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Fai come quel, che l'eternal tesoro
Nel temporale acquista, che non dura.
Sicchè rendrai 'l talento con usura,
Ch'è stato creto (1) a te d'argento e d'oro;
Ma in numero mi mett' io di coloro,
Ch' en dati tutti alla mondana cura.

Chè come l'ombra della terra scuro
Fa 'l globo della luna, quando 'l tole (2)
Lo chiaro raggio ch' allumar lo suole,
Così distanza togliendomi il sole
Ch'alluminava, mi fa tardo e duro,
Quasi animal del gregge d'Epicuro.

SONETTO LXXIV.

Poichè sguardando, il cor feriste in tanto
Di grave colpo, ch' io batto di vena,
Dio, per pietade, or dågli alcuna lena,
Che 'I tristo spirto si rinvegna alquanto.

Or non mi vedi consumare in pianto
Gli occhi dolenti per soverchia pena,
La qual si stretto alla morte mi mena,
Che già fuggir non posso in alcun canto!
Vedete, Donna, s'io porto dolore,
E la mia voce ch'è fatta sottile,
Chiamando a voi mercè sempre d'amore!

E s'el v'aggrada, Donna mia gentile, Che questa doglia pur mi strugga il core, Eccomi apparecchiato servo umile.

SONETTO LXXV.

Per villania di villana persona, O per parole di cattiva gente, Non si convien a donna conoscente, La qual di pregio e d'onor s'incorona, Turbarsi, e creder che sua fama buona, Che 'n ogni parte va chiara e lucente, Si possa dinegar; poich' ella sente, Che verità di ciò non la cagiona.

Come la rosa in mezzo delle spine, E come l'oro puro dentro il fuoco, Così voi vi mostrate in ciascun loco.

Dunque lasciate dir chi ha senno poco, Che par, che vostra lode più si affine, Che se 'I contrario usasser tai meschine.

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Ora che'l mondo si adorna e veste
Di foglie e fiori, ed ogni prato ride,
E freddo e nebbia il ciel da se divide,
E gli animali comincian lor feste,

Ed in amor ciascun par che s'appreste,
E gli augelletti, cantando, lor gride,
Che lascian guai e di lamenti stride,
Fanno per monti, prati e per foreste.

Però, che'l dolce tempo allegro e chiaro Di primavera col suo verde viene, Rinfresco in gioia e rinnuovo mia spene, Come colui, che vita ed onor tiene Da quel Signor, che sopra gli altri è caro, Lo quale a me, suo servo, non fia avaro.

SONETTO LXXIX.

Se'l bello aspetto non mi fosse tolto Di quella Donna, ch'io veder disiro, Per cui dolente qui piango e sospiro Così lontan dal suo leggiadro volto,

Ciò che mi grava, e che mi pesa molto, E che mi fa sentir crudel martiro In guisa tal, che appena in vita spiro, Com'uomo quasi di speranza sciolto,

Mi saria leve e senza alcuno affanno; Ma per ch'io non la veggio, com'io soglio, Amor m'affligge, ond' io prendo cordoglio, E si d'ogni conforto mi dispoglio, Che tutte cose, ch'altrui piacer dànno, Mi son moleste, e'l contrario mi fanno.

SONETTO LXXX.

Lo re che merta (3) i suoi servi a ristoro
Con abbondanza, e vince ogni misura,
Mi fa lasciare la fiera rancura,

E drizzar gli occhi al sommo concistoro.
E qui pensando al glorioso coro
Dei cittadin della cittade pura,

(3) Rimunera.

18

Laudando il Creator io creatura

Di più laudarlo sempre m'innamoro.
Chè s'io contemplo il gran premio venturo,
A che Dio chiama la cristiana prole,
Per me niente altro che quello si vuole:

Ma di te, caro amico, si mi duole, Che non rispetti (1) al secolo futuro, E perdi per lo vano il ben sicuro.

(1) Riguardi.

I

SETTE SALMI PENITENZIALI

ED IL CREDO

TRASPORTATI ALLA VOLGAR POESIA DALL'AUTORE

COLLE ILLUSTRAZIONI

DELL'AB. FRANCESCO SAV. QUADRIO

CONFORME ALL'EDIZIONE DI BOLOGNA

1753

INTRODUZIONE

CHOKO

Le reliquie degli Uomini illustri si debbono conservar tutte, e pregiare; si per non so qual riverenza loro dovuta; e si perchè da esse qualche lampo sempre traluce, onde il merito de' loro Autori vie più chiaro viene apparendo nel mondo. Uno di tali Uomini fu senza veruna dubitazione DANTE ALIGHIERI, le cui famose ed alte Opere hanno il suo nome all' immortalità consacrato. Tra queste una traduzione de'Salmi Penitenziali e' pur fece, della qual fan menzione Giulio Negri, il Crescimbeni, ed altri. Ma niuno d'essi quest'opera vide impressa, non mentovandola che manoscritta: ed io sopra loro ho avuta sì fatta sorte, che mi fu in Brescia mostrata dal gentilissimo P. Crotta della congregazione dell' Oratorio, stampata in uno con altre cose; siccome ho scritto nella mia Storia (*) facendo al pubblico manifesta sì fatta stampa. Questa notizia avendo un Cavaliere amatore di detto Poeta, e de' buoni studi, il Marchese Don Teodoro Alessandro Trivulzio, invogliato di vederne tal impressione, e ottenutone l'esemplare da me indicato, comunicò meco il generoso suo desiderio di procurarne una ristampa a pubblica soddisfazione e contentamento. Ed ecco ciò, ch' io per ubbidire a questo mio dolcissimo amico e Signore, intraprendo di fare.

Di tre cose però io debbo qui da principio il Leggitore avvertire. La prima è che non si produce mica al pubblico questa traduzione, come tratta da autentico originale, per modo che migliorar non si possa confrontandola co' manoscritti, che di essa esistono in diverse Biblioteche. Ma siccome nè la comodità a me è data, nè il tempo di poter ciò fare; così la gloria di ciò adempiere, è mestieri, ch' io ceda e lasci ad altrui, che il farà senza dubbio altresì con più lode, che non avrei io fatto. Io produco qui unicamente una ristampa di quella copia, che sola mi è venuta alle mani; salvo ch'essa impres

(*) Tom. VII, pag. 120.

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