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Ti vuoi lamentare di una donna infedele? E trove

rai nel Petrarca:

Femmina è cosa mobil per natura;
Ed io ben so che l'amoroso stato

In cor di donna picciol tempo dura.

Ce ne sono infiniti di così fatti, divenuti proverbii e luoghi comuni. Questo non è il difetto, ma la qualità dell'ingegno del Petrarca, come di Tacito o di Seneca. Ma diviene difetto, quando le idee non sbalzan fuori per interno calore, ma sono cercate e lambiccate per uno sforzo di riflessione. Parlando degli occhi di Laura, dice:

« Ove il piacer s'accende.

Che dolcemente mi consuma e strugge.

È una idea che sgorga da un impeto d'entusiasmo, espresso con calore e verità. Quel s'accende ti mostra il brillare voluttuoso degli occhi; quel consuma e strugge ti presenta l'intensità e la durata della passione; e quel dolcemente è il contento nel fuoco di Dante, è la grazia che abbellisce il soffrire, un dolce penare. In un altro momento vuol dir lo stesso, ma non trova in sè più quell'entusiasmo, e s' ajuta con la riflessione, e sofistica. Dice che i raggi ardenti di quegli occhi lo disfarebbero come neve, se non fosse la paura di offenderli, che agghiaccia il sangue nel punto che esce con troppa velocità:

Dunque, ch'io non mi sfaccia,

Si frale oggetto a si possente foco,

Non è proprio valor che me ne scampi,
Ma la paura un poco,

Che il sangue vago per le vene agghiaccia,
Risalda il cor, perchè più tempo avvampi.

È lo stesso pensiero esagerato e portato all'assurdo. Non solo esagera i pensieri, ma anche le immagini; ed in questa doppia esagerazione consistono i concetti, già in voga presso gli spagnuoli e molti trovatori, divenuti celebri per l'abuso fattone nel seicento, e di cui troviamo nel Petrarca frequenti vestigi. Come ne'pensieri, così nelle immagini valica ogni misura, il che gli incontra per lo più, quando scrive senza dettato interiore. Allora perde quell'aria di semplicità, quell'accento di verità, che testimonia l'ispirazione, e ricorre alla rettorica, alle perifrasi, alle amplificazioni, alle metafore, a'lumi poetici, come si chiamavano. Per lungo tempo la critica si è avvezza a porre la bellezza della poesia in questo sfoggio di rettorica, ed il buon Muratori, quando non trova quei tali lumi, dice che il sonetto è buono, ben condotto, semplice, naturale, ma: per me io non ci so veder niente di bello. Questa era anche l'opinione del Petrarca, il quale disprezza certe sue canzoni, come disadorne, e sono tra le sue più belle, ammirabili di semplicità e di grazia; il loro peccato è di non aver troppi di quei lumi. La canzone decima:

Se il pensier che mi strugge,

sotto un' apparente leggerezza di vesti così grave di contenuto, e qua e là così appassionata e graziosa, ha questa chiusa:

O poverella mia, come sei rozza!

Io credo, tel conoschi;

Rimanti in questi boschi.

Che più? la canzon seguente,

Chiare, fresche e dolci acque.

che per consenso di tutti è giudicata la bellissima delle sue poesie, è da lui così bruscamente e crudelmente accomiatata:

Se tu avessi ornamenti, quant' hai voglia,

Potresti arditamente

Uscir del bosco e gire infra la gente.

Con questa opinione non è maraviglia che accumuli le figure, credute ornamenti e leggiadrie di stile poetico, sì che con un ingombro di metafore spesso guasta i più bei sonetti. Dipinge così Laura piangente:

La testa or fino, e calda neve il volto,

Ebano i cigli, e gli occhi eran due stelle,
Onde Amor l'arco non tendeva in fallo;

Perle e rose vermiglie, ove l'accolto
Dolor formava ardenti voci e belle;

Fiamma i sospir, le lagrime cristallo.

In su questo sdrucciolo si giugne alla pioggia delle lacrime, al vento de' sospiri, e da queste esagerazioni è lieve traboccare ne' concetti. La metafora è una maniera di dire, che, come nella pittura il rilievo, mette in risalto gli oggetti per via di somiglianze e di rapporti. Prender la metafora nel senso letterale, e farne un' applicazione grossolana, come se il paragone e la cosa paragonata fossero il medesimo, ti dà il concetto. Si dice per dire che le trecce sono d'oro, le guance di rose, i denti di perle, e gli occhi un sole, e il canto angelico. Il Petrarca prende tutto questo alla lettera; e come se le trecce fossero non color d'oro, ma proprio composte di oro, dimanda onde Amore tolse quell' oro, e in quali spine colse quelle rose, ed onde le perle, e da quali angeli mosse quel canto, e di qual sole nacque la luce degli occhi.

Onde tolse Amor l'oro e di qual vena,

Per far due trecce bionde? e 'n quali spine
Colse le rose, e in qual pioggia le trine
Tenere e fresche, e diè lor polso e lena?
Onde le perle in ch'ei frange ed affrena
Dolci parole oneste e pellegrine?

Onde tante bellezze e sì divine

Di quella fronte più ch 'l ciel serena?
Da quali angeli mosse e di qual spera
Quel celeste cantar che mi disface
Sì che m'avanza omai da disfar poco?
Di qual sol nacque l'alma luce altera
Di quei begli occhi ond' io ho guerra e pace
Che mi cuocon 'l cor in ghiaccio e 'n foco?

Vuol dire che Laura lo ha innamorato, e dice:

Amor m'ha posto come segno a strale,
Come a sol neve, come cera al foco,

E come nebbia al vento; e son già roco,
Donna, mercè chiamando; e voi non cale.
Dagli occhi vostri uscío 'l colpo mortale
Contra cui non mi val tempo, nè loco;
Da voi sola procede (e parvi un gioco)
Il sole e 'l foco é 'l vento, ond'io son tale.
Il pensier son saette, e 'l viso un sole,

E'l desir foco; e 'nsieme con quest'arme
Mi punge Amor, m'abbaglia e mi distrugge;
E l'angelico canto, e le parole,

Col dolce spirto ond' io non posso aitarme,

Son l'aura innanzi a cui mia vita fugge.

Dunque Amore l'ha posto come segno a strale, come al sol neve, e come cera al foco, e come nebbia al vento. Egli è il segno, la neve, la cera, e la nebbia; i pensieri di Laura sono lo strale, il volto di lei il sole, gli occhi sono il foco, e le parole il vento. Un'altra volta esorta i suoi sospiri a passare il monte, suppone che si sieno smarriti, non sa se sieno arrivati a Laura; ma conchiude che debbono essere giunti perchè non li vede ritornare:

Se 'l sasso ond'è più chiusa questa valle,
Di ch 'l suo proprio nome sì deriva,
Tenesse volto, per natura schiva,

A Roma il viso ed a Babel le spalle;

I miei sospiri più benigno calle

Avrian per gire ove lor speme è viva:

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