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I PRINCIPI DELLA CHIESA

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decretato quel curioso titolo di « principi della terra ». Son bensì riuscito a sapere quello che infine seppe anche Agnese 1, che cioè ad essi, insiem con gli elettori ecclesiastici dell'Impero e col gran maestro dell'ordine di Malta, fu da Urbano VIII, nel giugno del 1630, conferito il titolo di eminenti. << E sapete perchè sarà venuto a questa risoluzione? », spiegava don Abbondio; « perchè l'illustrissimo, ch'era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos'è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri! » Messi dunque alla pari, o anche più in sù, dei principi; non però principi essi stessi. Dico ufficialmente; chè già in qualche scrittore, dopo che furon proclamati eminenti, spuntano i principes pileatos o cardinarios « idest in cardine eminentes ». Oggi si chiamano e son chiamati principi; sia poi perchè questo titolo competa loro per sopravvenuta disposizione regolamentare, sia perchè si considerino oramai quali principi del sangue in quella dinastia repubblicana ch'è il papato.

Tutto ciò, a ogni modo, ha poco da fare con Dante. Se pur Pio II, che pontificò dal 1458 al '64, avesse conferito a' porporati del sacro Collegio « lo specioso titolo » di principi della terra, rimarrebbe sempre a spiegare come mai facesse a indovinarlo Dante circa due secoli prima!

Che questi poi scrivesse una lettera « tutta in latino, con alto dittato e con eccellenti sentenzie e autoritadi,... a' cardinali italiani, quand'era la vacazione dopo la morte di papa Clemente, acciocchè s'accordassono a eleggere papa italiano », come racconta, senza secondi fini, il Villani (IX, 135) 3, non

1 Promessi Sposi, XXXVIII.

2 Cfr. MACRI, Hierolexicon; Venezia 1788, v. « Cardinalis ».

3 E il Pucci ripete nel Centiloquio (IMBRIANI, p. 37):

E poi la terza [lettera], la Chiesa vacando,

Mandò a' cardinali italiani,

Di papa italian tutti pregando.

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è nè assurdo nè inverosimile. Eran lettere che in quei tempi, per questo almeno invidiabili, tenevan luogo di articoli di giornale; e, per esempio, ne scrisse anche san Bernardo. Ma non è perciò sicuro che essa sia appunto quella offertaci dal Laurenziano XXIX 8. Il codice è già per sè stesso molto sospetto, chè, a soli cinque fogli di distanza, contiene nientemeno che la famigerata lettera di frate Ilario. E nel testo di essa poi altri ha già segnalato gravi indizi di falsificazione posteriore: quali la reminiscenza petrarchesca nunc Hannibali nedum aliis miserandam1; e il riscontro delle parole: quippe de ovibus pascuis Jesu Christi minima una sum,... ille [Oza] ad arcam, ego ad boves calcitrantes... attendo, con queste altre di una lettera di Cola di Rienzo al cardinal Guido bolognese: dicet aliquis forte mihi, quid tua refert, o minime civium, qualitercumque arca romanae reipublicae recalcitrantibus deferatur a bobus2. Fin quel cominciare col versetto dei Threni mi par che senta fortemente di apocrifo; chè gli è più verosimile che un falsario, lo stesso probabilmente della ingenuità ilariana, per accreditare la sua impostura pigliasse in prestito il principio d'una lettera sicuramente di Dante e da lui non conservataci, che Dante stesso, in due così diverse occasioni, scrivesse due lettere intuonandole alla stessa maniera. E in quelle parole: vos equidem, Ecclesiae militantis veluti primi praepositi pili, per manifestam orbitam Crucifixi currum Sponsae regere negligentes, non aliter quam falsus auriga Phaeton exorbitastis, in cui al Troya sembrava si dovesse subito scorgere « lo stile di Dante »; e in quell'ingrossar la voce: nec ad imitandum recenseo vobis exempla, quum

PETRARCA, Canz. Spirto gentil: « Ch'Annibale, non ch'altri, farian pio ».

2 Codesti riscontri furon già notati dal WITTE e dal FRATICELLI; ma prima al BARTOLI (Storia, V, 283 ss.) son parsi indizi della sospetta autenticità della lettera. Cfr. anche SCARTAZZINI, Prolegomeni, p. 127-8.

LA LETTERA AI CARDINALI

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dorsa, non vultus, ad Sponsae vehiculum habeatis, in che allo stesso Troya sembrava impossibile non riconoscere « la sua ira»: a me par più verosimile scorgere e riconoscere lo sforzo impotente d'un contraffattore. « Ed ecco », aggiunge lo storico napoletano, «egli usava nella fine del Purgatorio la figura del carro non meno che qui nella lettera...; ei si serviva delle stesse immagini, tratte dalla Bibbia, onde avea piena la mente » 1. E sopra simili riscontri, che quanto più son numerosi e perfetti tolgon tanto più fede alla genuinità delle attribuzioni, il Gietmann ha poi elevato il suo nuovo sistema d'ermeneutica teologica!

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Checchè si pensi però dell'autenticità della lettera ai cardinali italiani fosse almen diretta anche agli stranieri, chè anche questi sarebber << principi della terra »! — essa non può aver nulla che fare con quella accennata nella Vita Nuova. Clemente V morì il 20 aprile, e il successore, Giovanni XXII, sali al trono il 7 agosto del 1314: ventiquattro anni dopo, se Dio vuole, del funesto 9 giugno 1290!

XI.

Ben più modesta interpretazione è quella patrocinata dal Fraticelli e dal Carducci: principi della terra' significare i << principali personaggi di Firenze ». Che terra per città sia <«< comune nella lingua di Dante e del Trecento », è cosa si nota che quasi parrebber soverchi persin quei pochi esempi raccolti dai due illustratori; ma da un esame più largo del

1 TROYA, Del veltro allegorico di D., Firenze 1826; nell'appendice, pp. 214-16. Un altro argomento contro l'autenticità della lettera, lo SFORZA (C. Castracani in Lunigiana; Modena 1891) l'ha cavato dalla citazione ch'è in essa del vescovo di Luni, arrabbiato nemico di Arrigo VII. Lo ZENATTI però (Per l'autenticità ecc.; Messina 1895) ha fatto osservare che la pretesa citazione dantesca potrebbe avere il valore sarcastico delle altre: Fuor che Bonturo !» (Inf. XXI, 41) e Tràmmene Stricca! > (XXIX, 125).

l'uso di quella parola, specialmente nella Commedia, si riescirà forse ad acquistar la convinzione che anzi il suo significato più frequente è appunto codesto.

Se il poeta domanda: « Maestro, di', che terra è questa ? » (Inf. XXXI, 21), gli è perchè i giganti gli eran parsi mura che circondassero una città. E « la terra sconsolata » (VIII, 77) e «il muro della terra » (X, 2) indicano la città di Dite; alla quale credo che resti a guardar Virgilio, «gli occhi alla terra» (VIII, 118-9), anzichè sul suolo. Come invece fa Dante nel quarto girone del purgatorio, onde la sua guida ne lo rimprovera << Che hai che pure in ver la terra guati? » (Purg. XIX, 52); e fa il pellegrino Amore, « mi parea sbigottito e guardava la terra »,. nella Vita Nuova, § 9; e fanno figuratamente i mondani uomini, « E l'occhio vostro pure a terra mira» (Purg. XIV, 150). Rimirandosi poi attorno nel mondo, il povero esule vedeva « le terre d'Italia » tutte piene di tiranni (VI, 124). « La terra dove nata fui » (Inf. V, 97) par che sia proprio Ravenna. Il « Di vostra terra sono » (XVI, 58) e il « da tua terra insieme presi » (XXIII, 105) e la « nostra terra prava » (XVI, 9) alludono a Firenze; come pur de' Guelfi di Firenze dice ser Brunetto che « per forza di guerra Eran fuor de la terra» (Tesoretto, 159-60), poichè << non può scampare Terra rotta di parte » (178-9); e gli esiliati da Firenze si vedevano al tempo della peste « per la terra discorrere » (Decamerone I, introd.). Di Mantova, Virgilio può dir << la mia terra» (Inf. XX, 98); e Sordello: «< io son... della tua terra » (Purg. VI, 74), e commuoversi al << dolce suon della sua terra » (80). Lucca è « quella terra » così ben fornita di barattieri (Inf. XXI, 40); Forli, << La terra che fe' già la lunga prova » (XXVII, 43); Rimini, « la terra >> che Curione « vorrebbe di vedere esser digiuno» (XXVIII, 86-7); Marsiglia, « la terra Che fe' del sangue suo già caldo

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il porto » (Par. IX, 92-3). — E quando il Petrarca cominciava un suo sonetto: « L'aspetto sacro de la terra vostra », dicono ch'ei parlasse di Roma a un romano. E quando la vecchia ciciliana volle abbindolare Andreuccio da Perugia, gli disse che « una gentildonna di questa terra », e intendeva di Napoli, gli « parleria volentieri » (Decamerone II, 5). E quando ser Ciappelletto è per morire, teme non si levi a romore il popolo di quella terra di Borgogna, dov'egli esercitava le sue usure (I, 1). E quando messer Torello ritornò così miracolosamente a Verona, i frati se ne maravigliarono,« perciocchè in questa terra» nessuno v'era che non lo credesse morto (X, 9). E quando Neri degli Uberti uscì con la sua parte da Firenze, si ridusse a « Castello da mare di Distabia..., forse una balestrata rimosso dall'altre abitazioni della terra » (X, 6).

Dal significare una città, codesto vocabolo si allarga via via a significar la città col suo territorio, la provincia, la regione. Dante ricorda d'aver visti corridori « per la terra vostra, O Aretini» (Inf. XXII, 4-5). La sanese Sapia gli si raccomanda «Se mai calchi la terra di Toscana » (Purg. XIII, 148). La bolgia degli scismatici gli dà idea de' cruenti campi della << fortunata terra di Puglia » (Inf. XXVIII, 7-9). La << terra che il Soldan corregge » (V, 60) è tutto l'Egitto. << Di Josuè... la terra santa Che poco tocca al papa la memoria » (Par. IX, 125-6) è, anzichè Jerico, tutta la Palestina. La « terra, dove l'acqua nasce Che Molta in Albia e Albia in mar ne porta » (Purg. VII, 98-9), è la Boemia; e l'Ungheria è quella terra che il Danubio riga » (Par. VIII, 65). L'Italia poi, che nell'inferno è ricordata come « la dolce terra latina (Inf. XXVII, 26-7; XXVIII, 71), nel paradiso è biasimata come << la terra prava italica » (Par. IX, 25). E << l'altra terra » è chiamato dal purgatorio tutto il nostro emisfero (Purg. XXVIII, 112), a cui venne, in tempo della

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