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Canzone, i' credo, che saranno radi Color, che tua ragione (1) intendan bene, Tanto la parli faticosa (a) e forte; Onde, se per ventura (b) egli addiviene, Che tu dinanzi da persone vadi, Che non ti paian d'essa (c) bene accorte; Allor ti priego, che ti riconforte (d), Dicendo (e) lor, diletta mia novella: Ponete mente almen com'io son bella.

CANZONE XXVII.

Parla delle virtù e delle bellezze
della sua donna.

Amor, che nella mente mi ragiona
Della mia donna disiosamente,
Move cose di lei meco sovente,
Che lo 'ntelletto sovr' esse (f) disvia.
Lo suo parlar si dolcemente sona,
Che l'anima, ch'ascolta, e che lo (g) sente,
Dice: oh me lassa, ch'io non son possente
Di dir quel ch'odo della donna mia!
E certo e' mi convien lasciare in pria,
S'i'vo' trattar (h) di quel, ch'odo di lei,
Ciò, che lo mio intelletto non comprende,
E di quel, che s'intende,

Gran parte, perchè dirlo non saprei (i).
Però (k) se le mie rime avran difetto,
Ch' entreran (1) nella loda di costei,
Di ciò si biasmi il debole (m) intelletto,
El parlar nostro, che non ha valore
Di ritrar tutto ciò, che dice (n) Amore.
Non vede 'l Sol, che tutto 'l mondo gira,
Cosa tanto gentil, quanto 'n quell'ora (0),
Che luce nella (p) parte ove dimora
La donna, di cui dire Amor (q) mi face.
Ogni 'ntelletto di lassù la mira;
E quella gente, che qui s'innamora,
Ne' lor pensieri la trovano (r) ancora,
Quand' Amor fa sentir della sua pace.
Suo esser tanto a quei, che gliel dà (s), piace,
Che 'nfonde sempre in lei la sua virtute,
Oltre il dimando (2) (t) di nostra natura.
La sua anima pura,

Che riceve da lui questa (u) salute,

Lo (v) manifesta in quel, ch'ella (x) conduce,
Che 'n sue (y) bellezze son cose vedute;
Che gli occhi di color, dov' ella luce,
Ne mandan messi al cor pien di disiri,

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Che prendon aere, e diventan sospiri.
In lei discende la virtù divina,
Siccome face un Angelo, che 'l vede (z):
E qual donna gentil questo non crede,
Vada (aa) con lei, e miri gli atti sui.
Quivi, dov'ella parla, si dichina (4)
Un Angelo dal Ciel (bb), che reca fede,
Come l'alto valor, ch'ella possiede,
È oltre a quel, che si conviene a nui.
Gli atti soavi, ch'ella mostra altrui,
Vanno chiamando Amor, ciascuno a prova (cc),
In quella voce, che lo (dd) fa sentire.
Di costei si può dire:

Gentil è in donna ciò che 'n lei si trova:
E bello è tanto, quanto lei simiglia.
E puossi dir, che 'l suo aspetto giova
A consentir ciò, che par maraviglia.
Onde la fede nostra è aiutata,
Però fu tal dall' eterno ordinata (ee).

Cose appariscon nello suo (ff) aspetto,
Che mostran de' piacer del Paradiso;
Dico negli occhi, e nel suo dolce riso,
Che le vi reca Amor, com' a suo loco.
Elle soverchian lo nostro intelletto,
Come raggio di Sole un fragil (gg) viso (5);
E perch'io non lo (hh) posso mirar fiso,
Mi convien contentar di dirne poco.
Sua beltà piove fiammelle di fuoco,
Animate d'un spirito gentile,
Ch'è creatore d'ogni pensier buono:
E rompon come tuono

Gl'innati vizii, che fanno altrui vile.
Però qual donna sente sua beltate
Biasmar, per non parer queta ed umile,
Miri costei, ch'è esemplo d'umiltate.
Quest'è colei, ch'umilia ogni perverso:
Costei pensò chi (ii) mosse l'universo.

Canzone, e' par che tu parli contraro,
Al dir d'una sorella, che tu hai;
Chè questa donna, che tant' umil fai,
Quella (kk) la chiama fera e disdegnosa.
Tu sai (11), che'l Ciel sempr'è lucente e chiaro,
E quanto in sè non si turba giammai,
Ma li nostr' occhi, per cagioni assai,
Chiaman la stella (6) talor tenebrosa;
Così quand'ella la chiama orgogliosa,
Non considera lei secondo'l vero,

Ma pur secondo quel, che a lei parea (mm): Chè l'anima temea,

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E teme ancora si, che mi par fero,
Quantunque io vengo dov'ella mi senta (a).
Così ti scusa, se ti fa mestiero;
E quando puoi, a lei ti rappresenta,
E di' (b): Madonna, s'ello v'è a grato,
Io parlerò di voi in ciascun (c) lato.

CANZONE XXVIII.

Tratta nobilmente della vera gentilezza.

Le dolci rime d'amor, ch'i' solia Cercar ne' miei pensieri,

Convien, ch'i'lasci, non perch'i' non speri
Ad esse ritornare,

Ma perchè gli atti disdegnosi e feri
Che nella Donna mia

Sono appariti, m'han chiuso la via
Dell'usato parlare:

E poichè tempo mi par d'aspettare,
Diporrò giù lo mio soave stile,
Ch'i'ho tenuto nel trattar d'amore,
E dirò del valore,

Per lo qual veramente è l'uom (d) gentile,
Con rima aspra (e) e sottile
Riprovando il giudizio falso e vile

Di que', che voglion, che di gentilezza
Sia principio ricchezza:

E cominciando, chiamo quel Signore,
Ch' alla mia donna negli occhi dimora,
Per ch'ella di sè stessa s'innamora.

Tale imperò (1), che gentilezza volse
Secondo'l suo parere,

Che fosse antica possession d' avere (2),
Con reggimenti belli:

Ed altri fu di più lieve sapere,
Che tal detto rivolse,

E l'ultima particola ne tolse (f),
Chè non l'avea fors' elli.

Di dietro da costui van (g) tutti quelli,
Che fan gentili (h) per ischiatta altrui,
Che lungamente in gran ricchezza è stata:
Ed è tanto durata

La così falsa opinion tra nui,
Che l'uom chiama colui

Uomo gentil, che può dicere (i): i’fui
Nipote o figlio di cotal valente,
Benchè sia (k) da niente;

Ma vilissimo sembra, a chi 'l ver guata,
Cui è scorto il cammino e poscia l'erra (3),
E tocca tal (1), che è morto, e va per terra.

sidero lei secondo il vero, Ma pur secondo quel ch'ella parea; (a) io veggio- io veggia là ov' ella mi sente Quantunque io vengo dov' ella mi senta (b) E quando poi a lei ti rappresente, Dirai: (c) in ogni (d) uomo è (e) rime aspre (f) ritolse (g) Di

dietro da costor van-Dietro a costoro vanno

(h) gentile (i) il qual può dire (k) Benchè el sia (1) E tocca a tal (m) uomo è leguo (n) Fa chi tenne (0) Similemente

Chi diffinisce l'uom, legno (m) animato; Prima dice non vero,

E dopo 'l falso parla non intero;
Ma forse più non vede.

Similemente fu, chi tenne (n) impero,
In diffinire errato,

Chè prima pose'l falso (o), e d'altro lato
Con difetto procede;

Chè le divizie, siccome si crede,
Non posson gentilezza dar, nè tôrre,
Perocchè vili son di lor natura:
Poi chi pinge figura,

Se non può esser lei, non la può porre:
Nè la diritta torre

Fa piegar rivo, che di lunge corre.
Che sieno vili appare ed imperfette,
Chè quantunque collette,

Non posson quietar, ma dan più cura;
Onde l'animo, ch'è dritto e verace,
Per lor discorrimento (4) (p) non si sface.
Ne voglion, che vil uom gentil divegna,
Nè di vil padre scenda

Nazion, che per gentil giammai s'intenda,
Quest'è da lor confesso;

Onde la lor ragion par che s'offenda,
In tanto quanto assegna,

Che tempo a gentilezza si convegna,
Difinendo con esso.

Ancor segue di ciò, che innanzi ho messo,
Che siam (q) tutti gentili, ovver villani,
O che non fosse all' uom (r) cominciamento.
Ma ciò io non consento,

Nè eglino altresì, se son Cristiani,
Per che a intelletti sani

È manifesto, i lor diri (5) esser vani;
Ed io così per falsi li riprovo,
E da lor mi rimovo:

E dicer voglio omai, siccom' io sento,
Che cosa è gentilezza, e da che viene,
E dirò i segni, che gentil uom tiene.

Dico, che nobiltà (s) principalmente
Vien da una radice,

Virtute intendo, che fa l'uom felice
In sua operazione.

Quest'è, secondochè l' Etica dice,
Un abito eligente (6),

Lo qual dimora in mezzo solamente,
E tai parole pone.

Dico che nobiltate in sua ragione
Importa sempre ben del suo suggetto,
Come viltate importa sempre male:

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Perchè in (a) medesmo detto

Convengono ambedue, ch' en (1) d' un effetto;
Onde (b) convien, dall' altra venga l' una,
O da un terzo ciascuna (c);

Ma se l' una val ciò, che l' altra vale,
Ed ancor più, da lei verrà piuttosto (d):
E ciò, ch' io ho detto qui, sia per supposto (e).
È gentilezza dovunque (f) virtute,
Ma non virtute ov' ella;

Siccome è'l Cielo dovunque la Stella,
Ma ciò non è converso (2).

E noi in donne (g), ed in età novella
Vedem questa salute,

In quanto vergognose son tenute;
Ch'è da virtù diverso.

Dunque verrà (h), come dal nero il perso (3),
Ciascheduna virtute da costei,

Ovvero il gener lor (i), ch'i' misi avanti.
Però nessun si vanti

Dicendo: per ischiatta i' son con lei (k);
Ch'elli son (1) quasi Dei,

Que' ch' han tal (m) grazia fuor di tutti rei (4);
Chè solo Iddio all' anima la dona,
Che vede in sua persona

Perfettamente star, sicchè ad alquanti
Lo seme (n) di felicità s' accosta,
Messo da Dio nell' anima ben posta (o).
L'anima, cui adorna esta bontate
Non la si tiene ascosa;

Chè dal principio, ch' al corpo si sposa,
La mostra infin 'la morte:
Ubidente, soave e vergognosa
È nella prima etate,

E sua persona adorna (p) di beltate,
Colle sue parti accorte:

In giovanezza temperata e forte,
Piena d'amore e di cortese lode,
E solo in lealtà far si diletta:
E (q) nella sua senetta (5),

Prudente e giusta, e larghezza se n' ode;
E 'n sè medesma gode

D' udire (r), e ragionar dell' altrui prode (6):
Poi nella quarta parte della vita
A Dio si rimarita,

Contemplando la fine, che l'aspetta (s),
E benedice li tempi passati.
Vedete omai, quanti son gl' ingannati!

Contr' agli erranti, mia (7), tu te n'andrai: E quando tu sarai

(a) Che per (b) Dunque (c) Onde convien che l' una Venga dall'altra, o da un terzo ciascuna (d) Ma se pur l'una quanto l'altra vale, Cotanto perverrà da lei piuttosto (e) presupposto (f) dovunche (g) E noi in donna-In noi, in donne (h) Che da virtù diverso Dunque verrà (i) Ovver dal gener lor (k) i' son colei (1) Che sono (m) Que' con tal (n) Chè (o) sicchè d' alquanti. Che 'l seme di felicità s'accosta, Messa da Dio nell' anima ben posta (p) acconcia (q) Poi (r) U

seme

In parte (t) dove sia la donna nostra, Non le tenere il tuo mestier coverto; Tu le puoi dir (u) per certo:

Io vo parlando dell'amica vostra.

CANZONE XXIX.

Dice che il tormento del cuore non gli permette ragionar di tutti i pregi della sua Donna.

Io non pensava che lo cor giammai
Avesse di sospir tormento tanto,
Che dall' anima mia nascesse pianto,
Mostrando per lo viso gli occhi morte.
Non senti' pace mai, nè riso alquanto,
Posciach' Amor e Madonna trovai;
Lo qual mi disse: tu non camperai,
Chè troppo è lo valor di costei forte.
La mia virtù si parti sconsolata,
Poichè lasciò lo core

Alla battaglia, ove Madonna è stata,
La qual dagli occhi suoi venne a ferire
In tal guisa, ch' Amore

Ruppe tutti i miei spiriti a fuggire.

Di questa donna non si può contare (8),
Che di tante bellezze adorna viene,
Che mente di quaggiù non la sostene,
Sicchè la veggia lo 'ntelletto nostro:
Tanto è gentil, che quando penso bene,
L'anima sento per lo cor tremare,
Siccome quella che non può durare
Davante al gran dotor, che a lei dimostro.
Per gli occhi fiere la sua claritate,
Sicchè qual uom mi vede,

Dice: non guardi me questa pietate,
Che post' è 'n vece di persona morta,
Per dimandar mercede:

E non se n'è Madonna ancora accorta.
Quando mi ven pensier, ch' io voglia dire
A gentil core della sua virtute,
Io trovo me di sì poca salute,
Ch' io non ardisco di star nel pensiero:
Ch' Amor alle bellezze sue vedute,
Mi sbigottisce sì, che sofferire
Non puote 'l cor, sentendola venire;
Che sospirando dice: io ti dispero (9);
Perocch' io trassi del suo dolce riso
Una saetta acuta,

Che ha passato il tuo, e 'l mio diviso:

dire

-

(s) che gli aspetta che ella aspetta (1) In luogo (u) Potraile dir

(1) Ch'enno, che sono.

(2) Non è al rovescio, non è al contrario.
(3) Color misto di rosso e di nero.
(4) Fuor d'ogni reità.

(5) Vecchiaia, voce latina.
(6) Pro, utilità.

(7) Contro a coloro che sono in errore, mia canzone. (8) Raccontare, parlare. (9) Io ti tengo per disperato, spacciato.

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120

Amor, tu sai allora, ch' io ti dissi,
Poiché l'avei veduta,

Per forza converrà, che tu morissi.
Canzon, tu sai che dei labbri d' Amore
Io ti sembrai, quando Madonna vidi:
Però ti piaccia che di te mi fidi:

Che vadi in guisa a lei, ch' ella t'ascolti:
E prego umilemente, à lei tu guidi
Gli spiriti fuggiti del mio core,
Che per soverchio dello suo valore
Eran destrutti, se non fosser volti;
E vanno soli senza compagnia
Per via troppo aspra e dura;
Però gli mena per fidata via,
Poi le di', quando le sarai presente:
Questi sono in figura

D'un che si more sbigottitamente..

CANZONE XXX.

Descrive lo stato in cui si trova

l'innamorato suo cuore.

Giovene donna dentro al cor mi siede,
E mostra in se beltà tanto perfetta,
Chè s'io non ho aita,

I' non saprò dischiarar (1) ciò che vede
Gli spirti innamorati, cui diletta
Questa lor nova vita:

Perchè ogni lor virtù ver lei è ita;
Di che mi trovo già di lena asciso (2)
Per l'accidente piano (3), e'n parte fero.
Dunque soccorso chero

Da quel Signor ch' apparve nel chiar (5) viso,
Quando mi prese per mirar sì fiso.

Dimorasi nel centro la gentile
Leggiadra, adorna, e quasi vergognosa;
E però via più splende

Appresso de' suoi piedi l'alma umile:
Sol la contempla si forte amorosa,
Ched a null' altro attende;

E posciachè nel gran piacer si accende,
Gli begli occhi si levano soave
Per confortare la sua cara ancilla;
Onde qui ne scintilla

(1) Far chiaro, palese, lo stesso che dichia

rare.

(2) Privo.

(3) Propizio.

(4) Domando, chiedo.

(5) Cioè Bello, troncamento di chiaro.

(6) A simiglianza.

L'aspra saetta che percosso m' have,
Tosto che sopra me strinse le chiave.
Allora cresce 'l sfrenato desiro,
E tuttor sempre, nè si chiama stanco
Finchè a porto m' ha scorto,
Che 'l si converta in amaro sospiro;
E pria che spiri, io rimango bianco,
A simile (6) d' uom morto;

E s'egli avvien ch' io colga alcun conforto,
Immaginando l' angelica vista,
Ancor di certo ciò non m' assicura;
Anzi sto in paura;

Perchè di rado nel vincer s' acquista,
Quando che della preda si contrista.
Luce ella nobil nell' ornato seggio,
E signoreggia con un atto degno,
Qual ad essa convene:

Poi sulla mente dritto li per meggio (7)
Amor si gloria nel beato regno,
Ched ella onora e tene;

Sicchè li pensier ch' hanno vaga spene,
Considerando si alta conserba (8),
Fra lor medesmi si coviglia e strigne (9):
E d'indi si dipigne

La fantasia, la qual mi spolpa e snerba,
Fingendo cosa onesta esser acerba.

Così m' incontra insieme ben e male;
Chè ragion, che 'l netto vero vuole,
Di tal fin è contenta:

Ed è conversa in senso naturale,
Perchè ciascun affan, chi'l prova, duole:
E sempre non allenta:

E di qualunque prima mi rammenta,
Mi frange lo giudizio mio molto:
Nè diverrà, mi credo, mai costante:
Ma pur, siccome amante,

Appellomi soggetto al dolce volto,
Nè mai lieto sarò, s' ei mi fia tolto.

Vattene, mia Canzon, ch'io te ne prego,
Fra le person che volentier t' intenda,
E si t'arresta di ragionar sego (10):
E di' lor, ch' io non vego (11),

Nè temo, che lo palegiar (12) m'offenda:
Io porto nera vesta e sottil benda.

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SESTINA

HONG

Al poco giorno, ed al gran cerchio d'ombra | Ch' io son fuggito per piani e per colli,

Son giunto, lasso, ed al bianchir de' colli,
Quando si perde lo color nell' erba:
E'l mio disio però non cangia il verde,
Si è barbato (1) nella dura pietra,
Che parla e sente, come fosse donna.
Similemente questa nova donna
Si sta gelata, come neve all' ombra;
Che non la move, se non come pietra,
Il dolce tempo, che riscalda i colli,
E che gli fa tornar di bianco in verde,
Perchè gli copre di fioretti e d' erba.
Quando ella ha in testa unaghirlanda d'erba,
Trae della mente nostra ogni altra donna;
Perchè si mischia il crespo giallo e 'l verde
Si bel, ch' Amor vi viene a stare all'ombra;
Che m'ha serrato tra piccioli colli
Più forte assai, che la calcina pietra;

Le sue bellezze han più virtù, che pietra,
E' colpo suo non può sanar per erba;

Per potere scampar da cotal donna;
Onde al suo lume non mi può fare ombra
Poggio, nè muro mai, nè fronda verde.

Io l'ho veduta già vestita a verde
Si fatta, ch'ella avrebbe messo in pietra
L'amor, ch'io porto pure alla sua ombra;
Ond' io l'ho chiesta in un bel prato d' erba
Innamorata, come anco fu donna,
E chiusa intorno d'altissimi colli.

Ma ben ritorneranno i fiumi a' colli
Prima, che questo legno molle e verde
S' infiammi, come suol far bella donna,
Di me, che mi torrei dormire in pietra
Tutto il mio tempo, e gir pascendo l'erba,
Sol per veder de' suoi panni l'ombra (a).

Quandunque i colli fanno più nera ombra,
Sotto un bel verde la giovene donna
Gli fa sparir (b), come pietra sotto erba.

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