Sayfadaki görseller
PDF
ePub

peccati, l'accidia genera alla sua volta una serqua d'altri vizi: la malizia, il rancore, la pusillanimità, la disperazione, il torpore circa i precetti, e l'errore della mente intorno a cose illecite.

Anche l'ignavia è, secondo sant' Isidoro, generata dall'accidia; ma è della generazione, per dir così, veniale di quel peccato capitale, a cui appartengono anche la sonnolenza, l'importunità della mente, l'inquietudine del corpo, l'instabilità, la verbosità e la curiosità. Tuttavia non è da confonder la figlia con la madre. Papa Celestino V non fu certo accidioso del bene divino; anzi, come uomo pio, fu tanto irreprensibile da meritar, con esempio abbastanza singolare, la canonizzazione pochi anni dopo la morte: così presto, da lasciar appena il tempo a Dante di cacciarlo nell'Antinferno! (Inf. III, 59-60). Convengo pur qui col D'Ovidio, che «se, quando Dante scriveva, colui fosse stato già venerato sugli altari, il poeta l'avrebbe allogato in Paradiso, bensì mettendogli in bocca parole di vivo pentimento per la sua abdicazione e di postumo sdegno per il successore ». — Più che a David accidioso, quel Papa dimissionario può rassomigliarsi al pigro dei Proverbi (XXII, 13): « Il pigro dice: il leone è fuori; io sarei ucciso in mezzo delle piazze » ; o altresì al servo della parabola evangelica, che interrò il talento donatogli dal suo signore per paura di metterlo a frutto. E come codesto signore cacciò di casa il pusillanime, comandando agli altri servi: « toglietegli il talento... e cacciate l'inutile servo nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridore di denti » (Matth. XXV, 14 ss.); così Dante cacciò fuori e della città di Dio e di quella di Dite, nelle tenebre esteriori, l'inutile sant'uomo e Papa pu

1

1 DIONISIO CARTUSIANO commenta: «Vanas et leves accidiosus quaerit occasiones et excusationes quibus evadat, ne cogatur ingredi et exercere opera bona ».

[blocks in formation]

sillanime. Era un pio cenobita, un contemplativo immacolato, ma era anche un egoista ed un inetto: un angelo per illibatezza di costumi, ma di quegli angeli che avrebbero, con beata indifferenza, lasciato che Lucifero consumasse il « superbo strupo », senza che per loro si pensasse a rafforzare le schiere di Michele. E che era per Dante Bonifazio VIII, cui il rifiuto di Celestino dischiuse la via al papato, se non un redivivo Lucifero?

Gl'ignavi non son neanche ammessi al giudizio di Minosse, perchè « misericordia e giustizia li sdegna » (Inf. III, 50). Scorazzeranno, eterno pascolo di mosconi, di vespe e di vermi fastidiosi, sulla spiaggia fra la porta dell'inferno e l'Acheronte. Ciò non è conforme ai dettami della morale ortodossa; e Dante che lo sa, riserbando il nome di rei ai dannati del vero abisso cristiano, dall'Acheronte a Lucifero, chiama invece semplicemente sciaurati codesti rifiuti del cielo e dell'inferno 2. Qui « il concetto morale », ha osservato il De Sanctis, « rimane estrinseco alla poesia... La morale pone i negligenti sul limitare dell'inferno, la poesia li pone più giù dell'ultimo scellerato, che Dante stima più di questi mezzi uomini. E la poesia è d'accordo con la tempra energica del gran poeta e dei suoi contemporanei. A quegli uomini vestiti di ferro anima e corpo, questi esseri passivi e insignificanti doveano ispirare il più alto dispregio ».

Non bisogna però troppo affrettarsi nel far pesare tutta sulla

1 S. TOMMASO, Summa, II, 11, qu. 133, a. 1: « Servus, qui acceptam pecuniam domini sui fodit in terram, nec est operatus ex ea propter quemdam pusillanimitatis timorem, punitus a domino ». E in Matth., 1. c.: Non punitur propter malum quod fecerit, sed propter bonum quod omisit ».

2 Lo ZINGARELLI ha poi ricercato il vero valore del vocabolo sciaurati, nel Giornale Dantesco, a. I (1893), qu. 6. Cfr. però le giuste osservazioni del FLAMINI, nel Bull. Soc. Dant., n. s., I, 49 ss.; e ora nelle Spigolature di erudizione e di critica, Pisa 1895, p. 5 ss.

coscienza di Dante la responsabilità della creazione di codesto staterello anarchico, o infernal Repubblica di San Marino, fra i tre regni oltramondani legittimamente costituiti. Oltrechè già nella leggenda di San Brandano gli angeli neutrali son relegati, in una specie di domicilio coatto, sur un' isola remota dell'Oceano, dove non soffrono altra pena se non la privazione della vista di Dio ; nell'Apocalisse, che Dante ha con molto profitto tenuta presente e nel disegno generale e nei particolari della Commedia, il Cristo manda a dire a quei di Laodicea: «Io conosco le tue opere: tu non sei nè freddo nè fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, giacchè sei tiepido e non freddo nè fervente, io ti vomiterò fuor della mia bocca » (III, 15-6). Or chi non raffigura in codesti tiepidi maledetti da Cristo gl'ignavi maledetti da Dante? E forse fu quell'utinam frigidus esses aut calidus che « ispirò a Dante », com' ebbe già a supporre il compianto Gaetano Bernardi, « di fare un luogo a parte, e non propriamente nell'inferno, a questi sciagurati, e di attribuire ad essi il rodimento dell'invidia che li strazia » 2.

Il Bernardi vuol vedere anche nell'evomere ex ore meo la ragione della frase dantesca « cacciârli i ciel »; e il riscontro è senza dubbio giusto, salvo non si dimentichi che i tiepidi dell'Apocalisse, cacciati dal cielo, precipitano a buon conto nell'inferno, mentre gl'ignavi di Dante non vi sono ammessi 3. In un altro passo di quel libro profetico (XXI, 8),

Il riscontro fu già notato da altri. Cfr. GRAF, Miti, leggende e superstizioni, II, 82 ss.

2 Giorn. di filol. romanza, v. II, p. 169 n.

3 Si è lungamente disputato sull'alcuna del famoso verso (Inf. III, 42); « Chè alcuna gloria i rei avrebber d'elli». Significa qualche, come tutti gl'interpreti spiegarono (cfr. BLANC, Saggio, p. 38 ss.; Vocab. Dant., v. Alcuno); o niuna, come pretese il MONTI (Proposta, appendice, p. 271)? Considerazioni d'ogni genere persuadono che il Monti ebbe torto a stac carsi dalla opinione comune. Nel Giornale Dantesco (a. II, quad. 4),

GLI ACCIDIOSI

407 detto: «ai timidi, agl'increduli, ...agli omicidi, ai fornicatori, ai maliosi ed agl'idolatri e a tutti i mendaci, la parte loro sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda >>. I timidi non posson essere che gl'ignavi, ed è loro, come si vede, minacciata la morte seconda, cioè l'eterna dannazione (cfr. Inf. I, 117); Dante invece dà come massimo supplizio ai suoi sciaurati il non avere « speranza di morte » cioè di dannazione (III, 46), anzi l'invidiare la sorte di ogni altra maniera di dannati!

III.

[ocr errors]

Dante cattolico non avrebbe potuto disconoscere il diritto che hanno invece gli accidiosi, rei d'uno dei sette peccati legalmente riconosciuti, di godere -se godimento è della morte seconda; e sarebbe un disconoscerlo, così il non punirli, come il confonderli con gli sciaurati che « lo profondo abisso non riceve ». Bisogna cercarli dunque proprio nel profondo abisso.

Che nella palude stigia siano due maniere di peccatori, risulta chiaramente dalle parole stesse di Dante. Quelle che si vedono, son « le anime di color cui vinse l'ira » (Inf. VII, 115 ss.); quelle che non si vedono, ma che, sospirando nel fondo,« fanno pullular quell'acqua al summo » (VII, 118 ss.), son le anime dei rei di tristizia, i quali nella vita portarono dentro accidioso fummo, ed ora s'attristano in quella fan

A. TENNERONI ha pubblicato due brani di lettere inedite del Monti in difesa della sua interpretazione. Contro la quale scrisse anche il DI CESARE (Note a Dante, ripubblicate negli Opuscoli Danteschi, Città di Castello 1894). Recentemente F. CIPOLLA (negli Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, v. XXIX, 1894) ha sostenuto che l'alcuna valga una, una tal data gloria; ma lo contradisse R. FORNACIARI, nel Bull. Soc. Dant., n. s., I, 150-2.

ghiglia, senza poter neanche formare interi i lamenti. Son gli accidiosi dunque! E così ha ritenuto, come abbiam visto, la più parte degli interpreti, rimasti saldi nella vecchia e giusta opinione in grazia specialmente di quel fummo accidioso. Qualcuno ha anche messa in campo come di san Tommaso una definizione dell'accidia che, certo, avrebbe un mirabile rapporto coi versi di Dante: vaporationes tristes et melancholicae; devo però confessare di non esser riuscito a ripescarla nella Somma 2.

Per quanto sia pur cosa nuova nell'Inferno dantesco che in uno stesso cerchio sien puniti i rei di due differenti peccati mortali, chi ben osservi e parecchi degl'interpreti l'hanno infatti osservato l'ira e l'accidia, piuttosto che due vizi diversi, potevano a Dante sembrare i vizi opposti della stessa virtù 3. << Ciascuna virtù », egli insegna nel Convivio (IV, 17),

«

-

1 Graziosa è la chiosa del TALICE: Autor fingit accidiosos puniri sub pantano et aqua Et sciendum quod isti fuerunt prelati. Et dicit: ipsi non possunt dicere integre, sed murmurando dicunt, sicut patet de presbiteris dicentibus officium suum ».

...

2 Cfr. intanto Summa, I, 11, qu. 46, a. 1 e 2: « Ira includit multas passiones: est enim cum tristitia et cum spe et cum delectatione Ira causatur ex tristitia; unde Philosophus dicit in VII Ethic. quod ira operatur cum tristitia ›. Non è mancato chi nello Stige non ha collocato che un peccato solo, l'accidia. Il sig. ROCHUS VON LILIENCRON (Die Insassen des vierten Dante'schen Sunderkreises, nella Zeitschr. f. Vergleich. Litteraturgesch. und Renaiss.-Litter., n. s., vol. III, p. 24 ss.) ha preso le mosse dal luogo di san Tommaso, testè riassunto. Quando, questi dice, tristitia sit de spirituali bono divino, vitium capitale necessario est, cuius filiae sunt malitia, rancor, pusillanimitas, desperatio, torpor circa praecepta, ac mentis evagatio». Perciò, color cui vinse l'ira rappresen tano nello Stige il rancor e l'evagatio mentis; i tristi, il torpor, la pu sillanimitas e la desperatio. L'Argenti, conclude il Liliencron, non è iracondo ma furioso, spirito bizzarro, affetto cioè dalla evagatio mentis. Cfr. Bull. Soc. Dant., a. s., II-III, p. 60.

3 L'ANONIMO FIORENTINO: « L'auttore pone ancora esser puniti in questo cerchio l'ira et l'accidia, che sono due vizi obpositi, il cui mezzo è la virtù della temperanzie ». Nel Purgatorio Dante ancora mette insieme prodighi ed avari (XXII, 49–51), ma sèpara i superbi dagl'invidi, e gl'irosi dagli accidiosi. Si ricordi che qui egli volle seguire una distribuzione topografica più nettamente cattolica.

« ÖncekiDevam »