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a piangere, e piangendo disse queste parole: Heu miser! quia frequenter impeditus ero deinceps. Lo spirito naturale, abbiamo già veduto, ha sede nel fegato, ove si ministra lo nutrimento nostro, cioè dove il cibo si converte parte in sangue, il quale è distribuito o ministrato a tutte le membra, al doppio fine di ripararne le continue perdite e di accrescerle in quanto siano esse ancora di accrescimento capaci. MACROBIO, Saturn. 7. 4. Le vene ministrano il sangue nutritivo a tutte le membra del corpo. Nel qual luogo il verbo ministrare, vale appunto impartire o distribuire.

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Il sangue poi elaborato dal fegato prende nel cuore virtude informativa a tutte membra umane al pari di quello che serve alla generazione. COMMEDIA, Purg. 25. 37. Sangue perfetto, che mai non si beve Dall' assetate vene, e si rimane Quasi alimento che di mensa leve, — Prende nel cuore a tutte membra umane Virtude informativa, come quello Ch'a farsi quelle per le vene vane. Il sangue va per le vene per convertirsi alla fine in membra, nella qual conversione consiste il nutrimento e l'accrescimento dell'individuo. La prima digestione si fa nel ventricolo, il quale in volgare chiamasi pure stomaco; benchè lo stomaco significa propriamente appo i Greci, quella parte che essi medesimi chiamano ancora esofago, cioè gola. E in questa prima digestione, che si fa nel ventricolo, o vero stomaco, si trasmuta il cibo in sugo, che i medici chiamano, pur con nome greco, chilo. Il superfluo di questa digestione sono le materie fecali. La seconda, come insegna Aristotile, si fa nel fegato, dove il cibo si cuoce un'altra volta, e si muta in sangue; e la superfluità di questa digestione è un'acquosità, la quale esce dal sangue, che tirata dalle vene, cola di quivi nella vescica. La terza digestione, favellando sempre secondo Aristotile, si fa nel cuore, e ha due

superfluità, una come schiuma, la quale si chiama da noi collera, e da' Latini bilis flava, perchè è gialla, e questa se ne va nella borsa e vescica del fiele; l'altra è quasi feccia, e si chiama da noi maninconia, e da' Latini bilis atra, cioè collera nera, e questa se ne va alla milza; e questi due umori, cioè la collera e la maninconia non possono nutrire, al parere di Aristotile. Il quarto umore, cioè la flemma, non è altro che sangue indigesto, e non bene e perfettamente può nutrire a un bisogno. E così abbiamo veduto, che come la gola manda il cibo allo stomaco, così lo stomaco lo manda al fegato, e il fegato al cuore, nel quale si fa la terza ed ultima digestione. principale: dico principale, perchè alcuni aggiungono una prima digestione, la quale si fa nella bocca dai denti, e alcuni n'aggiungono una quinta, la quale si fa nelle vene, le superfluità della quale sono i sudori, e altri n'aggiungono dell'altre, ma queste non sono vere e proprie digestioni, non trasmutando il cibo, come le altre tre. Fassi ancora un'altra digestione particolare in ciascun membro, quando il sangue si trasmuta e converte in lui. Queste tre digestioni principali sono proprie degli animali perfetti; nelle piante non si trovano se non le due ultime; perchè la prima si fa nella terra e non nella pianta; benchè alcuni Greci e Latini, dicano altramente, il che è contro Aristotile.

MACROBIO, Saturn. 7. 4. Il fegato è sangue condensato, e perciò è fornito di calor naturale, che converte in sangue il succo elaborato. E dottrina di Platone e d'altri che nel fegato abbia stanza l'amore. ORAZIO, Odi 1. 13. Quando il cocente amore e la libidine, onde sogliono infuriare le cavalle, ti struggerà il fegato ulceroso. E, 3. 1. Va (o Venere) a lussuriare nelle case di Paolo Massimo, se vuoi infiammare un fegato capace. OVIDIO, Eroid. 6., parlando di una maliarda: Maledice

i lontani, e forma dei simulacri di cera, a' quali con sottili aghi trafigge il fegato. E ciò per la ragione detta che il fegato si stimava essere la sede speciale dell' amore, e credevasi che ne sentisse le punture colui, che era nella immagine rappresentato. S. TOMMASO, Som. 1. 2. quest. 48, art. 2. ad. 1. Coloro che sono di temperamento sanguigno sono più inclinati all' amore; e si dice che il fegato costringe ad amare, perchè nel fegato si genera in qualche modo il sangue; che è conforme al celebre distico.

Cor sapit, et pulmo loquitur, fel commovet iram,
Splen ridere facit, cogit amare jecur.

BIBBIA, Gerem. Tren. 2. 11. Il mio fegato si è versato in terra, per lo fiaccamento della figliuola del mio popolo. Cioè, l'amor mio, che dimora nel fegato, s'è prostrato a terra; ossia ogni affetto, ogni animoso spirito, s'è in me abbattuto. Dicono i commentatori che qui è nominato il fegato e non gli altri visceri, perchè il fegato è sede appunto della commiserazione e dell'amore. Ivi, Prov. 7. 23. Finchè la saetta gli trafigga il fegato, come l'uccello si affretta al laccio senza sapere che è contro alla vita sua. Nel qual luogo si parla dell'amore meretricio, il quale riempie di acuto dolore quello stesso fegato che si lasciò occupare dalla libidine. INNO della Chiesa: Summe Parens clementiæ: Lumbos, iecurque morbidum Adure igne congruo, Accincti ut artus excubent, Luxu remoto pessimo.

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Lo spirito naturale adunque dimora nel fegato, e dimora nel fegato anche l'amore. Con che s'intende dire che l'amore, il quale è nell' animo, opera un mutamento nel corpo mediante il fegato, che gli serve come di organo. S. TOMMASO 1. 2. quest. 44. 1. Nelle passioni

dell'anima è come formale il moto della facoltà appetitiva, ed è poi come materiale il mutamento che ne deriva al fisico. Ma l'uomo nella prima puerizia ha delle buone o delle cattive inclinazioni, come già vedemmo, non però veri vizi o virtù; vive per così dire di fantasia e d'immaginazione; l'allettamento delle cose nuove molteplici, che tengono in continuo esercizio i suoi sensi, genera nel suo animo inesperto un'infinità di capricci, ma niun oggetto ferma seriamente la sua attenzione; deliba ogni cosa con la leggerezza della farfalla; passa in un momento dal pianto al riso, e dalla stizza alla calma; trascorre di desiderio in desiderio, di velleità in velleità, ma non v'è cosa per la quale si possa dire ch'egli senta vero amore, o una vera passione.

Ora lo spirito naturale, ossia la natura vegetativa di Dante, all'apparir di Beatrice, disse: Me misero! perchè quindi innanzi sarò di frequente impedito. Il verbo impedire ha senso di occupare e di contrariare. Lo spirito naturale, affetto e compreso che sia da una passione dell'anima, se continua nondimeno a compiere prima, o quasi come prima le sue funzioni ordinarie che son quelle del nutrimento e dell' accrescimento, si dirà che è impedito nel senso di occupato; ma se la passione che lo pervade gli toglie in tutto o in gran parte l'esercizio di esse funzioni, si dirà che è impedito nel senso di contrariato. Per alcun tempo lo spirito naturale di Dante dopo l'apparimento di Beatrice, doveva essere dalla passione più occupato che contrariato; perocchè la passione dell'amore cresce per gradi. CoNVITO, 2. 2. Non subitamente nasce amore e fassi grande, e viene perfetto, ma vuole alcuno tempo e nutrimento di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo impediscono. Ed infatti lo spirito naturale di Dante cominciò veramente

a essere contrariato dalla passione solo quando nove anni più tardi egli, il Poeta, fu per la prima volta salutato da Beatrice, e l'amore di lui era giunto al massimo grado cioè appresso la meravigliosa visione che gli mostrò amore con in braccio la sua donna nuda involta in un drappo sanguigno leggermente. V. N. §. .4. Da questa visione innanzi cominciò il mio spirito naturale ad essere impedito nella sua operazione, perocchè l'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima. Ond' io divenni in picciolo tempo poi di sì frale e debole condizione che a molti pesava della mia vista. Perocchè la passione dell'amore quand'è forte impedisce il nutrimento, e toglie perfino il sonno. PETRARCA, Par. I. Sonetto 131. Da begli occhi un piacer si caldo piove, Ch'io non curo altro ben, nè bramo altr'esca. E, Canzone: Quell'antico mio dolce, ecc. E le mie notti il sonno sbandiro, e più non ponno Per erbe o per incanti a sè ritrarlo. - Per inganni e per forza è fatto danno (amore) - Sovra miei spirti...... - Che legno vecchio mai non rose tarlo, Come questi il mio core.

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Ma dai nov'anni fino a' diciotto la passione non impedì al giovinetto di nutrirsi e di crescere: il suo spirito vitale era occupato, ma non impedito nella sua operazione. Ci volevano altri nove anni perchè la passione acquistasse tutta la sua energia. L'amore incipiente somiglia in qualche modo, pel vigore, all'amore declinante. PETRARCA, del suo già quasi senile amore parlando: Ben mi può riscaldar il fiero raggio Non si ch'i' arda; e può turbarmi il sonno, Ma romper no l'immagin 'aspra e cruda.

Lo spirito naturale dovea riguardare la passione amorosa come un nemico che presto o tardi l'avrebbe avversato, e però disse: Heu miser! E disse quia frequenter, impeditus ero deinceps, perchè da principio la

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