » (§ 41). Ma fra tante gentili, Beatrice era la gentilissima. A diciotto anni, « questa gentilissima» gli apparve « in mezzo di due gentili donne » (§ 3);

1 I BARTSCH ricercò di quale raccolta di testi provenzali si servisse Dante (Die von Dante benutzen provenzalischen Quellen, in Jahrbuch d. deutsch. D.-Gesellsch., II, 1869, p. 377-84); e concluse che il codice adoperato da lui o sarà stato il Modenese o qualche altro affine.

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e in chiesa, era lei sola la gentilissima (§ 5); e per la festa nuziale, « questa gentilissima venne in parte ove molte donne gentili erano adunate » (§ 14); ed egli saluta le « gentili donne » quando s'assicura che la sua «gentilissima donna non era tra esse » (§ 18). E l'estasiato poeta finisce col chiamarla « la gentilissima » (§ 3, 4, 6 ecc.), e col crederla fonte d'ogni gentilezza. « Si fa gentil ciò ch'ella mira », e il suo sorriso « è nuovo miracolo gentile » (son. 11); e se essa si accompagna ad altre donne, « le face andar seco vestute Di gentilezza, d'amore e di fede » (son. 16); e, sognando che sia morta, l'innamorato esclamerà (canz. 2):

Morte assai dolce ti tegno;

Tu dêi omai esser cosa gentile,

Poichè tu se' nella mia donna stata!

Ora, appunto « la più gentile » avevano i trovatori chiamata la donna loro:

Gencer en es mon nos mira
Bell'e blancha plus c'us hermis,
Plus fresca que rosa ne lis,

avea detto Cercalmont 1. E Bernart de Ventadorn :

Nom meravilh si s'amors mi te pres,

Que genser cors no cre qu'el mon se mire;

Bels es e blancs e frescs e gais e les,

E totz aitals cum eu volh e dezire 2.
Adoncs sai ieu que vira la gensor
E sos belhs huelhs e sa fresca color,
E baizera'lh la boca en totz sens,
Si que d'un mes hi paregra lo sens

E Raimbaut de Vaqueiras:

Per qu' ie 'us azor, don' eyssernida ?

3

1 Per fin'amor m'esjauzira. BARTSCH, Chrest. prov., 45.

2 Ben m'an perdut... BARTSCH, 47.

3 Quant l'erba fresqu' e 'l fuelha par. APPEL, Provenzalische Chrestomathie; Leipzig 1895, p. 59.

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