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I

tutti, che fe il Convito non foffe tanto fplendi do, i quanto conviene alla fua grida; che, non al mio volere, ma alla mia facultate imputino ogni difetto; perocchè la mia voglia di compiuta, e cara liberalità è quì feguace.

Nel cominciamento di ciafcuno bene ordinato Convito fogliono li fergenti prendere lo pane appofito, e quello purgare da ogni macula; perch' io, che nella prefente fcrittura tengo luogo di quelli, da due macole mondare intendo primieramente questa sposizione, che per pane fi conta nel mio corredo. L'una è, che parlare alcuno di fe medefimo pare non licito: l'altra fiè, che parlare, fponendo troppo a fondo, pare non ragionevole. E lo illicito, e 'l non ragionevole il coltello del mio giudicio purga in quefta forma. Non fi concede per li rettorici, alcuno di fe medefimo, fanza neceffaria cagione, parlare. E da ciò è l'uomo rimoffo, perche parlare non fi può d'alcuno, che'l parlatore non lodi, o non biafimi quelli, di cui egli parla, le quali due cagioni rufticamente ftanno a fare di fe nella bocca di ciafcuno. E per levare un dubbio, che quivi furge, dico, che peggio fta biafimare, che lodare, avvegnachè l'uno, e l'altro non fia da fare. La ragione è, che qualunque cofa è per fe da biafimare, è più laida, che quella, ch'è per accidente. Difpregiare fe medefimo è per fe biafimevole; perocchè allo amico dee l'uomo lo fuo difetto contare fegretamente: e nullo è più amico, che l'uo

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l'uomo a fe; onde nella camera de' fuoi penfieri fe medefimo riprendere dee, e piangere li fuoi difetti, e non palese. Ancora del non potere, e del non fapere bene fe menare, le più volte non è l'uomo vituperato, ma del non volere è fempre; perchè nel volere, e nel non volere noftro fi giudica la malizia, e la bontade. E perciò chi biafima fe medefimo, appruova, fe conofcere lo fuo difetto: appruova, fe non effere buono; perchè per fe è da lafciare di parlare, fe biafimando. Lodare fe, è da fuggire, ficcome male per accidente; in quanto lodare non fi può, che quella loda non fia maggiormente vituperio: e laido, nella punta delle parole: e vituperio, chi cerca loro nel ventre. Che parole fono fatte, per moftrare quello, che non fi fa. Onde, chi loda fe, moftra, che non crede effere buono tenuto, che non gl' incontra fanza maliziata coscienza; la quale, fe lodando, difcuopre, e difcoprendo fi biafima. E ancora la propia loda, e'l propio biafimo è da fuggire per una cagione igualmente, ficcome falfa teftimonianza fare, perocchè non è uomo, che fia di se vero, e giusto

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ne. φιλαυτία, ας. . amor fui ipfius. Hic folet maxime oculos præftringere, & quafi nubeculam offundere, ne veritatem rerum, qua ad nos attinent, difpicia mus: Hinc jure Horatius cœcum amorem fui dixit : Ariftoteles quafi probrofam pinaurs appellationem averfatur in nono Mora

li

mifuratore: tanto la propia carità ne 'nganna. Onde avviene, che ciascuno ha nel fuo giudicio le misure del falfo mercatante, che vende coll'una, e compera coll'altra; e ciafcuno con ampia mifura cerca lo fuo mal fare, e con piccola cerca lo bene; ficchè il numero, e la quantità, e 'l pefo del bene pare più, che fe con giufta mifura foffe faggiato: e quello del male meno. Perchè, parlando di fe con loda, o col contrario, o dice falfo, per rispetto alla cofa, di che parla: o dice falfo, per rifpetto alla fua fentenzia; che l'una, e l'altra è falfità. E però, concioffiecofachè 'l confentire è un confefsare; villania fa, chi loda, o chi biafima dinanzi al vifo effe, decere fibi quemque natura maxime amicum effe. Cujus fententia & Ariftoteles in feptimo de Moribus ad Eudemum fic meminit : Δοκεῖ γὰρ ἐνίοις μάλιςα έκαςος αυτός αυτο pinos. Ex qua hominum. opinione videtur illud Euri-, pidis acceptuт:

lium; fieri enim non poteft, ut qui omnia propriis commodis metitur, hamana focietatis leges obfervet. Non ibo tamen inficias, cuique animantum infitum a natura, ut fe magis, quam

ceteros omnes,amet ac tueatur. Hinc Terentianum illud in Andria: (A&t. 11. fc. v.)

Verum illud verbum eft,

vulgo quod dici folet: OMNES SIBI MALLE MELIUS

ESSE, QUAM ALTERI.

Et illud apud Græcos vulgatum: φιλεῖ δ' ἑαυτὸ πλεῖον δείς ουδένα. Et Plato in quinto de Legibus: TouTo - δὲ ἔστιν ὁ λέγουσιν, ὡς φίλος αυτῷ πας άνθρωπος φύσει τέ ἐςὶ καὶ ὀρθῶς ἔχει : paffim, fcilicet, in ore omnium

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Ως πᾶς τις αυτὸν τὸ πέλας
μάλλον φιλεῖ...
Quod quisque ceteris fe a-
mat vehementius.

* Gr. Pirautia. Inglefe, felf-love.Horat.cæcus amor fui; del quale dice Platone: ὁ φιλῶν τυφλοῦται περὶ τὸ φιλούμενον : Γ'amante s accieca intorno all'amato ; cioè l'uomo intorno a fe fteffo.

vifo alcuno; perchè nè confentire, nè negare puo te lo così eftimato, fanza cadere in colpa di lodarfi, o di biafimarfi. Salva quì la via della debita correzione; ch' effere non può fanza improperio del falfo, chi correggere s'intende: e falva la via del debito onorare, e magnificare, la quale paffare non fi può, fanza fare menzione dell' opere virtuofe, o delle dignitadi, virtuofamente acquistate; veramente al principale intendimento tornando, dico, com' è toccato di fopra, per neceffarie cagioni lo parlare di fe è conceduto; e intra l'altre neceffarie cagioni due fono più manifefte: l'una è, quando fanza ragionare di fe, grande infamia, e pericolo non fi può ceffare; e allora fi concede per la ragione, che delli due fentieri prendere lo meno reo, è quafi prendere un buono. E quefta neceffità moffe Boezio, di fe medefimo parlare; acciocchè, fotto protefto di confolazione, fcufaffe la perpetuale infamia del fuo efilio, moftrando, quello effere ingiufto, poichè altro fcufatore non fi levava. L'altra è, quando, per ragionare di fe, grandiffima utilità ne fegue altrui per via di dottrina; e quefta ragione moffe Aguftino nelle fue Confeffioni, a parlare di fe, che per lo proceffo della fua vita, lo quale fu di buono in buono, e di buono in migliore, e di migliore in ottimo, ne diede afemplo, e dottrina, la quale per sì vero teftimonio ricevere non fi poteva. Perchè, fe l'una, e l'altra di queste ragioni mi fcufa fufficientemente, il pane del mio formento è purgato dalla prima fua macola. Movemi timore d'infamia, e movemi difiderio, di dottrina dare, la quale altri veramente dare non può. Temo la infamia, di tanta paffione avere feguita, quan

quanto concepe, chi legge, le foprannominate Canzoni in me avere fignoreggiato; la quale infamia fi ceffa, per lo prefente di me parlare interamente; lo quale moftra, che non paffione, ma virtù fie ftata la movente cagione. Intendo anche moftrare. la vera fentenza di quelle, che per alcuno vedere non fi può, s'io non la conto, perch'è nascosa fotto figura d'allegoria; e quefto non folamente darà diletto buono a udire, ma fottile ammaeftramento, e a così parlare, e a così intendere l'altrui fcritture. 3. Degna di molta riprenfione è la cofa, ch'è ordinata a torre alcuno difetto per fe medefima, e quello induce; ficcome quelli, che foffe mandato a partire una zuffa, e prima, che partiffe quella, ne cominciaffe un' altra. E perocchè'l mio pane è purgato d'una parte, convienlomi purgare dall' altra; per fuggire quefta riprenfione, che 'l mio fcritto, che quafi Comento dire fi può, è ordinato a levare il difetto delle Canzoni fopraddette, e effo per fe fia forfe in parte un poco duro; la qual durezza, per fuggire maggiore difetto, non per ignoranza, è qui penfata. Ahi piaciuto foffe al difpenfatore dell' univerfo, che la cagione della mia fcusa mai non foffe ftata; che nè altri contro a me avria fallato, nè io fofferto avrei pena ingiuftamente: pena, dico, d'efilio, e di povertà; poichè fu piacere de' cittadini della belliffima, e famofiffima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del fuo dolce feno, nel quale nato, e nudrito fui fino al colmo della mia vita e nel quale, con buona pace. di quella, difidero con tutto il cuore di ripofare l' animo ftanco, e terminare il tempo, che m'è da to; per le parti quafi tutte, alle quali quefta lin

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