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I DOVERI DEL NUOVO BIOGRAFO

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XIX

tiva il D'Ovidio, l'espression figurata" che i fatti parlan da sè,; chè essi parlano a chi ha orecchie per udirli, ossia acume per intenderli, coordinarli, integrarli con la riflessione e col ragionamento Occorre che qualcuno, professando un ragionevole ossequio a quanto di buono fecero i nostri antichi, dall'Ottimo e da Pietro di Dante a Benvenuto e al Landino, dal Boccaccio e dal Villani al Balbo e al Fraticelli, da Leonardo Bruni al Pelli; mettendo a profitto la messe raccolta e vagliata dal Witte, dal Bartoli, dall'Imbriani, dal Del Lungo; giovandosi delle geniali osservazioni del De Sanctis, del Carducci, del D'Ovidio: si accinga a narrar nuovamente la vita di Dante e a esporre e illustrare l'opera sua. Occorre, nel farlo, di tenersi lontano da ogni esagerazione, da ogni capriccio, da ogni pregiudizio o partigianeria di scuola o di metodo; e aver la mano sicura nello sceverar, tra la immane congerie di commenti, di monografie, di saggi, di appunti, di postille, accumulatasi via via intorno a ciascun argomento dantesco, l'inutile ed insulso dal veramente cospicuo o per isquisitezza di ragionamento, o per acume ermeneutico ed estetico, o per larghezza e finezza d'illustrazioni storiche e filologiche. Guai a impigliarsi tra le cannucce e il braco, E occorre pure che si proceda spicci. Riesce oramai dannoso e tormentoso il veder, in ogni nuovo lavoro, rifatta la storia delle questioni, riferendo gli stessi luoghi de' commentatori, gli stessi versi del poema, gli stessi titoli de' lavori precedenti! Il più delle volte basterebbe rimandare o al Commento o a qualcuno de' manuali dello Scartazzini, o al Bullettino della Società Dantesca; e sarebbe

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cortesia verso i lettori il trascurare certi scritterelli, magari grossi anche di mole, messi al mondo per vaghezza d'originalità ma con senno poco. L'accresciuta diffusione del culto del poeta divino ha, con tanti vantaggi, prodotto pur questo danno: che le questioni dantesche son diventate quasi come le politiche, e ognuno si crede in diritto di poter dire la sua. Ma a qual uomo di Stato verrebbe in mente di reputar suo dovere il raccogliere e confutare tutte le fanfaluche schiccherate sulle colonne dei mille giornali o spifferate tra le colonnette delle centomila farmacie ?

E occorre, mi affretto a soggiungere prevenendo il giudizio dei lettori, che chi all'invito risponda: “ io mi sobbarco abbia, oltre le buone intenzioni che ho io, le qualità necessarie per recarle in atto.

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Milano, il 1° del giugno 1896.

L'ANNO DELLA NASCITA

I.

Che commozione per un erudito se, frugando in qualche archivio fiorentino, riuscisse a metter la mano sulla fede di battesimo di Dante! Peccato che la cosa sia impossibile; giacchè è solo dal 4 novembre 1450 che in Firenze si cominciò a tener conto dei battezzati. Ci fu bensì nel 1338 un piovano di buona volontà, il quale, « per havere il novero » dei nati, << per ogni maschio che battezzava in San Giovanni..., metteva una fava nera, e per ogni femmina una bianca »>< (una garbata cavalleria in questa scelta di colori!). Ma, prima di tutto, siamo già ben lontani dal tempo in cui il neonato di monna Bella era tuffato nel fonte del suo battesimo; e poi, chi saprebbe discernere tra le fave nere quale per l'appunto indicasse Dante ?

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Per fissare quindi la data della sua nascita, bisogna contentarsi delle affermazioni dei biografi e dei chiosatori, e cercar di convalidarle colle parole stesse del poeta. Veramente, le une e le altre sono abbastanza esplicite, e tali da contentare anche critici che non siano addirittura di manica larga. Ma negli studi danteschi c'è stata fino a poco tempo

1 G. VILLANI, XI, 93.

SCHERILLO, Biografia di Dante.

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fa la moda di mostrarsi diffidenti verso tutti e per tutto, ed è sembrato ottimo metodo il ritrarre come tinto più che perso quel ch'era semplicemente bigio e che con un po' di buona volontà sarebbe tornato candido. Certo, non tutti quelli che scrissero di Dante s'accordano nel fermarne l'anno della nascita, nè tutte le parole di lui par che sorreggano la data ammessa dal maggior numero; ma, fra le testimonianze, bisognerebbe preferire le più attendibili a quelle buttate li senza coscienza, e le parole del poeta ingegnarsi di comprenderle meglio '.

Nella Vita Nuova, Dante, nel determinare l'età di Beatrice, determina anche la sua. Ei la vide, dice, « quasi dal principio del suo anno nono..., quasi alla fine del mio nono anno » : dunque aveva poco men di un anno più di lei. Ora, Beatrice morì il 9 giugno 1290, quando era « in sulla soglia di sua seconda etade » (Purg. XXX, 124), cioè in sul varcare il venticinquesimo anno; giacchè, quanto alle quattro etadi dell'uomo, << della prima nullo dubita... ch'ella dura infino al venticinquesimo anno », e la seconda dura venti anni, sicchè << nel quarantacinquesimo anno si compie » (Conv. IV, 24). Dante aveva allora compiuti i suoi venticinque: era quindi nato nel 1265. E pare confermi ciò nel Convivio (I, 3), dove dichiara d'essere « nato e nudrito » nel dolcissimo seno di Firenze << fino al colmo » della sua vita; e il colmo dell'arco della nostra vita è nelli trentacinque (IV, 24). Era stato dunque in Firenze fino a che vi aveva compiuti i trentacinque anni; e poichè ei se ne dovette allontanare verso la fine del 1301, sembra potersene concludere esser egli

1 Per la bibliografia, cfr. SCARTAZZINI, Prolegomeni della Divina Commedia; Leipzig 1890, p. 27. Meglio ancora, Dante Handbuch; Leipzig 1892, p. 48-9. E Bullettino della Società Dantesca Italiana; Firenze, nuova serie, vol. II, pag. 7-8.

QUALE RISULTA DALLE OPERE DI DANTE

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nato suppergiù nel 12651.—E finalmente, ei finse la grande sua visione nella pasqua del 1300 (Inf. XXI, 112 ss.; Purg. II, 94 ss.), allorchè era « nel mezzo del cammin di nostra vita », cioè sui trentacinque anni.

Fu appunto questo verso che diede occasione ai chiosatori d'occuparsi dell'anno natalizio del loro poeta. E tra essi, merita d'essere segnalato Pietro, il figlio stesso di Dante, che postilla: «... ad tempus humanae vitae se refert, cuius medium est trigesimus quintus annus..., in quo medio doctrinat nos moraliter in persona sui debere aperire oculos mentis ad videndum ubi sumus, an in recta via ad patriam aut non ». Solo pochissimi dissentirono: tra' quali, il Falso Boccaccio, che disse il poeta essere nei trentatrè anni; ser Graziolo, << nella etade di XXXII o di XXXIII anni»; e Jacopo di Dante, che chiosò ambiguamente: « mostrando che fosse nel mezzo del cammin di nostra vita, per lo quale si considera il vivere di XXXIII ovvero di XXXIV anni, secondo quello che del più e del comunale ha, e simigliante in per quello

1 Mi par questo uno di quei casi, in cui Dante si compiace, per ragioni di stile, di arrotondare un po' l'espressione. Egli volle indicare solo approssimativamente l'età sua al tempo dell'esilio; ed è naturale che non mettesse a calcolo qualche mese più o qualche mese meno. Fece lo stesso quando disse a Forese (Purg. XXIII, 76-8) che dal dì della morte di lui, avvenuta nel 1296, al momento del loro incontro, 1300, non eran corsi ancora cinque anni. Qualche volta anzi, per far rispondere le cifre a certi suoi preconcetti statistici o cabalistici, non si peritò di stiracchiarle : come qui stesso, nel Convivio (IV, 23), dove, per far capitare la morte di Cristo al colmo della sua età », si attacca ad un fere del vangelo di Luca (XXIII, 44), e ne conclude che era <al trentacinquesimo anno »; o come nella Vita Nuova, dove si sforza e di assegnare una medesima età a sè stesso ed a Beatrice (§ 2), e di metter la morte di questa in una serie di numeri nove (§ 30).

2 Cfr. RISTORO D'AREZZO, Composizione del mondo, I, 12: « L'uomo è detto per li savi che vive settanta anni.... Tanto tempo come l'uomo mette in crescere in forza et in biltà et in vigore, conviene che l'uomo metta a invecchiare et andare a niente. Lo termine di crescere in vigore et tien biltà si è trentacinque anni ».

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