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E poi la terra col profondo Inferno (38). 27. E quando sarà il giorno del Giudizio, Tu nondimeno immobile starai, Benchè vadano i Cieli in precipizio. Tutta l'umana gente, che tu sai

Ora invecchiarsi come il vestimento, 28. Delli suoi corpi allora vestirai. Li quai subitamente in un momento

Risorgeranno al suono della tromba, Per rendere ragion del lor talento (39). 29. Or fa', Signore, che della mia tomba Io esca fuora, non oscuro e greve, Ma puro, come semplice colomba; Acciò ch'io essendo allora chiaro e lieve, Possa venire ad abitar quel loco, Che li tuoi figli e servitor riceve; Dov'è diletto e sempiterno giuoco (40)..

SALMO VI.

1. Dallo profondo (1) chiamo a te, Signore, E pregoti, che ti degni esaudire La voce afflitta dello mio clamore. 2. Apri, Signore, il tuo benigno udire Alla dolente voce sconsolata, E non voler guardare al mio fallire. 3. Ben so, che se tu guardi alle peccata, Ed alla quotidiana iniquitade (2) Giammai persona non sarà salvata. 4. Ma perchè so, che sei pien di pietade, E di misericordia infinita (4), Però n'aspetto la tua volontade (5). 5. E perchè sei l' Autore della vita,

Il qual non vuoi, che il peccatore muora (6), In te la mia speranza ho stabilita. 6. Adunque dal principio dell'aurora Si de' sperare nell'eterno Iddio Fin a la notte, e in ogni tempo, ed ora. 7. Però ch'egli è il Signor si dolce e pio, E fa sì larga la redenzione (7), Ch'ei può più perdonar, che peccar io. 8. Onde vedendo la contrizione

Del popol d'Israel, son più che certo,
Ch'egli averà di lui compassïone;
E lasceragli ogni perverso merto (8).

SALMO VII.

1. Signore, esaudi la mia orazione, La qual ti porgo: e 'l tuo benigno udire Apri alla mia umile ossecrazione. Deh! piacciati, Signor, d'esaudire Il servo tuo nella tua veritade (1), Che senza la giustizia non può ire. 2. Non mi voler con la severitade

Del tuo giudizio giusto giudicare, Ma con la consueta tua bontade. Perchè se pur tu mi vorrai dannare (2), Non è alcun, che viva, il qual si possa Nel tuo cospetto mai giustificare (3).

27. Ipsi peribunt, tu autem permanes : et omnes sicut vestimentum veterascent.

28. Et sicut opertorium mutabis eos, et mutabuntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non deficient.

29. Filii servorum tuorum habitabunt: et semen eorum in saeculum dirigetur.

PSALMUS VI.

1. De profundis clamavi ad te, Domine : Domine, exaudi vocem meam.

2. Fiant aures tuae intendentes in vocem deprecationis meae.

3. Si iniquitates observaveris, Domine: Domine, quis sustinebit?

4. Quia apud te propitiatio est; et propter legem tuam sustinui te, Domine.

5. Sustinuit anima mea in verbo eius: speravit anima mea in Domino.

6. A custodia matutina usque ad noctem, speret Israel in Domino.

7. Quia apud Dominum misericordia: et copiosa apud eum redemptio.

8. Et ipse redimet Israel ex omnibus iniquitatibus eius.

PSALMUS VII.

1. Domine, exaudi orationem meam : auribus percipe obsecrationem meam in veritate tua: exaudi me in tua iustitia.

2. Et non intres in iudicium cum servo tuo: quia non iustificabitur in conspectu tuo omnis vivens.

3. Vedi, che l'alma mia in fuga è mossa (4) 3. Quia persecutus est inimicus animam meam:

Per li nemici miei acerbi e duri,

humiliavit in terra vitam meam.

Si ch'io ho perse con la carne l'ossa (5).

4. Costor m'han posto nelli luoghi oscuri (6), 4. Collocavit me in obscuris sicut mortuos saeCome s'io fossi quasi di que' morti,

Che par, che debban viver non sicuri (7). Onde i miei spirti son rimasi smorti (8), Ed il mio core è molto conturbato, Vedendosi giacer con tai consorti (9). 5. Ma pur quand' io ho ben considerato Tutta la legge con l'antica istoria, E quel, che tu hai fatto nel passato, Io ho trovato che maggior memoria

Si fa di tua pietà, che di giustizia (10); Benchè proceda tutto di tua gloria (11). 6. Onde dolente, e pieno di tristizia,

A te porgo la man, perchè non posso Con la mia lingua esprimer mia malizia (12). Lo mio intelletto si è cotanto grosso, Che come terra secca non fa frutto, Se non gli spargi la tu'acqua addosso (13). 7. Onde ti prego, che m'aiuti al tutto (14): E presto presto esaudimi, Signore, Perchè il mio spirto è quasi al fin condutto. 8. Deh! non asconder al tuo servidore

La faccia tua, acciò che io non sia Di quei,che al lago (15) discendendo muore. 9. Fa'sì, ch'io senta quella cortesia (16), Che fai all'uomo, pur ch'ei si converta, Però che spera in te l'Anima mia. 10. Tu sai, che l'alma io ti ho già offerta (17); Ma pur, Signore, a te non so venire, Se la tua strada non mi vien scoperta. 11. Io prego, che mi voglia sovvenire, E liberarmi da' nemici miei,

Però che ad altro Dio non so fuggire (18). O Dio eccelso sopra gli altri Dei,

Fa' sì, ch' io senta la tua voluntade (19,) Perchè tu sol mio Dio, e Signor sei. 12. Deh fa', Signor, che la benignitade Del tuo Spirito Santo mi conduca Nel diritto cammin per tua bontade (20). Se, come spero, tu sarai mio duca (21), Io so, che viverò per sempre mai Dop'esta (22) vita labile è caduca. 13. Ma pur bisogna, che da questi guai, E tribolazioni tu mi cavi,

Come più volte per pietade sai (23). 14. Perocchè io sono de' tuoi servi e schiavi, Io prego, che distrugga tutti quelli, Li quai contra mi son crudi e gravi, E che al mio bene far sono ri belli (24).

culi: et anxiatus est super me spiritus meus: in me turbatum est cor meum.

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DANTE. Opere Minori.

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AL SALMO I.

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(1) Con perfetto amore cioè con puro amore, scevero d' ogni collera. Correggimi, non come nimico, lasciandomi per vendetta trascinare alle mie passioni; ma come Padre, per emendare semplicemente in me la mia colpa.

(2) Cioè a chi sospira per vera contrizione di cuore, e per desiderio sincero di tornare a Dio: perchè non ogni sospiro è sufficiente a conciliarci la divina misericordia.

(3) Lo stesso che abbi; e lo scambiamento del B nel G non è infrequente nella Lingua Italiana; come è chiaro da molte altre parole, quali sono Debbia, Gabbia, Subbietto ec. che si voltarono spesso in Deggia, Gaggia, Suggetto ec.

(4) Tutti i miei vigori, cioè tutte le mie forze; e intende delle spirituali, perchè per la colpa mortale si perdono in fatti tutti gli abiti soprannaturali, produttivi dagli atti meritorii della grazia; non rimanendo più nel peccatore, che una Fede morta, e una fredda Speranza.

Dante piacque più Cargare e Cargo, come
usan dire i Lombardi, che il Toscano Car-
care e Carco. Gli Etimologisti derivano la
detta voce dal Carrus de' Latini corrotto dal
Currus: onde a' barbari tempi venne il la-
tino Carricare, per Aggrovare. Così il Pseu-
do-Jeronimo ( De XII. Script. Eccles. ), par-
lando d' Origene, lasciò scritto: Oneribus
maioribus carricabat se. Ma se derivata fos-
se la detta voce da Carrus, avrebbe dovuto
scriversi Carricare costantemente con dop-
pia R. Potrebbe per avventura più tosto es-
ser la medesima originata da' popoli della
Caria, i quali avevano per lor peculiare me-
stiero di fare il facchino. E i Servi erano
appunto da' Greci chiamati Cari: onde dice-
vano nelle lor Feste Florali: fuori i Cari,
per fuori i Famigli; e all' usanza Carica
era un Proverbio appo i medesimi, col qua-
le volevano dire all'usanza Facchinesca
cioè incivile e impropria del che si può
leggere Erasmo (Adag. Chil. pag. 25 e 969).
Onde da Cari, Carcare forse all' Italia è
venuto; e Gargar alla Spagna; siccome dal
Greco Botarica s'è fatto tra noi Botarga
e dal Greco Macara, s'è fatto Magara, e
così discorrendo: moltissime essendo le gre-
che voci, che noi abbiamo, dove la K in G
è mutata.

(5) Vermo invece di Verme, per cagion della rima il che usò questo Poeta altresì nella Cantica dell' Inferno (Cant. 6. vers. 22. Cant. 29. vers. 61. Cant. 45. vers. 108 ). (8) Fiata è voce trissillaba, come deriE per gran Vermo intende egli il gran vata dal verbo Fiat de' Latini: nè si è fatta Dragone, come si dice nell' Apocalissi (Cap. bissillaba mai, che per larga licenza. Tutta XII. n. 9): il Serpente antico, che è chia- fata vale poi il medesimo, che continuamato Diavolo, il quale seduce tutto il Mon-mente, con assiduità, sempre più, o sido ec. mil cosa. Così il Boccaccio (Giorn. II. Nov. (7) Dante ha nell' interpretazione dell' ul-7): Quello non cessando, ma crescendo timo senso di questo secondo Versetto, seguitato il Testo Ebraico, che così dice: E le mie ossa son divenute tremanti; come che poeticamente abbia egli ciò espresso, dicendo, che non ha osso, che possa star fermo.

(7) Così trovo in questa Traduzione costantemente stampato, cioè Cargo invece di Carco; Discarghi invece di Discarchi ec. Nè si può ciò attribuire a errore dell' amanuense, o della stampa: poichè del contrario ci fanno fede le parole compagne di rima, usate nell' interpretazione del terzo Salmo che sono Letargo e Largo. Gli Spagnoli dicono Cargar e Cargo, e i Francesi Charger Charge. Per avventura anche a

tuttafiata.

(9) Questa replicazione dell' avverbio Presto è molto ben qui locata: perciocchè dimostra la premurosissima sollecitudine, che Davide avea, di uscir del peccato.

(10) I nomi sostantivi era uso antico di terminarli nel plurale alla maniera de' neutri latini, come le Pugna e le Coltella nel Novelliere; le Castella e le Munimenta nel Villani; le Demonia e le Peccata nel Passavanti: onde il Davanzati altresì, a cui piacque vestir le brache all' antica, volle pur dire le Letta e le Tetta ec.

(11) Ottimamente usa qui Dante la voce Molesto, relativamente al Cargo detto di sopra: poich' essa, come osservò il Passerat, è

fatta da Mola, ch'era la pena de' servi, che più lor dispiaceva; e vuol dire non siate contra me si cruccioso (facheux direbbe un Francese) di lasciarmi più a lungo sotto il peso de' miei peccati ec.

(12) Di questo stesso argomento si valse poi anche Ezechia (Isaiae cap. 38. v. 18): Perciochè l' Inferno, diceva questi, non darà gloria a te; nè la Morte loderà te: quelli, che scendono nel lago, non ispereranno nella tua verità.

(13) Si ricorde, invece di si ricordi: licenza usata in grazia della rima non pur da Dante, ma dal Petrarca eziandio, che così scrisse:

«Che convien, ch'altri impare alle sue spese» (Canz. Mai non vo' più cantar) invece di impari.

(14) Intende dell' eterna morte; poichè nella morte naturale le anime, separatesi dai loro corpi in grazia di Dio, seguitano ad amar lui e a lodarlo. E l'interpretare, che alcuni han fatto, il Profeta, come se avesse parlato della semplice natural morte considerando qui solo i corpi da sè nel sepolcro disanimati, è una stiracchiatura e scipitezza assai frivola.

(15) Cioè, se tu mi sgravi della colpa, che sommamente mi pesa ec.

(16) Intende sotto il nome de' suoi nimici tutti coloro, che l'hanno indotto a peccare, tanto uomini, che demonii; e dice di essere afflittissimo, sulla considerazione principalmente, d'essersi invecchiato nella sua colpa, cioè d'aver in essa perseverato per molti mesi; da che quando Natano fu ad ammonirlo, già gli era nato di Bersabea il figliuolo: onde per lo men nove mesi dalla sua colpa esser dovean già trapassati. Davide poi qui altamente si umilia, per muovere più a pietà di lui il Signore: paragonandosi, e posponendosi infino, per questa sua lunga durazione nel peccato, agli stessi de

monii.

rebbe soverchia esquisitezza nel parlare o scrivere famigliare, il dire Amavate, Sentivate ec. invece di Amavi, sentivi ec. Onde non è maraviglia, se i Poeti si lasciarono talora o dalla necessità della rima condurre a questo modo di dire, ovvero dalla strettezza del verso; come fece Guittone d' Arezzo, che così scrisse:

Sospira il core, quando mi sovvene,

Che voi m'amavi, ed ora non mi amate. e nel Sonetto Mille saluti v' mando » ec.

E come a visco augel m'avi pigliato. Ma queste sono licenze da non praticarsi, che per grave bisogno ne' versi: perchè quanto alle prose i buoni scrittori, lasciando a' Fiorentini così fatto idiotismo, scriveranno sempre giusta più tosto la buona regola, che secondo l'abuso di quelli.

(18) Invece di Oimè (interiezione), ovvero Ahi lasso! che altri disse, o simil cosa. Omei poscia, invece di Oimè, fu non solamente dall' Alighieri, ma da altri ancora adoperato. Così il Boccaccio (Amor. Vision. Cant 8): In abito crucciato con costei

Seguia Medea crudele e dispietata:
Con voce ancor parea dicere, Omei!
E Cin da Pistoia (Madr. Donna il beato punto):
Cui non rimase vita,

Ne lena tanta, che dicesse, Omei!
altro Antico (Rim. Ant. lib. X. Canz,
Oimè lasso)

Ed

Finir non deggio di chiamar Omei!

(19) Cioè m'ha preso sotto la sua protezione, o sotto l'ombra dell' ale sue, come altrove questo Profeta si esprime.

(20) La parola Rogna, usata da Dante altresì nella Cantica dell' Inferno, dispiacque veramente al Bembo, al Nisieli, e ad altri Critici, che riguardandola come incivile e sor (17) Conducesti invece di conduceste. Lio- dida, ne lo censurarono però, e nel ripresenardo Salviati (Avvert. lib II. cap. 10.) scri- ro d' averla usata. Ma a giudicare con rettive, che Voi mostrasti, Voi diresti, e simi- tudine, io credo, che a' tempi di Dante non li, invece di Voi mostraste, Voi direste ec., fosse la medesima si stomachevole e brutta, eziandio nel miglior secolo, non che nella com'è poi divenuta, e com'era a' tempi del favella, alcuna volta trascorsero nelle scrit- Bembo. Il Menagio nella Origine della Linture; e ne allega non pochi esempli, tra i gua Italiana deriva si fatta voce dal Rubiquali sono: lo vorrei, che voi mi vedestigo de' Latini, per queste vie: Rubigo, Ro(Boccac. Giorn. VIII. Nov. 9): Voi perdonasti alla Maddalena (Tav. Rit.): Per quello, che voi mi dicesti (Stor. di Barlaam): Voi facesti tanto che Voi avesti Consoli ec. (Stor. di Livio): ed è divenuto idiotismo si proprio de' Fiorentini il valersi della seconda voce del singolare, invece di quella del plurale, che Giambatista Strozzi nelle sue Osservazioni intorno al Parlare e Scriver Toscano (Pag. 52,) afferma infino che sa

bigo, Robiginis, Robigine, Rogine, Rogina, Rogna, per esser la Rogna, com'e' dice, quasi la Ruggine dell' uomo: e in questa opinione segue egli il Ferrari. Ma ci vuol ben della forza per tenere a sì fatte etimologie le risa. Rogna è fatto dal Ronger de' Francesi, che significa rodere: onde Ronge, Rodimento, che si è poi da' Francesi applicato alla ruminazione degli animali; e in Provenzale, Rongia per Rosione. E poi nota la trasposizione, che

(2) Cioè avanti al Trono di Gesù Cristo nell'estremo giudizio: Quando verrà il Figliuolo dell' Uomo nella sua maestà: e tutti gli Angeli con lui ec. (Matth. XXIV. v. 31 ).

(3) Teme in iscambio di Temono: maniere di dire usata dall' Alighieri, non pur in questa Versione, ma anche nel suo maggior Poema, donde sei esempli se ne possono vedere, da me allegati nella Storia e Ragione d' ogni Poesia (Tom. I. pag. 478 479). Il medesimo Dante nel suo Convivio (Fol. 94. ) si scrisse riluce in essa le intellettuali e le morali virtù: riluce in essa le buone disposizioni da Natura date: riluce in essa le corporali bontadi: e il Crescenzio (Lib. III. cap. 2.) Si dee cercare il luogo, dove spiri i venti australi: e'l Villani ( Lib. V. cap. 1. ) Al qual (Nome Imperiale) sc

in non poche parole fu praticata della Gel della N onde Ponghiamo e Pogniamo, si dice per esempio in Italia, Spongia e Spogna, Venga e Vegna, Tenga e Tegnia. Cosi di Rongia ci venne Rogna. Il Bastero infatti (Crusc. Provenz.) questa voce tra quelle pur numera, che ci sono dalla Provenza venute. Ora tal voce, come novamente nella nostra favella a' tempi di Dante introdotta, ne' quali la parlatura Francese, o Francesca, come dice, e narra Brunetto Latini (Tesor.), era la più comune di tutti i linguaggi, perchè non potè egli adoperarla con laude in significato di Incentivo, Tentazione, Stimolo, o simil cosa, nel qual senso è qui in fatti usata, come dal contesto apparisce? Le voci acquistano nell' estimazione degli uomini nobiltà o bassezza dall'uso, che se ne fa nel parlare. Potè pertanto la detta parola dive-lea ubbidire tutte le nazioni: e Fazio (Ditnire passo passo triviale, e per fin sordida, come la riputarono a' tempi loro il Bembo e il Nisieli, senza che tale fosse ne' suoi principii, e senza che Dante però peccasse in usarla a' suoi giorni.

AL SALMO II.

(1) Le persone, che godono della grazia di Dio, sono in tre classi divise. La prima è di quelle, che cadute in grave colpa, si sono per la penitenza giustificate. La seconda è di quelle, che non sono giammai in grave colpa cadute; tuttochè di qualche imperfezione e venialità macolate, secondo il detto della Scrittura (Prov. Cap. 24. n. 16) Sette volte cade il Giusto. La terza è di quelle, che, tranne la colpa d'origine, sono del rimanente innocenti del tutto, e pure; come sono i pargoletti morti dopo il Battesimo, a cagione d'esempio ec. Tutt'e tre queste classi sono da Davide qui accennate in principio, e dette Beate; volendo farci comprendere, che tutti coloro sono veramente invidiabili, che hanno la grazia di Dio. La prima classe è accennata nel primo versetto. La seconda in quelle parole: Nec est in spiritu eius dolus, o come altre versioni hanno: Nec est in ore eius dolus, dove supponendosi la potenza della volontà agli atti dolosi e iniqui, a' quali non si è però determinata, si vede, che parla egli degli adulti. La terza in quelle parole: Cui non imputavit ec. per esser la colpa originale quella sola, che non ci è propriamente imputata da Dio a mancamento di nostra attual volontà, che sola è il principio del merito e del demerito, quantunque come vero reato contratto dal primo padre, peccatori da sè ci costituisca, e rei di pena. L' Alighieri ha volute queste tre classi dichiarare nella sua versione con alquanta maggior chiarezza; la prima nel primo Terzetto; la seconda nel secondo; e la terza nel terzo.

tam Lib. V. cap. 5.) Liso la nominò gli Antichi; e altrove ( Cap. 12. ) Si nacque le prime genti di questo paese e il Boccaccio (Fiam. lib. V. n. 131. ) Corsevi il caro marito, corsevi le sorelle. Questa maniera di accordare in diversi numeri i nomi e i verbi, come questi fossero assolutamente posti, è propria della Lingua, e molto usata, dice il Bartoli, ( Tort. e Dirit. n. 108.) il quale molti altri esempi ne allega. Ma non è per tanto questa maniera sì propria della volgar nostra Lingua, che non fosse da’Latini altresì usata, e da' Greci, presso a' quali era nominata Enallage, come da' Grammatici fu osservato.

(4) Ristretti in sè stessi, e raggruppati. (5) Ermogene e Longino commendano sopra tutte l' altre quelle metafore, le quali attribuiscono senso alle cose, che ne son prive. Dante fu nell'uso di queste preclaro: e così dice in questo luogo: Aspettando che il calor gli tocchi; in iscambio di dire, Aspettando che si riscaldano un poco: come nella sua Cantica dell' Inferno aveva pur detto a cagion d'esempio, Dove il Sol tace, per Dove non è il Sole.

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(6) S'invecchiaro, cioè scemarono di vigore, si dimagrarono ec. e non intende l'Autore di tempo, ma è metafora, che s'usa pur oggi, dicendo d' uno divenuto per alcun accidente disfatto e smunto, che si è 'nvecchiato. Tale infatti è la significazione dell'Ebraica voce Balu, che S. Girolamo rese però ottimamente così: Le ossa mie si sono consumate.

(7) Il Testo Latino Dum clamarem tota die, è stato variamente dagl'Interpetri spiegato. Teodoreto seguitato dal Bellarmino o da altri, lo ha inteso, come se Davide detto avesse: Poichè io tacqui perseverando nel mio peccato; però non rifinando io di gridare per un vero sentimento di penitenza, le mie ossa si sono consunte. All'opposito i Santi

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