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Quar per gensor vos ai chauzida,
E per melhor de pretz complida 1.

E Guiraut de Borneil:

Bel dous companh, tan sui en ric sojorn,
Qu'eu no volgra mais fos alba ni jorn;
Car la gensor que anc nasques de maire
Tenc et abras, per qu' eu non prezi gaire
Lo fol gilos ni l'alba 2.

E Aimeric de Pegulhan:

Bona domna, la genser etz que sia 3.....

Sabetz per que suy aissi esperdutz?
Per la bona comtessa Beatritz,

Per la gensor e per la plus valen
Qu'es mort'uei".

E Peire Cardenal:

Ni dic qu' eu mor per la gensor,
Ni dic quel belam fai languir. . . . 5

E Aimeric de Belenoi finiva con l'indicar la donna sua come:

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E Arnaut de Maroill raccomandava a Dio la gentile sua, benchè su di lei non avesse spalancati occhi meno profani :

Deus quel det lo senhoratge

La sal, qu' anc gensor non vi'.

1 Kalenda maya. APPEL, Chrest., 90.

2 Reis glorios, verais lums e clartatz. BARTSCH, 99. Ognun sente quanto questa strofe ricordi la prima sestina del Petrarca:

Con lei foss'io da che si parte il Sole

E non ci vedess'altri che le stelle,

Sol una notte; e mai non fosse l'alba!

3 Selh que s'irais.... MONACI, Testi, 60.

De tot en tot es ar de mi partitz. GALVANI, Fiore, p. 345.

5 Ar mi posc eu lauzar d'amor. Bartsch, 170.

Al prim pres... APPEL, Chrest., 72.

7 Bel m'es quan lo vens m'alena. BARTSCH, 89.

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Par d'esser caduti dal cielo sulla terra, da un mistico sogno d'amore oltramondano in una tresca di gente allegra e spensierata. Ma il salto apparisce men grave ove si guardi alla poesia del Guinizelli, cui spetta il vanto d'aver raggentilito il sentimento e l'arte, e d'essere in certo modo il Battista di Dante. Chè se questi aveva dichiarato (son. 10) che

Amore e cor gentil sono una cosa,

ei non faceva che seguire l'opinione del Saggio bolognese : Siccom' il Saggio in suo dittato pone.

E il dittato di Guido era come l'apoteosi della gentilezza:
Al cor gentil ripara sempre Amore

Come a la selva augello in la verdura:
Nè fe' Amore avanti gentil core,
Nè gentil core avanti Amor, Natura;
Ch' adesso che fue il Sole

Si tosto lo splendore fue lucente,
Nè fue avanti il Sole.

E prende Amore in gentilezza loco

Così propriamente,

Come clarore in clarità di foco.

1 Domna genser... BARTSCH, 89-94.

Si può vedere, su tal proposito, l'articolo di G. SALVADORI, Guido Guinizelli, L'origine dello Stil novo, nella Rassegna Nazionale del 16 luglio 1892.

La donna amata, nella poesia del Bolognese, era già quale il Fiorentino immaginò poi la donna sua (canz. 1):

Ella è quanto di ben può far natura,

Per esempio di lei beltà si prova;

e già essa, passando per via, sembrava persona (son. 15) « ve• nuta di cielo in terra a miracol mostrare », e Amore gittava « nei cor villani » (canz. 1) un gelo che faceva agghiacciare e perire ogni villano pensiero.

Per voi tutte beltà sono affinate,

E ciascuna fiorisce in sua maniera
Lo giorno quando voi vi dimostrate.
Come la stella diana splende e pare,
E ciò ch'è lassù bello a lei somiglio...
Passa per via sì adorna e sì gentile,
Ch' abbassa orgoglio a cui dona salute,
E fal di nostra fe' se non la crede.

E non le può appressar uom che sia vile.
Ancor ve ne dirò maggior virtute:

Null'uom può mal pensar fin che la vede.

I quali due ultimi versi, perfino nella cadenza, ricorda quelli di Dante (canz. 1):

Ancor le ha Dio per maggior grazia dato,

Che non può mal finir chi le ha parlato 1.

1 I NANNUCCI (Manuale, I, 46-9) istituì qualche raffronto di versi del Guinizelli con altri di Dante; ma nè tutti i versi dati come di questi son sicuramente suoi, nè tutti i raffronti son dello stesso valore. CHIARO DAVANZATI avea detto:

La splendïente luce, quando appare,

In ogni oscura parte dà chiarore,
Cotanto ha di virtute il suo guardare,
Che sovra tutti gli altri è il suo splendore.

Così madonna mia face allegrare,

Mirando lei, chi avesse alcun dolore;

Adesso lo fa in gioia ritornare,

Tanto sormonta e passa il suo valore.

Anche

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E il saluto non solo dava salute, ma uccideva. « E quando questa gentilissima donna salutava », narra Dante, non che Amore fosse tal mezzo che potesse obumbrare a me la intollerabile beatitudine, ma egli quasi per soperchio di dolcezza divenia tale che lo mio corpo, lo quale era tutto allora sotto il suo reggimento, molte volte si moveva come cosa grave inanimata » (§ 11). E Guido, meno finamente:

Lo vostro bel saluto e gentil guardo,
Che fate quando v'incontro, m'ancide. . . .
Parlar non posso, chè in gran pena io ardo
Sì come quello che sua morte vide. . . .
Rimagno come statüa d'ottono,

Ove vita nè spirto non ricorre;

Se non che la figura d'uomo rende 1.

E l'altre donne fan di lei bandiera,
Imperadrice d'ogni costumanza,
Perch'è di tutte quante la lumiera.
E li pintor la miran per usanza,

Per trarre assempro di sì bella cera,
Poi farne all'altre genti dimostranza.

E già prima, Aimeric de Pegulhan, in morte della contessa Beatrice, savoiarda, moglie di Ramondo Beringhieri IV e madre delle quattro figliuole < ciascuna reina (Par. VI, 133-4), aveva esclamato (De tot en tot... GALVANI, Fiore, 345):

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Ou es aras sos belhs cors gen noiritz,

Que fo pels bos amatz e car tengutz?

A qui hom venia cum si fezes vertutz,

Que, ses son dan, saup far guays los marritz;

E quan quascun avia fag jauzen,

Tornava 'ls pueys en maior marrimen

Al comïat, qu'om non avia be

Des qu'en partis, que no i tornes dese.

1 Portentoso era già il saluto della contessa Beatrice, a voler credere

al PEGULHAN (De tot en tot...):

Ja s' tenia sol per vostra salutz

Tot hom ses plus rics e per guaritz;
Dol pot aver qui vi vostre cors gen,
E qui no 'l vi dol, mas non tan cozen:
Qu'autra vista no i poc metre pueys re,
Tant ac lo cor, qui us vi, del vezer ple!
SCHERILLO, Biografia di Dante.

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Certo, sono effetti naturalissimi dell' amore; come anche quel tremore che s'impossessa di Dante quando si trova alla presenza di madonna. Fin dacchè la vide la prima volta, << lo spirito della vita » gli cominciò « a tremare si fortemente, che apparia nei menomi polsi orribilmente »; e « tremando» egli esclamò (e son curiose queste parole latine in bocca a un giovinetto non peranco in età da frequentare un ginnasio!): Ecce Deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi! (§ 2). E lo dominò tanto, che « chi avesse voluto conoscere Amore, far lo potea mirando lo tremore degli occhi » suoi (§ 11). Alla festa di nozze, « un mirabile tremore gli fece presentire la vicinanza della gentilissima, e dovè appoggiarsi « a una pintura » per non cadere (§ 14). Onde concepi tanto spavento di trovarsi colà dove fosse anche lei, che, invitato in un crocchio di donne gentili, egli non s'accosta e non saluta se non prima si è « bene » accertato che quella non è tra esse (§ 18). Il solo pensar di lei gli produce « un tremito nel core » (§ 24); e suppone che anche gli altri provan gli effetti d'un tal fascino (§ 21 e 26):

Ov'ella passa, ogni uom vêr lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core. . . .

...

...

quand'ella altrui saluta,

ogni lingua divien tremando muta.

Fatale fascino, che riprende il suo potere sul poeta quando, nella mistica visione del paradiso terrestre (Purg. XXX, 34), la donna divina gli si ripresenta circonfusa di gloria:

E lo spirito mio, che già cotanto

Tempo era stato che alla sua presenza
Non era di stupor tremando affranto,
Senza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù che da lei mosse,
D'antico amor sentì la gran potenza.

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