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16 LO BELLO STILE "

459 << Lo stile poetico di Dante », ha concluso da par suo il Comparetti, << risulta dall'opera armonizzata del sentimento e della riflessione... Non è nè improvvisazione scomposta e tumultuaria, nè fredda versificazione di dottrine e pensieri filosofici allegorizzati: è poesia vera e propria, ma grande poesia di riflessione..... Insomma la poesia dantesca è grande poesia di riflessione individuale, che si slancia ricisamente e s'innalza al di sopra della poesia popolare o convenzionale; è poesia classica, non per imitazione dei classici, ma perchè raggiunge quel livello di nobiltà artistica che costituisce la classicità. Tale è lo bello stile di Dante, e s'intende che Virgilio, il più grande poeta classico allora conosciuto, fosse il più grande esempio a lui noto dell'arte poetica così concepita ».

Quando poi, nella Commedia, la somiglianza della materia da lui assunta gli darà agio a una imitazione anche più larga di quello stile, Dante mostrerà d'aver saputo far suoi anche altri pregi di esso. E può così aver ragione anche il Foscolo, quando asserisce che lo stile dantesco consista nel « conflato d'idee concomitanti », che « prorompe simultaneo e potente dalle sue locuzioni ». Or Virgilio, continua il Foscolo, « non è egli maestro di stile si fatto? Visae canes ululare per umbram (Aen. VI, 257), benchè le non si vedessero e solo potessero udirsi; ma il terrore delle loro urla fa immaginare le loro gole spalancate a divorare; e ne risulta maggiore il coraggio d'Enea che traversava la notte infernale. Di modi sì arditi, infiniti nella poesia di Virgilio, Dante s'è fatto un'arte nuova sua tutta. Ove alle volte non fosse impedito dalla sintassi, vincerebbe d'evidenza il maestro, come senz'altro lo passa negli altri meriti di quella specie di stile. Esso n'era più fortemente di

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sposto, si per più alta profondità d'intelletto, e per fantasia più inventiva; e si per la singolarità del soggetto, e per l'unione di sillogismi e d'immagini; e tanto più quant'ei, maneg giando una lingua nuova, poteva, più che Virgilio, ridurla sotto ogni legge a obbedirgli » 1.

Comunque, tra' maggiori vanti dell'Alighieri è anche quello d'aver rinnovato il culto per Virgilio e per l'opera di lui; che se questo per noi italiani è ora religione comune, gran parte del merito ne va reso appunto all'entusiasmo d'un tanto apostolo. Certo, la fama delle opere virgiliane visse sempre, anche durante l'ignoranza medievale, vigorosa nel mondo; e in grazia di essa, e di quella tradizione che del poeta avea finito col fare un mago, il poeta potè esser invocato da Dante quale << famoso saggio » (Inf. I, 89). Ma non è a credere che tutti, anche fra i chierici del Dugento, conoscessero davvero l'Eneide, o per l'appunto com' ei la conobbe; che tutti fossero al caso di leggerla e d'intenderla con occhio chiaro e con affetto puro; e che tutti finalmente concepissero pel suo autore la venerazione che Dante gli ebbe. Altro è conoscer per fama, ed altro conoscer intimamente e direttamente. Nel primo

1 FOSCOLO, Discorso sul testo, § 200, p. 459. -II DE SANCTIs, a proposito d'una versione giovanile del Leopardi (Studio su G. Leopardi; Napoli 1885, p. 64-5) esce a dire: «Volete sentire il vero traduttore di Virgilio? Volete il poeta che rende il poeta, ma a modo suo e con tono e con accento suo? Eccovi avanti l'infandum iubes renovare_dolorem [Inf. XXXIII, 4-5]: Tu vuoi ch'io rinnovelli Disperato dolor. Infandum dolorem, disperato dolore: l'uno senza espressione 'e l'altro senza speranza '; tutti e due infiniti. E il quis temperet a lacrymis? Eccolo [v. 9]: Parlare e lagrimar vedra' mi insieme. E il si tantus amor casus cognoscere nostros? [V, 124] Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto. Eccovi il traduttore di Virgilio! A che distanza stanno dai due poeti il vecchio Caro e Leopardi ancor giovanetto! > 2 Frate Guido da Pisa, dichiarando i suoi propri versi, in cui chiamava Dante il

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grande doctore

Per cui vive la morta poesia,

D

scriveva ipse enim poeticam scientiam suscitavit, et antiquos poetas in mentibus nostris reminiscere fecit. V. nel Propugnatore, n. s., v. I.

VIRGILIO AMMIRATO

DA SORDELLO E DA FOLCHETTO

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modo possono, per esempio, averlo conosciuto i trovatori Folchetto e Sordello. È bensì vero che l'uno di essi ricorda gli amori della figlia di Belo» (Par. IX, 97-8; e v. indietro p. 273-4); e l'altro mostra pel sommo poeta latino la stessa ammirazione che Stazio, e nel modo medesimo, abbracciandolo cioè << ove il minor s'appiglia » (Purg. VII, 15) come quell'antico aveva tentato d'abbracciargli i piedi (XXI, 130):

Già si chinava ad abbracciar li piedi

Al mio dottor.....

Ma gli amori di Didone, oggetto oramai di poemi e di storie, pɔtevan esser noti pur senza aver mai letta l'Eneide; e la riverenza del trovatore mantovano non è generata, come nel caso di Stazio, dal fatto che l'Eneide fosse anche a lui « mamma e nutrice poetando » (Purg. XXI, 97-8; e cfr. pag. 185-6), bensì dall'altro, ch'ei riconosce nel suo interlocutore il più illustre dei concittadini (VII, 16; cfr. pag. 190):

O gloria dei Latin, disse, per cui

Mostrò ciò che potea la lingua nostra,

O pregio eterno del loco ond'io fui!

Consento pienamente con chi vuole escludere qualunque significato allegorico o storico dal verso (Inf. I, 63):

Chi per lungo silenzio parea fioco 1;

ma ei mi pare che non sia, nel caso nostro, di poca importanza il notare come parecchi dei chiosatori più antichi vi fiutassero quel significato appunto. Il Buti, per esempio, commenta: « E finge l'autore che costui fosse fioco per lungo silenzio, litteralmente denotando i studi poetici da

1 Cfr. N. SCARANO, Sul verso Chi per lungo.....; Napoli 1894 (nei Rendiconti dell'Accad. di Arch. Lett. e B. Arti).

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pochi essere esercitati, impigriti li uomini alli studi de' poeti e dell'arti e scienzie, e diventati solliciti delle cose del mondo». E il Boccaccio: « ma non credo l'autore questo intenda qui, ma piuttosto, per difetto delli nostri ingegni, i libri di Virgilio essere intralasciati, già è tanto tempo, che la chiara fama di loro è quasi perduta, o divenuta più oscura che essere non solea ». E del resto, se di codesti antichi l'Ottimo, Pietro di Dante e ser Graziolo mostrano di possedere una cultura classica più o men vasta e sicura, e ad ogni modo una conoscenza diretta dell'Eneide, altri, come il Lana, lasciano a più d'un segno scorgere ch'essi citan Virgilio da qualcuno de' tanti rifacimenti medievali del suo poema 1.

Ma, oltre questo, conobbe Dante pur le altre opere di Virgilio? Una volta, nel Purgatorio (XXII, 57), ei lo chiama: « il cantor dei bucolici carmi »; ed ivi stesso (v. 70-2) mette in bocca a Stazio, tradotti un po' liberamente, alcuni dei primi versi (5-7) della quarta ecloga :

Quando dicesti: Secol si rinnova ;

Torna giustizia e primo tempo umano,

E progenie discende dal ciel nova.

Dei quali poi, nel De Monarchia (I, 13), riferisce testualmente il secondo: Jam redit et Virgo..... Sennonchè quest'indizi non potrebbero da se soli provare la diretta conoscenza della Bucolica.

1 Cfr. Rocca, Di alcuni commenti, p. 356-9, 261-2, 67-8, 185-6. Anche quanto a cultura, BENVENUTO volerà poi su tutti; e di lui ci rimane un commento alle Bucoliche e alle Georgiche. Cfr. NOVATI, nel Giorn. Storico, XIV, 267 n. — Il novelliere Sercambi asseriva che Virgilio fosse fi rito a tempo dell'imperatore Adriano! VESPASIANO DA BISTICCI affermava del Niccoli (Vite ecc., ediz. Bartoli, Firenze 1859, p. 478): « Puossi dire Nicolao essere stato quello che ha risuscitato le lettere latine e greche in Firenze, le quali erano state sepolte infinitissimo tempo; e bene che il Petrarca, Dante e il Boccaccio l'avessino alquanto rilevate, non erano in quello luogo che furono mediante Nicolao ».

L ECLOGA QUARTA DI VIRGILIO

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IV.

Ognun sa quanto discutere si facesse, tra gli scrittori cristiani, intorno a quel famosissimo principio dell'ecloga quarta, che si considerava come una delle tante profezie, e sotto un certo rapporto la più autorevole, del Cristo venturo. E senza dubbio, da quei versi traspare un concetto messianico, che non s'intende chiaramente onde provenga. Qualcuno, preoccupato della sorte oltremondana toccata al gentile poeta, vi voleva scorgere un raggio della grazia divina, foriero d'un'anticipata redenzione; e in tal caso, Virgilio sarebbe salvo tra (Par. XXXII, 24)

Quei che credettero in Cristo venturo.

Ma altri, e Dante fu di questi, credettero invece che anch'egli si trovasse nella condizione di quei due ciechi dei quali narra Matteo (XX, 30) che, sedendo sulla via, audierunt quia Jesus transiret, et clamaverunt. Facesti, gli dirà Stazio (Purg. XXII, 67),

Facesti come quei che va di notte,

Che porta il lume dietro, e sè non giova,
Ma dopo sè fa le persone dotte.

Sant'Agostino, che sentiva per Virgilio una tenerezza che ricorda quella di Dante, accennando alla profetica ecloga diceva

1 Cfr. COMPARETTI, Virg. nel m. evo, I, 131 ss. Prudenzio fece in parte suoi quei profetici versi, dicendo in un inno:

Ecce venit nova progenies

Aethere proditus alter homo...

Cfr. GRAF, Roma, II, 205 ss. L'Ottimo afferina appartenessero all'Eneide i versi: Magnus ab integro...! Cfr. Rocca, Di alcuni commenti, p. 262 n.

2 Cfr. De Civitate Dei, I, 3: Nempe apud Virgilium, quem propterea parvuli legunt, ut videlicet poeta magnus omniumque praeclarissimus

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