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Aria serena quand'appar l'albore,

E bianca neve scender senza venti 1.

Se bambina poteva esser paragonata ad una perla, Laura adulta non può ricordare quel colorito spirituale se non nei << diti schietti, soavi,... Di cinque perle orïental colore » (il resto della mano e la parte del braccio coperta dal guanto è << netto avorio e fresche rose » 2), nel riflesso perlaceo delle trecce bionde 3, e specialmente nella duplice fila dei denti bianchissimi. Al povero poeta stanno sempre dinanzi, e non indarno,

o quelle

Gli occhi sereni e le stellanti ciglia,
La bella bocca angelica, di perle
Piena e di rose e di dolci parole *;

Perle e rose vermiglie, ove l'accolto
Dolor formava ardenti voci e belle 5.

1ERCOLE, Guido Cavalcanti, p. 269. Il NANNUCCI (Manuale, I, 269) cita un'imitazione del son. di Guido fatta dal contemporaneo Francesco Ismera: « L'aria pulita quando si rinfresca, Veder fioccar la neve senza venti ecc. Cfr. Inf. XIV, 30: « Come di neve in alpe senza vento». 2 Son. O bella man.

3 Canz. Chiare fresche. Il GESUALDO interpreta curiosamente: « Oro forbito e perle, perchè tal esser suole l'ornamento del capo de le donne; ma io credo dicesse qui oro forbito quanto al biondissimo colore de' capelli, e perle forse perchè erano sciolte al collo gentile e candido più che perle ». Anche nel son. che incomincia: L'oro e le perle, e i fior vermigli e i bianchi, Che 'l verno devria far languidi e secchi, Son per me acerbi e velenosi stecchi », a me pare che quell'oro e quelle perle siano un ricordo delle trecce bionde, nonostante che anche il LEOPARDI Si unisca ai vecchi interpreti nell'intenderli per gli ornamenti di Laura. Il GESUALDO commenta: i quali ornamenti portano le belle donne e le più generose; e il VELLUTELLO: dolendosi de' leggiadri e belli ornamenti che M. L. usava portare, e spetialmente de' fiori di diversi colori ch'ella, quantunque fosse nella contraria stagione, havea modo d'havere»! Dei gioielli si dice altrove (son. L'aura serena che fra verdi fronde) chiaramente: E le chiome, or avvolte in perle e 'n gemme, Allora sciolte e sovra ôr terso bionde ».

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Son. Non pur quell'una.

5 Son. Quel sempre acerbo. Dei denti anche nel son. Io canterei d'amor: E le rose vermiglie infra la neve Mover da l'ôra, e discovrir l'avorio Che fa di marmo chi d'appresso 'l guarda ».

LA DONNA DEI PETRARCHISTI

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Fu pur naturale poi che tutte le donne dei petrarchisti, d'ogni tempo, d'ogni paese e d'ogni valore, avessero d'allora in poi perle orientali invece di denti. Così, una delle pastorelle dell'Arcadia ha « denti de tanto strana et maravigliosa ligiadria, che ad niuna altra cosa che ad orientali perle gli haverei saputi assomigliare » ; e la ninfa delle Stanze del Poliziano, quando parla, « forma voce fra perle e viole » 2; e in bocca all'Alcina del Furioso (VII, 13) « due filze son di perle elette ». Non era stato però il Petrarca il primo a pensare a una tal somiglianza; chè se in un poemetto provenzale, che descrive quali debbano esser i pregi della donna per esser piacente, sono nominati senz'altro confronto <<< las dents paucas e menudetas »*, Chiaro Davanzati, della scuola del Notaio e di Guittone, morto prima del 1280, mette già in rilievo che nella sua amata

Li denti minotetti

Di perle son serrati 5.

1 Arcadia di Jacobo Sannazaro, nella mia ediz., Torino 1888, p. 55. 2 La giostra, 1. I, 50.

3 Chi sa che non si possa supporre che, come nel commercio così nella poesia, le perle ci sian venute dall'oriente! Gli Arabi le avrebbero portate in Ispagna, e le romanze spagnuole nella poesia della Francia e dell'Italia. In una di codeste romanze si dice: «Sus mejillas, labios, dientes, Grana, coral, perlas son; Su frente plata bruñida, Sus cejas arcos de amor» (Depping, Romancero castellano; Leipzig 1844, vol. II, p. 440). In un'altra, che fa parte del Romancero del Cid (ediz. MICHAELIS, Leipzig 1871, p. 262), son comparate a perle le lagrime di donna Elvira e di donna Sol: Dos cielos que llueven perlas Y estrellas dan al licor, Y entre aljófar y corales Esta voz forma el dolor. Cfr. TACITO, Agricola, 12: Fert Britannia aurum et argentum et alia metalla, pretium victoriae. Gignit et Oceanus margarita, sed subfusca ac liventia. Quidam artem abesse legentibus arbitrantur; nam in Rubro Mari viva ac spirantia saxis avelli, in Britannia, prout expulsa sint, colligi: ego facilius crediderim naturam margaritis deesse quam nobis avaritiam ».

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La cour d'Amour, nella Revue des langues romanes, s. III, v. VI, p. 176; Renier, Tipo estetico, p. 21.

5 D'ANCONA E COMPARETTI, Le ant. Rime volg. sec. la lez. del cod. vat. 3793; Bologna, vol. III, 1884, 111.

III.

Il color perlato del viso di Beatrice può trovare un riscontro (senza che però vi sia nessuna possibilità di derivazione) nella dipintura che Achille Tazio fa dell'Andromeda raffigurata sur un quadro del tempio di Pelusio. « Nel viso », egli dice, « alla bellezza era commisto il pallore, questo diffuso sulle guance, quella risplendente dagli occhi; tuttavia non eran così pallide le gote come se ne fosse svanito tutto il rossore, nè il fulgore degli occhi era così vivo che non fosse temperato da un cotale languore, quale veggiamo nelle viole poco prima che avvizziscano » 1. Qualche volta però sul volto della fanciulla fiorentina si diffondeva davvero « un color pallido quasi come d'amore » (§ 37), e chi allora avesse potuto guardarla, le avrebbe visto << Amor pinto nel riso » (canz. 1); poichè la commozione amorosa, che distruggeva in si malo modo la persona di Dante, faceva anche impallidir la fanciulla che lo riamava.

E qui d'amor es ben feritz
Mout deu esser escoloritz,

insegnava il Roman de Flamenca; e Amore in persona si vanta presso il Petrarca (son. Più volte Amor):

Sì come i miei seguaci discoloro,

E 'n un momento gli fo morti e vivi;.....

e già Orazio (Carm. III, 10) avea accennato al tinctus viola pallor amantium, che ricorda le pallentes violas di Virgilio

1 Ἐρωτικῶν, περὶ Κλειτοφῶντα καὶ Λευκίππην; Biponti 1792, 1. ΙΙΙ, VII, p. 117.

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(Ecl. II, 47), e fa pensare al « pallor di viola e d'amor tinto >> onde pur si doleva l'amante di Laura (son. S'una fede). Tibullo poi (El. I, 8, 51-2) avea domandato mercè all'amica in grazia appunto del proprio colore:

Parce, precor, tenero; non illi sontica causa est;

Sed nimius luto corpora tingit amor.

E fu poi codesto « color d'amore », congiunto a' « di pietà sembianti », che, morta Beatrice, irreti « vilmente » il desolato poeta nell'efimero affetto per la « gentil donna giovane e bella molto » (§ 36); chè, al vederla, « molte fiate ei si ricordava della sua nobilissima donna che di simile colore gli si mostrava » (§ 37).

Parecchi critici (il Balbo, il Witte, il Fraticelli, il Giuliani, il Torri, il Carducci), confondendo il « color di perla >> col color pallido' e dandogli una interpretazione eccessivamente patologica, han voluta vedere nella pallidezza e delicatezza » della gentilissima, e nella « languente salute » di lei, una giustificazione dei timori di Dante; i quali del resto il Balbo pur trova « molto naturali all'amore » 1. Il vero è che della buona salute di Beatrice non abbiam motivo di sospettare. Inferma essa non fu mai; e pur quando mori (canz. 3), Non la ci tolse qualità di gelo, Nè di calor, siccome l'altre face, Ma sola fu sua gran benignitate 2.

1

Vita di D., I, 3. Il CARDUCCI, Studi, p. 55: « forse la persona troppo alta e sottile, e la gracilità e il pallore dell'amata donna, glie ne dovè dar cagione ».

2 Il Petrarca (son. Per mirar), dopo aver detto che Simon Memmi dovett'esser rapito in paradiso quando ritrasse Laura, soggiunge: « nè la potea far poi Che fu disceso a provar caldo e gelo, E del mortal sentiron gli occhi suoi ». E cfr. Par. XXI, 116: Lievemente passava caldi e gieli ».

Inferma fu bensì Laura, così che il provetto poeta dovette poi lamentare che il già fiorente corpo di lei fosse oramai morbis ac crebris partubus exhaustum 1. E i timori suoi sulla precoce morte di lei, che pur fanno capolino qua e là nel Canzoniere, non sono generati dalla fantasiosa e mistica ebbrezza dell'amore spirituale, bensì dalla realtà clinica della feconda signora De Sade; e son meno tormentosi, come meno profonda era la sua potenza affettiva. «Natura delicata e impressionabile, senza durata e senza persistenza», ha detto il De Sanctis, « il Petrarca potea aver delle emozioni non delle passioni; delle emozioni più o meno forti, che ora si accostano alla passione e ora sfumano in modo che egli può scherzarvi sopra e farvi de' concetti » 2. Sedici anni dopo il benedetto giorno, dice di temere (son. Rimansi addietro) « non chiuda anzi Morte i begli occhi che parlar lo fanno »; e in uno dei primi sonetti, dà addirittura per ispacciata la sua povera amata:

Quest'anima gentil che si diparte,

Anzi tempo chiamata all'altra vita,
Se lassuso è, quant'esser de', gradita,
Terrà del ciel la più beata parte.

Qui anzi coi presentimenti si va un po' tropp'oltre; e si capisce come alcuni interpreti, nonostante l'ordine seguito dai manoscritti e dalle vecchie stampe, abbian voluto annoverar questo fra' sonetti in morte, e come altri, fra cui il Gesualdo, abbian potuto sospettar sul serio che il poeta vi volesse preparare l'epitaffio per Laura. Chè ripugna veder codesto spa

1 PETRARCA, Secretum. Cfr. D'OVIDIO, Madonna Laura, dalla N.a Antologia del 16 luglio e 1o agosto 1888, p. 20.

2 Saggio critico sul Petrarca; Napoli 1869, p. 61.

3 Nell'ediz. del Comino questo sonetto porta il numero XXIV. Il PAKSCHER (Die Chronologie der Gedichte Petrarcas; Berlin 1887, p. 131) gli dà il no. 31, e lo pone fra' primi di quelli composti dal 1334 al '37.

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