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Che fu da lei per me già mai veduta,
O ch'io l'udissi (a) dire:

E fo come colui che non riposa,

E la cui vita a più a più si stuta (1)
In pianto ed in languire.

Da lei mi vien d'ogni cosa il martire:
Chè se da lei pietà mi fu mostrata,
Ed io l'aggio lassata,

Tanto più di ragion mi dee dolere;
E s'io la mi ricordo mai parere
Ne' suoi sembianti verso me turbata,
Ovver disnamorata (2),

Cotal m'è or, quale mi fu a vedere,
E viemmene di pianger più volere.

L'innamorata mia vita si fugge Dietro al desio che a Madonna mi tira Senza niun ritegno;

E il grande lacrimar che mi distrugge, Quando mia vista bella donna mira, Divenmi (b) assai più pregno;

E non saprei io dir qual io divegno:
Ch' io mi ricordo allor, quand' io vedia
Talor la donna mia;

E la figura sua ch'io dentro porto,
Surge si forte, ch'io divengo morto.
Ond' io lo stato mio dir non potria,
Lasso! ch'io non vorria

Giammai trovar chi mi desse conforto,
Finch'io sarò dal suo bel viso scorto.
Tu non sei bella, ma tu sei pietosa,
Canzon mia nova, e cotal te ne andrai
Là dove tu sarai

Per avventura da Madonna udita;
Parlavi riverente e sbigottita,
Pria salutando, e poi si le dirai:
Com' io non spero mai

Di più vederla anzi la mia finita (3); Perchè (c) io non credo aver si lunga vita.

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Che miseri, com' io,

Sempre disdegna, come or provo e veggio.
Non mi vo'lamentar di chi ciò face,
Perch'io aspetto pace

Da lei sul punto dello mio finire;
Ch'io le credo servire
Lasso! così morendo,

Poi le disservo (4) e dispiaccio (g) vivendo.
Deh che (h) m'avesse Amore,
Prima che'l vidi, immantenente morto;
Chè per biasmo (i) del torto
Avrebbe a lei ed a me fatto onore;
Tanta vergogna porto

Della mia vita, che testè (5) non more,
Che peggio è del dolore (k),

Nel qual d'amar la gente disconforto;
Che una cosa è Amore (1) e la Ventura,
Che soverchian natura,

L'un per usanza, l'altro (m) per sua forza:
E me ciascuno sforza (n),
Sicch'io vo' per men male,

Morir contra (o) la voglia naturale.
Questa mia voglia fera

È tanto forte, che spesse fiate
Per l'altrui podestate

Daria al mio cor la morte più leggera:
Ma, lasso! per pietate

Dell'anima mia trista, che non pera,
E torni a Dio qual' era (p),

Ella non muor, ma viene (q) in gravitate (6):
Aucorch'io non mi creda già potere
Finalmente tenere,

Ch'a ciò per soverchianza non mi mova
Misericordia nova:

Ma avrà (r) forse (s) mercede
Allor di me il Signor che questo vede.

Canzon mia, tu starai dunque qui meco (t), Acciocch'io pianga teco:

Ch'io non so dove tu ti possa andare (u)
Che appo lo mio penare (v)
Ciaschedun altro ha gioia (x);

Non vo' che vada altrui facendo noia.

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Dell'orgogliosa e bella, quanto sai, Allumale (1) lo cor, sicchè s'adorni Dell'amoroso (a) raggio

A non gradir, ch'io sempre traggia guai;
E se prima intendrai

La nova pace, e la mia fiamma forte,
E lo sdegno che mi cruciava (b) a torto,
E la cagion (c), per cui chiedeva morte,
Sarai iv' in tutto accorto:

Poscia, se tu m'uccidi, ed haine voglia,
Morrò sfogato, e fiemene men doglia.

Tu conosci, Signore, assai di certo,
Che me creasti atto (d)

A servirti; ma non era io ancor morso (2),
Quando di sotto il ciel vidi scoperto
Lo volto, ond' io son catto (3);
Di che gli spiritelli ferno corso
Ver Madonna a destrorso (4).
Quella leggiadra, che sopra vertute,
É vaga di beltate di sè stessa,
Mostra ponerli subito a saluté:
Allor fidansi ad essa;

E poichè furon stretti nel suo manto,
La dolce pace li converse in pianto.
Io che pure sentia costor dolersi,
Come l'affetto mena,
Molte fiate corsi avanti a lei.
L'anima, che per ver dovea tenersi,
Mi porse alquanto lena,
Ch'io mirai fiso gli occhi di costei:
Tu ricordar ten dèi,

Che mi chiamasti col viso soave,

Ond' io sperai allento (5) al maggior carco:
E tosto che ver me strinse la chiave,
Con benigno rammarco

Mi compiagnevi, e'n atto sì pietoso,
Che al tormento m'infiammo più gioioso.
Per la vista gentil, chiara e vezzosa,
Venni fedel soggetto,

Ed aggradiami ciascun suo contegno,
Gloriandomi servir sì gentil cosa:
Ogni sommo diletto

Posposi, per guardar nel chiaro segno:
Si m'ha (e) quel crudo sdegno,
Per consumarmi ciò che ne fu manco,
Coperse l'umiltà del nobil viso,
Onde discese lo quadrel nel fianco,
Che vivo m'ave ucciso;
Ed ella si godea vedermi in pene,
Sol per provar, se da te valor vene.
Io così lasso, innamorato e stracco,

ragion

(a) Coll' amoroso (b) crucciava (c) la (d) Che m' creasti sempre atto (f) Oltr'a (g) Signor, già (i) L'uomo

(e) Si ma, tu m'hai (h) almeno a lei che conosce, tegno (k) venire vide quei che me (m) Poi a ferir va via

dolce

(1) Che

(n) il

(q) si

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con- Poscia il fedir va via come (0) rimiran (p) destar (r) ch'esca (s) Cosi pur io (t) Në fia chi più mi risvegli DANTE. Opere Minori.

aggiunge

sento

Desiderava morte,

Quasi per campo diverso martiro,
Che'l pianto m'avea già sì rotto e fiacco,
Oltra (f) l'umana sorte,

Ch'io mi credea ultimo ogni sospiro.
Pur l'ardente desiro

Tanto poi mi costrinse a sofferire,
Che per l'angoscia tramortitti in terra,
E nella fantasia udiami dire,
Che di cotesta guerra

Ben converria ch'io ne perissi ancora;
Sicch'io dottava (6) amar per gran paora.
Signor, tu m'hai (g) intesa

La vita ch'io sostenni, teco stando;
Non ch'io ti conti questa per difesa,
Anzi t'obbedirò nel tuo comando;
Ma se di tale impresa

Rimarrò morto, e che tu m'abbandoni,
Per Dio, ti prego, almen (h) che a lei perdoni.

CANZONE XXII.

Dimostra, non per temerità
essersi innamorato.

L'uom che conosce è degno ch'aggia (i)ardire, E che s'arrischi quando s'assicura

Ver quello, onde paura

Può per natura, o per altro, avvenire (k):
Così ritorn'io ora, e voglio dire,
Che non fu per ardir, s'io posi cura
A questa criatura,

Ch'io vidi quel che mi (1) venne a ferire;
Perchè mai non avea veduto Amore,
Cui non conosce il core, se nol sente,
Che pare propriamente una salute,
Per la vertute della qual si cria;
Poscia a ferir va via come (m) un dardo
Ratto, che si congiunge al dolce (n) sguardo.
Quando gli occhi riguardan (o) la beltate,
E trovan lo piacer, destan (p) la mente;
L'anima e il cor si sente,

E miran dentro la propietate,

Stando a veder senz'altra volontate:

Se lo sguardo si giunge (q) immantenente,
Passa nel cor ardente

Amor, che par uscir (r) di chiaritate (7):
Cosi fui io ferito (s) risguardando;
Poi mi volsi tremando nei sospiri;
Nè fia più ch'io rimiri a lui (1) giammai,
Apcorchè omai (u) io non possa campare (v);
Che se il vo' pur pensare, io tremo tutto:

fia più ch' io miri-Non fia
(v) scampare

(u) mai

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E 'n tal guisa conosco (a) il cor distrutto.
Poi mostro che la mia non fu arditanza (1),
Perch' io (b) rischiassi il cor nella veduta;
Posso dir ch'è venuta (c)

Negli occhi miei drittamente pietanza (2);
E sparta è (d) per lo viso una sembianza,
Che vien (e) dal cor, ov'è si combattuta
La vita, ch'è perduta:

Perchè 'l soccorso suo non ha possanza,
Questa pietà vien, come vuol (f) natura;
Poi dimostra in figura lo cor (g) tristo,
Per fare (h) acquisto solo di mercede;
La qual si chiede come si conviene,
Là 've (i) forza non viene di Signore,
Che ragion tegna di colui che more.

Canzon, udir si può la tua ragione;
Ma non intender si, che sia approvata
Se non da innamorata

E gentil alma, dove Amor si pone;
E però tu sai ben con quai persone
Dèi gir a star, per esser onorata.
E quando sei guardata (k),
Non sbigottir nella tua openione (1);
Chè ragion t'assicura e cortesia:
Dunque ti metti in via chiara e palese (m),
Di ciaschedun cortese, umile servente (n),
Liberamente, come vuoi ti appella (0),
E di', che sei novella d'un che vide
Quello Signor,che,chi lo sguarda (p),'occide(*).

CANZONE XXIII.

Dalla benignità di una Donna gentile, della quale esalta le virtù, è mosso a sperare.

L'alta speranza che mi reca Amore,
D'una Donna gentil ch' i' ho veduta,
L'anima mia dolcemente saluta,
E falla rallegrar entro lo core (q);

Per che (r) si face, a quel ch'ell'era, strana(3),
E conta novitate,

nuta

Come venisse di (s) parte lontana,
Che quella donna piena d'umiltate
Giunge cortese e piana (4) (t),
E posa nelle braccia di pietate.

Escon tali sospir (u) d'esta novella,
Ch'io mi sto solo, perch' altri non gli oda,
E 'ntenda (v) Amor, come Madonna (x) loda,
Che mi fa viver sotto la sua stella.
Dice il dolce Signor: questa salute
Voglio chiamar laudando

Per ogni nome di gentil virtute;
Chè propriamente tutte ella adornando,
Sono in essa cresciute,

Ch'a buona invidia si vanno adastando (5) (y).

Non può dir,ne saver quel ch'assomiglia(z), Se non chi sta nel Ciel, chi è di lassuso, Perch'esser non ne può già cor astiuso (6); Chè non dà invidia quel ch'è meraviglia (aa), Lo quale vizio regna ov'è paraggio (7); Ma questa è senza pare;

E non so esempio dar, tanto ella (bb) è mag-
La grazia sua, a chi la può mirare, (gio'(8).
Discende nel coraggio (9),

E non vi lascia (cc) alcun difetto stare.
Tant' è la sua virtute la valenza,
Ched ella fa meravigliar lo Sole:

E per gradire (10) a Dio in ciò ch' ei vuole,
A lei s'inchina e falle reverenza.
Adunque, se la cosa conoscente
La 'ngrandisce ed onora,

Quanto la de' più onorar la gente?
Tutto ciò ch'è gentil sen' innamora;
L'aer ne sta gaudente,

E'l Ciel piove dolcezza u' 'la (11) dimora.

Io sto com' uom ch' ascolta, e pur desia (dd) Di veder lei (ee), sospirando sovente, Perocch' io mi riguardo entro la (ff) mente, E trovo ched ella è (gg) la donna mia; Onde (hh) m'allegra Amore, e fammi umile Dell' onor ch' ei mi face:

(q) dentro allo (r) Onde (s) da (t) umana (u) E son tali i sospir (v) E'ntende (x) la Donna (y) adastiando

Conosce-Di tal guisa il conosce Non ch'io (c) Ben dir posso: è ve(d) E sparto ha (e) Ch' esce (f) Questa pietate vien com' vuol (g) del cor (h) Per farmi (i) Ove (k) sguardata (1) Non sbigottir, ma sta' in tua openione (m) Mettiti dunque nella via palese (n) D'ogni cortese ed umile servente (o) Dunque ti metti in via, che sia palese: Da ciascuno cortese umil servente Li-ell'è pur beramente come vuol ti appella (p) sguarda

(*) Del penultimo verso d'ogni stanza di questa Canzone, il Pilli contro l'autorità di tutti gli altri Codici, ne fece due in questa guisa: Poscia a ferir va via,

Veloce come face acuto dardo,
Che se il vo' pur pensare,

Io tremo, impallidisco e agghiaccio tutto,
Là ove mai non viene

Forza di spada nè d' alcun Signore,
E di' che sei novella

Del miser cor d'un che pur dianzi vide

(z) che simiglia (aa) non ha invidia quel ch' ha meraviglia (bb) quant'ella-quanto in bel raggio-E non so esemplo di quant'ellaE non esemplo di quant'ella (cc) lassa (dd) Io mi sto sol com' uom che pur desia (ee) d'udir di lei (ff) nella (hh) Là vẻ

(1) Ardimento, temerità. (2) Pietà.

(3) Straniera, forestiera. (4) Benigna.

(gg) ch'

(5) A lodevol gara si vanno incitando. (6) Astioso, per la rima.

(7) Paragone, uguaglianza.
(8) Maggiore, superiore altrui.
(9) Core.

(10) Far cosa grata, compiacere.
(11) Ov' ella.

Ch' io son di quella ch'è tutta (a) gentile;
E le parole sue son vita e pace;
Ch'è si saggia e sottile (1),

Che d'ogni cosa tragge lo verace (b).

Sta nella mente mia, com' io la vidi,
Di dolce vista e d'umile sembianza:
Onde ne tragge Amore una speranza,
Di che 'l cor pasce, e vuol che 'n ciò si fidi.
In questa speme è tutto il mio diletto,
Ch'è così nobil cosa (c),

Che solo per veder tutto 'l suo effetto (d),
Questa speranza palese esser (e) osa;
Ch' altro già non affetto (2),

Che veder lei, ch'è di mia vita posa (3).
Tu mi pari, Canzon (f), sì bella e nova,
Che ei chiamarti mia non aggio ardire;
Di' che ti fece Amor, se vuoi ben dire,
Dentro al mio cor (g), che sua valenza prova,
E vuol (h) che solo allo suo nome vadi,
A color che son sui

Perfettamente, ancor ched ei siam radi.
Dirai: io vegno a dimorar con vui,
E prego che vi aggradi,

Per quel Signor, da cui mandata fui.

CANZONE XXIV.

Oimè 'l disio nato

Di sì bella creanza (11);
Oimè, quella speranza,

Ch'ogn' altra mi facea veder addietro,
E lieve mi rendea d' Amor lo peso;
Oimè, rotto hai qual vetro,

Morte, che vivo m' hai morto ed impeso (7).
Oimè, Donna, d'ogni virtù donna (8),
Dea, per cui d'ogni dea,

Siccome volse Amor, feci rifiuto;
Oimè, di che pietra qual colonna
In tutto 'l mondo avea,

Che fosse degna in aere darti aiuto?
Oimè, vasel compiuto

Di ben sopra natura,

Per volta (9) (o) di ventura,
Condotto fosti suso gli aspri monti;
Dove t' ha chiuso, oimè, fra duri sassi
La Morte, che due fonti

Fatt' ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
Oimè, Morte, finchè non ti scolpa,
Dimmi (p) almen per gli tristi occhi miei,
Se tua man non mi spolpa (q),

Finir non deggio di chiamar omei (10)?

CANZONE XXV.

Colla Morte si lagna della involatagli Don- Dire non sperar che la sua Donna si muova

na, di cui piange le perdute bellezze.

Oimè lasso, quelle trecce bionde,

Dalle quai rilucieno (i)

D' aureo color gli poggi d' ogni 'ntorno;
Oimè, la bella cera, e le dolci onde,
Che nel cor mi sedieno (k),

Di quei begli occhi al ben segnato giorno;
Oime, 'l fresco ed adorno
E rilucente viso;

Oimè, lo dolce riso (1),

Per lo qual si vedeva la bianca neve
Fra le rose vermiglie d' ogni tempo;
Oimè, senza meve (4),
Morte, perchè 'l togliesti si per tempo?
Oimè, caro diporto, e bel contegno;
Oimè, dolce accoglienza,

Ed accorto intelletto, e cor pensato (5);
Oimè 'l bello, umile, alto disegno (m),
Che mi crescea la 'ntenza (6)

D' odiar lo vile, e d'amar l'alto stato;

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a pietà di lui.

Non spero che giammai per mia salute
Si faccia, o per virtute di soffrenza (r),
O d'ogni cosa,

Questa sdegnosa, di pietate amica (s),
Poi non s'è mossa, da ch' ella ha vedute
Le lagrime venute per potenza
Della gravosa (t)

Pena, che posa nel cuor ch'ha (u) fatica (11).
Però, tornando a pianger (v) la mia mente,
Vado dolente così (x) tutta via,

Come l'uom che non sente,

Ne sa dove si sia

Da campare, altro ched in parte ria (y).
Non so chi di ciò faccia conoscente
Più omai (z) la gente, che la vista mia,
Che mostra apertamente,
Come l'alma disia,

Per non veder lo cor, partirsi via.
Questa mia donna (aa) prese nimistate

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(1) Arguta, ingegnosa.

Allor contra pietate, che s'accorse

Ch' era apparita

Nella smarrita figura ch'i' porto,
Perocchè vide (a) tanta nobiltate:
Cosi pone in viltate chi mi porse (b)
Quella ferita (c)

La qual è ita si, che m' ha il cor morto.
Pietanza (1) lo dimostra, ond' è sdegnata,
Ed adirata per questo che vede (d),
Ch'ella fu risguardata
Negli occhi, ove non crede

Ch' altri risguardi per virtù, che fiede
D'una lancia mortal, che ogni (e) fiata
Che è affilata di piacer procede (f).
Io l'ho nel cor portata,

Da poi ch' Amor mi diede

Tanto d'ardir, ch' i' vi (g) mirai con fede.
lo la vidi sì bella e sì gentile (h),
Ed in vista sì umile, che per forza (i)
Del suo piacere,

A lei vedere menar gli occhi il core.
Partissi allora ciascun pensier vile;
Ed Amor ch'è sottile si che (k) sforza
L'altrui savere

Al suo volere, mi si fe' (1) signore.
Dunque non muove ragione il disdegno
Che io convegno seguire isforzato
Lo disio ch' io sostegno,
Secondo ch' egli è nato,

Ancor che da (m) virtù sia scompagnato.
Perchè non è cagion (n), ch'io non son degno,
Che a questo vegno, come quel, menato (0);
Ma sol questo n' assegno,

Morendo sconsolato,

Onde il parlar della vita, ch' io prove,
Par, che si drizzi degnamente a vui:
Però vi priego, che lo (s) m'intendiate.
I'vi dirò del cor la novitate,
Come l'anima trista (t) piange in lui,
E come un spirto contra lei favella,
Che vien pe' raggi della vostra stella.

Solea (u) esser vita dello cor dolente
Un soave pensier, che se ne gia
Molte fiate a' piè del vostro (v) Sire,
Ove una donna gloriar (2) vedia,
Di cui parlava a me (x) si dolcemente,
Che l'anima dicea: i' men vo' gire.
Or apparisce chi lo fa fuggire;

E signoreggia me di tal virtute,

Che 'l cor ne trema sì, che fuori (y) appare.
Questi mi face una donna guardare,
E dice: chi veder vuol la salute,
Faccia, che gli occhi d'esta donna miri,
S'egli (z) non teme angoscia di sospiri.

Trova contraro (aa) tal che lo distrugge
L'umil pensiero (bb), che parlar mi suole
D' un' Angiola, che 'n cielo è coronata (cc).
L'anima piange, sì ancor le 'n duole,
E dice: oh lassa me ! come si fugge
Questo pietoso (dd), che m' ha consolata !
Degli occhi mie' dice questa affannata :
Qual ora fu, che tal (ee) donna gli vide?
E perchè non credeano a me di lei ?
I' dicea: ben negli occhi di costei
De' star colui, che gli miei pari uccide;
E non mi valse, ch' io ne fossi (ff) accorta,
Che non mirasser tal (gg), ch'io ne son morta.
Tu non se' morta, ma se' sbigottita (hh),

Ch'Amor fa di ragion ciò che gli è a grato(p)(*). Anima nostra, che si ti lamenti,

CANZONE XXVI.

Parla del suo amore alle intelligenze
del terzo cielo.

Voi, che intendendo, il terzo ciel movete,
Udite il ragionar, ch'è nel mio core,
Ch'io no 'l so dire altrui, sì mi par novo:
Il (q) Ciel, che segue lo vostro valore,
Gentili creature, che vo' sete,
Mi tragge nello stato (r), ov' io mi trovo;

(a) Perchè si vide (b) Che si pone in viltate, che mi porse (c) Quella cotal ferita (d) Ed è irata, che per questo vede (e) ed ogni (f) Affilata del suo piacer procede (g) ch'ivi (h) lo già la vidi si bella e gentile (i) E di vista si vil che per gran forza (k) ch'è sottil si ch' altrui (1) mi fece (m) di (n) ragion (0) Ch' a ciò vegno, come quei ch'è menato (P) Ch' Amor ragion fa ciò che gli è a grato-ciò che gli è grato.

(*) Nell'edizione delle Rime di M. Cino, pubblicate ed illustrate dal Chiarissimo Sig. Prof. Sebastiano Ciampi, i due versi, undecimo e duodecimo, di ciascheduna stanza di questa Canzonę son riuniti in un solo, in questa guisa:

Dice uno spiritel d'amor gentile;
Chè questa (ii) bella donna, che tu senti,
Ha trasformata (kk) in tanto la tua vita,
Che n' hai paura, si se' (11) fatta vile.
Mira quanto ell'è pietosa ed umile,
Saggia e cortese nella sua grandezza :
E pensa di chiamarla donna omai;
Chè, se tu non t' inganni, ancor vedrai (mm)
Di si alti miracoli adornezza,

Che tu dirai: Amor (nn), signor verace,
Ecco l'ancella tua; fa', che ti piace.

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