LA TREVA DI G. DE LA TOR 289 e decantate signore. Molte delle quali sono oramai di nostra conoscenza: Na Biatriz i ven d'Est cui fins prez capdella, Del marqueset d'Est moiller, on valors renovella.......; E del Carret i ven na Comtensos, qui zenza E tutte codeste Venon las trevas far, qu'en aissi lor agenza; e stabiliscon l'accordo a queste condizioni: Qu'en las doas serors non aian mais erranza, Chi sia l'Americo che provocò la discordia, e di quale famiglie le due sorelle contendenti, non sembra si possa stabilire con sicurezza. A sentir parlare d'una Selvaggia, si pensa subito a quella d'Auramala, unica selvaggia fra tante beatrici. Ma e come mai sa seror è ora una Beatrice e non la Maria d'Espero e una Beatrice del tutto oscura, giacchè essa non appare celebrata da nessun altro poeta! E il nome Americo fa correre il pensiero a quello di Pegulhan o al Belenoi, e perchè più famosi e perchè vissuti in Italia; ma a quale loro canzone potrebbe alludersi? Il primo, dopo d'essere stato molto tempo in Ispagna alla corte del << bon rei 'n Anfos..., pueis sen venc en Lombardia, on tug li bon home li feiron gran honor »; e qui cantò lungamente della Beatrice d'Este, alla quale mandavan pure le loro canzoni Rambertino Buvalelli e Peire Ramon di Tolosa. Ed egli fu davvero in relazione con Albertetz de Sestairon. Tenzonò con lui circa una questione d'amore; e non riuscendo ad accordarsi, egli propose di rimettersi al giudizio della sua SCHERILLO, Biografia di Dante. 19 signora Beatrice, il contradittore a Emilia di Ravenna, la moglie di Pier Traversaro (Purg. XIV, 98): N' Albertet, quar es de beutat rais Na Beatritz d'Est, on pretz nais, Vueill d'aquest plait jutge so ques convenha; Mas ieu cre be que ma razo mantenha. N'Aimeric, a n' Emilia lais De Ravemia, c' ades val mais En tot bon fait c' a pros dona convenha, Lo jutgamen, e c' ab lo dreg s'en tenha 1. Non sappiamo ch'ei cantasse pur d'una Selvaggia. La quale, si badi, non potrebbe mai supporsi fosse una sorella della Beatrice Estense; giacchè questa è tra le dame che Guglielmo de la Tor fa intervenire al congresso per la tregua. È anzi addirittura la prima; e la seconda è, curioso a notare, la sua rivale Emilia di Ravenna. Nè migliori prove abbiamo per credere che il trovatore, il quale coi suoi encomi parziali avea fatta nascere « mesclança e batailla» fra le due sorelle, fosse Americo di Belenoi. Veramente il Casini e il Carducci si son fermati appunto su lui: ma l'uno perchè reputa che « la poesia, alla quale rispon de Guglielmo », sia « quella scritta da A. di Bellinoi per Selvaggia d'Auramala, colla quale è in relazione strettissima un'altra di Albertet » ; l'altro, perchè attribuisce al Belenoi la canzone << in dispetto di amore e delle donne » 3. Come s'è visto, questa appartiene invece ad Albertetz; e nella risposta, che appartiene a lui ed è la canzone cui accenna il Casini, non c'è nulla che lo possa far sospettare partigiano di qualcuna delle due sorelle. Il trovatore si tiene stretto alle rime e alle parole del competitore, e nomina Selvaggia e non la sorella perchè così fa l'altro, e se dice dell'una che es tant pros, soggiunge subito: cum 'n Albertz ditz. 1 MONACI, Testi ecc., 82-3. 2 Nel Giornale Storico d. Lett. ital., II, 404. 3 Galanterie cavalleresche ecc., p. 20. LE SESSANTA FIORENTINE 291 VIII. Or, dopo circa un secolo dacchè Rambaldo avea cantato il trionfo della Beatrice monferrina, e mezzo secolo dacchè Guglielmo de la Tor avea radunate in congresso le nobili castellane per rimetter pace tra una Beatrice e una Selvaggia disputantisi l'eccellenza nel pregio, e Bertrando de La Manon le aveva convitate al banchetto del cuore di ser Blacaz: Dante scrisse il suo serventese in lode delle sessanta fiorentine. Serventese molto borghese, se si pensi che codeste donne, tutte dello stesso Comune, saranno state figlie o mogli di banchieri e di mercanti, che le lasciavan nel letto deserte (Par. XV, 120) per correre a prestare i loro fiorini alle Beatrici contesse e marchesane; le quali comperavano con larghi doni e messioni la lode di pregiate, come i loro cavalieri comperavan quella di liberali. E nel novero di codeste donne, di cui ora il poeta giovinetto si compiace servirsi quasi di bassirilievi per adornare il monumento della Beatrice sua, saranno state pur quelle << sfacciate donne fiorentine », alle quali, accorato, ei rimprovererà tra non molto « l'andar mostrando con le poppe il petto» (Purg. XXIII, 101-2). Ma perchè poi ne scelse giusto sessanta? Rambaldo non avea determinato il numero delle donne del Carros: ne son nominate diciannove; vengono però in frotta « de totz latz » le donne di Versiglia, di Ponso, del Canavese, della Toscana e della Romagna. E Guglielmo e Bertrando avean fatto lo stesso. Solo Dante tiene a farci sapere il numero di tutte, e il posto in cui era capitato il nome di Beatrice e quello dell'amata di Lapo Gianni (son. Guido vorrei...): Con quella ch'è sul numero del trenta. Non è verosimile, in ispecie avendo a far con Dante, che codesti mumeri sien messi a caso. Tanto più che se il poeta ha pur voluto ricordare il serventese, gli è stato appunto perchè voleva far sapere il numero delle donne celebratevi e il posto tenutovi da Beatrice. Ora, che il nove che le s'accompagna significhi esser questa « un miracolo, la cui radice è solamente la mirabile Trinitade» (§ 30), è dichiarato « per iscripto »; e non parrebbe arduo investigare il valore del trenta (tre volte dieci, ch'è il numero perfetto) della donna di Lapo, che restava così al centro del componimento. Ma e quel sessanta? O che fossero proprio tante, e non una di più, le belle donne di Firenze, allora? Qualche volta, nei poemi in lingua d'oil, quel numero ricorre. L'Aiol, ad esempio, comincia: Il ot en douce France un bon roi Loeys, Si fu fieus Karlemaigne qui tant resné conquist, Il ot une seror, ainc tant bele ne vi: E nella Chanson de Roland avviene di sentir dire (v. 1688-89): Tuz sunt ocis cist Franceis chevalers, oppure (v. 1848-50): Si est blecet, ne quit qu'anme i remaigne. o altrimenti (v. 2111-12): Seisante milie en i cornent si halt, Sunent li munt e respondent li val. E ricorre con una certa frequenza anche il numero trenta. Veillanlif unt en XXX lius nafret, e ancora (v. 2501-2 e 2558): Ceinte Joiuse, unches ne fut sa per, Ma ognun vede come codesti prodi o codesti orsi non abbian nulla che vedere con le sessanta belle fiorentine. Quello che invece fa più al caso nostro è un celebre luogo del Cantico dei cantici (VI, 7). Fra le lodi che il fervido poeta orientale fa della soave amica sua, è pur questa, che Dante medesimo così traduce nel Convivio (II, 15): « Sessanta sono le regine, e ottanta le amiche concubine, e delle ancelle adolescenti non è numero: una è la colomba mia e la perfetta mia ». Anche in Firenze vi saranno state parecchie regine di bellezza, ma l'amica del poeta, la perfetta sua, era quella capitata al numero nove. E se questa fu chiamata da molti Beatrice, i quali non sapeano che si chiamare », ciò potè anche avvenire per ricordo della bruna Sunamita, la quale « viderunt filiae, et beatissimam praedicaverunt »(VI, 8). La Beatrice era datrice di beatitudine (§5); rendeva beato chi prima l'avea vista (son. 11); e perfino più beati i beati del Cielo : « Beato, anima bella, chi ti vede » (canz. 2). E Cino ne piangerà la morte, indicandola: << Beata cosa ch'uom chiamava il nome »; e a Virgilio essa parrà beata anche prima di sapere ch'è una vera Beatrice (Inf. II, 53): « E donna mi chiamò beata e bella ». (Anche Virgilio era dunque dei molti che la chiamavan per nome senza sapere di farlo!) |