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Quand'oltre alle colonne, (1) ed oltre ai liti,
Cui strider l'onda all'attuffar del sole
Parve udir su la sera, (2) agl'infiniti

Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del sol caduto, e il giorno

Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo; (3)
E rotto di natura ogni contrasto,

Ignota immensa terra al tuo viaggio

Fu gloria, e del ritorno

Ai rischi. Ahi ahi! ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, (4) e assai più vasto

L'etra sonante e l'alma terra e il mare
Al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri sogni leggiadri ove son giti (5)
Dell'ignoto ricetto

D'igncti abitatori, o del diurno

Degli astri albergo, e del rimoto letto
Della giovane Aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta? (6)
Ecco svanîro a un punto,

(1). Oltre alle colonne d' Ercole, cioè allo stretto di Gibilterra.

(2). Correa fama anticamente che quando il sole tramontava si tuffasse nell' Oceano, stridendo come una massa accesa che si sommerga.

(3). Ritrovasti il raggio ec. Cioè, giungendo agli antipodi conoscesti dove splendessero i raggi del sole durante la nostra notte, e come il giorno che qua muore nascesse laggiù. (4). La cosa della quale ignoriamo i confini offre una maggior idea di vastità dell' altra che noi conosciamo perfettamente.

(5). Giti, andati.

(6). Nostri sogni leggiadri ec., allude alle favole che immaginavano gli uomini quando erano ancora ignari della cosmografia,

E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,

O caro immaginar; da te s'apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni,
E il conforto peri de'nostri affanni.

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,

Cantor vago dell'arme e degli amori, (1)
Che in età della nostra assai men trista
Empiêr la vita di felici errori:

Nova speme d'italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,

O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde

La mente mia. Di vanità, di belle

Fole e strani pensieri

Si componea l'umana vita; in bando

Li cacciammo: cr che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? 1 certo e solo

Veder che tutto è vano altro che il duolo. (2)

O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa
Tua mente allora, il pianto

A te, non altro, preparava il cielo.

(1). Ludovico Ariosto.

(2). Che resta? ec. Che resta oggi che la scienza e la filosofia tolgono il verde alle cose, cioè la forma poetica, e tutto quello che era dell'immaginazione? La certezza che tranne il dolore tutto è vano,

O misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciôrre il gelo
Onde l'alma t'avean, ch'era sì calda,
Cinta l'odio e l'immondo

Livor (1) privato e de' tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T'abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo

Inabitata piaggia. Al tardo onore (2)
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'ora estrema ti fu. Morte domanda

Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. (3)

Torna torna fra noi, sorgi dal muto

E sconsolato avello,

Se d'angoscia sei vago, o miserando
Esempio di sciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
È peggiorato il viver nostro. (4) O caro,
Chi ti compiangeria,

Se, fuor che di sè stesso, altri non cura ?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale

Affanno anche oggidì, se il grande e il raro

(1). Livore, odio, invidia.

(2). Si ricordi come il Tasso fu chiamato a Roma per esservi incoronato poeta, e come la morte impedisse che questa cerimonia fosse compiuta.

(3). Mercè, non danno ec. Ti fu un bene e non un male la morte. Chi conobbe bene i mali di quaggiù, chiede di morire e non di essere incoronato.

(4). Al Leopardi par più bello il secolo del Tasso che il proprio. Esagerazione solita; o come abbiam detto sopra, eterna mania di dir male dei propri tempi e rimpiangere quelli che non esistono più.

Ha nome di follia;

Ne liver più, ma ben di lui più dura

La noncuranza avviene ai sommi? (1) o quale,
Se più de' carmi, il computar (2) s' ascolta,
Ti appresterebbe il lauro un'altra volta?

Da te fino a quest' ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,

Pari all'italo nome, altro ch' un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo (3)
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,

Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena (+)
Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra

E questo vano campo all' ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all' arena
Scese, e nullo il segui, chè l'ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata

Trasse la vita intera,

E morte lo scampò dal veder peggio.

(1). Ne livor più ec. Oggi non più s'invidiano i grandi, ma non si curano; e questo è peggio.

(2). Il computar, il calcolo, l'interesse.

(3). Polo, intendi cielo, all'usanza latina; ma la Crusca in questo senso non lo passa. Il Leopardi cita un esempio del Rinuccini che lo adoprò, per quetare i pedanti. Fero allobrogo è l'Alfieri. E qui nota un'altro eccesso del Leopardi, il quale afferma dopo il Tasso non esservi stato alcun altro pari all'italo nome. O il Parini non lo era? domanda il Giordani. (4). In sulla scena, nelle sue tragedie.

Vittorio mio, questa per te non era
Età, nè suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti

Da mediocrità: sceso il sapiente

E salita è la turba a un sol confine

Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso, (1)
Segui; risveglia i morti,

Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni

E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

Nelle nozze della sorella Paolina.

Poi che, del patrio nido

I silenzi lasciando, e le beate

Larve e l'antico error, (2) celeste dono,
Ch' abbella agli occhi tuoi quest'ermo lido,
Te nella polve della vita e il suono

Tragge il destin; l'obbrobriosa etate

Che il duro cielo a noi prescrisse impara, (3)
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L'infelice famiglia all' infelice

(1). Torna a dire al Mai.

(2). L'antico error, cioè quella religione superstiziosa che governava la famiglia Leopardi. Ermo lido, Recanati.

(3). L'obbrobriosa etate cc. I tempi malvagi fan da maestri, insegnano. Impara per insegna.

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