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vuol fare la storia del suo amore. Ed è poetico, quando dipinge senza veste di allegoria il suo stato anteriore:

Lagrima ancor non mi bagnava il petto

Nè rompea il sonno; e quel che in me non era,
Mi pareva un miracolo in altrui.

Lasso, che son? che fui?

La calma giovanile è rappresentata in modo che vi fa intravedere le agitazioni presenti; perchè quel non ancora vi mostra che ora le lagrime bagnano il petto e rompono il sonno; è lo stato anteriore descritto col turbamento dello stato presente; quel non concepire in altri ciò che non era in lui è l'anima inesperta del giovine colta in atto; e accanto a quella gaja spensieratezza di allora si drizza subito il presente nella sua impazienza, con una improvvisa e patetica interrogazione « Lasso che son? che fui? » Questo ci fa già presentire il gran poeta. Ma ecco sorgere l'allegoria che guasta questo bel principio, e ci fa dire col Petrarca: la vita il fine, e il di loda la sera. Il principio ci fa dire: oh che bella canzone che la dovrà essere questa! ma attendete il fine. Il poeta vuol dire che s' innamorò di Laura, e dice che fu trasformato in un lauro verde, e s'intrattiene a descrivere come d'uomo divenne arbore. Seguono le sue metamorfosi, delle quali ciascuna rappresenta lo stato del suo animo in questa o quella avventura amorosa. Di arbore divien

cigno, di cigno sasso, poi fonte, poi eco, all'ultimo

cervo

Ed in un cervo solitario e vago,

Di selva in selva, ratto mi trasformo,
Ed ancor de'miei can fuggo lo stormo.

Così finisce questa canzone, tanto celebrata per la sua ingannevole apparenza; perchè, se guardiamo alla scorza, è lucente di ornamenti rettorici, con una cotal maestà epica, la quale mette più in risalto l'insipidezza del fondo. Seria è la forma allegorica, quando è momento storico, quando nel tal tempo si concepisce a quel modo l'astratto, non ci essendo ancora la forza di coglierlo direttamente nella sua intimità. Per il Petrarca, che rappresenta con tanta possanza il sentimento amoroso, l'allegoria è un'imitazione, una vuota forma letteraria.

Nè abusa meno delle personificazioni. Il cuore, il sospiro, il sole sono personificati; la mitologia guasta il sentimento della natura e gli fa esprimere i più bei fenomeni con forme convenzionali. Vuol descrivere l'apparire del giorno, e comincia con quattro magnifici versi:

Il cantar novo e il pianger degli augelli

In sul dì fanno risentir le valli,

E il mormorar de' liquidi cristalli

Giù per lucidi freschi rivi e snelli.

Ed ecco ficcarsi l'Aurora mitologica a sconciar tutto, ballando e

Pettinando al suo vecchio i bianchi velli 1

Nojosissimo è soprattutto l'Amore, a cui il Poeta indirizza sovente la parola, ora rimproverandolo di aver ferito di saetta lui disarmato, ora pregandolo a far vendetta di tutti e due contro l'altera Laura, ora introducendolo come segretario de' suoi amori, ora come suo signore.

Il ragionamento, l'allegoria, e la personificazione, sono difetti di quel tempo; al che bisogna aggiungere i difetti proprii del poeta.

Chiuso in una cerchia limitata di sentimenti intorno sempre allo stesso oggetto, per manco di nuove impressioni rimane come stanco ed esausto. L'uomo ha bisogno ad ora ad ora di risanguarsi e ringiovanirsi, e guai a lui, se non ha la forza di mutare il consueto orizzonte, rinfrescare le impressioni e i sentimenti. Che se non ci è dato di serbare la giovanezza del corpo, facciamo di serbare la giovanezza ancor più preziosa dell' anima. Ma il Petrarca alcuna volta si ostina negli stessi oggetti come un corvo sul cadavere. Le prime volte fecero gagliarda impressione su di lui, lucenti di tanti accessorii; ora stanno lì, ingialliti, disabbelliti, nudi

1 I Petrarchisti hanno spinta questa immagine un po' grottesca ancora più oltre. Uno dice: « Il bifolco d' Anfriso Col vomer della luce arava il Cielo ». Costui ha fatto di Apollo un bifolco, un altro ne fa un carnefice: « Ecco del Cielo il colorato auriga, Febo guerrier, che taglia con la scure dei raggi il collo all'ombra ». Era degno d'inventar la ghigliottina.

e crudi. Ritornano, ma semplici parole, che non risvegliano più alcuna emozione nel suo cuore; sta innanzi a loro, vuoto e freddo. Parla d'amore e non è più innamorato; verseggia, e non è più poeta; è un semplice letterato. L'arte muore, e comincia il mestiere, scimia di quella. Ripete sè stesso insipidamente e meccanicamente, monotonia della sua anima, che s'appicca al lettore e lo annoja. Questo stato di stagnazione o di ozio interno, di cui è frutto in poesia l'aridità, l' insipidezza e le freddure, è però ben raro nel Petrarca. Il più spesso nelle sue ripetizioni vuol fare illusione a sè ed al lettore, e si sforza di dare del nuovo. Lo sforzo è il simulacro della vita, perduta la forza. Lavora con la riflessione, aguzza le idee, gioca con le cose e con le parole, spinge il pensiero e l'immagine fino all'assurdo.

L'acuta riflessione del Petrarca si ficca troppo spesso dove non è chiamata, ed anche ne'momenti di schietto calore poetico. Di che quella sua tendenza a costringere talora in un verso solo cose e rapporti lontani, che ora annunzia velocità d'immaginazione ed ora sottigliezza di riflessione. Ama le sentenze e a chiuderle in un verso: e centinaja ne sono rimasti nella memoria de' lettori, che si applicano a proposito ed a sproposito in tutte le occasioni. Qual è il miglior verso del Petrarca? dimandava uno sciocco: ed il Tasso di rimando

Infinita è la turba degli sciocchi

Un altro, deridendo la povertà del Tasso, dicea:

Povera e nuda vai, filosofia.

E il Tasso di rimando con un verso dello stesso Petrarca, che viene immediatamente appresso:

Dice la turba al vil guadagno intesa.

Questi versi sentenziosi, staccati dal rimanente, sono come una bella melodia di una cattiva musica; il verso si ricorda, la poesia è dimenticata. Un retore, in luogo di dire Italia, dirà:

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Che Appennin parte, e il mar circonda e l'Alpe.

Di qual sonetto o di qual canzone fa parte questo? nessun lo sa. Vuol uno dire che sta in dubbio? dirà:

Nè sì, nè no nel cor mi sona intero

Vuol uno far l'elogio di una cantante? dirà:

Il cantar che nell'anima si sente.

Vuol esprimere condoglianza? dirà:

<< Morte fura

Prima i migliori e lascia stare i rei.

Vuoi anche tu sputar la tua sentenza sulla tomba di una bella giovinetta? ed il Petrarca viene al tuo

soccorso:

Cosa bella mortal passa e non dura.

DE SANCTIS Saggio critico sul Petrarca.

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