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letterati.

eleganti componimenti poetici, ed egli v'en-te di quelle che riguardavano l'universale trava solo con una composizione prosaica, con e l'Italia. Infatti sentenziava, che la Filosoun'opera cioè, nella quale la natural bel-fia per un particolare diletto o utilità non è lezza di quella favella, ch' egli avea succhia-vera Filosofia, ed esclamava che « non si ta col latte, sarebbe apparsa con tutta sem- » dee dicere vero filosofo alcuno, che per plicità e spoglia di ogni accidentale adorna-» qualche diletto colla Sapienza in alcuna mento. Le materie astrologiche, morali e fi-» parte sia amico; siccome sono molti che losofiche ch' ei vi discorre, i metodi minuzio- » si dilettano in dire Canzoni e di studiare si e scolastici ch' egli è costretto a tenervi,» in quelle, e che si dilettano studiare in Reterano tutt'altro che adornamenti e fiori, ac- » torica e in Musica, e l'altre scienze fuggoconci a render più vago il Convito: pure chi» no e abbandonano, che sono tutte memnon porrebbe un segno di sua approvazione» bra di Sapienza. Non si dee chiamare vesotto le seguenti espressioni? - «Da tutto » ro filosofo colui ch'è amico di Sapienza » accidentale adornamento discompagnato sa» per utilità come sono Legisti, Medici e » rà questo Comento, nel quale si vedrà » quasi tutti li Religiosi, che non per sape» l'agevolezza delle sue sillabe, la proprie-» re studiano, ma per acquistare moneta o »tà delle sue condizioni, e le soavi orazio- » dignità. »-Ed altrove a loro vituperio di»> ni che di lui si fanno; le quali chi bene cea pure lo stesso, sentenziando, che poiagguarderà, vedrà essere piene di dolcis- chè non acquistano le Lettere per loro uso, >> sima ed amabilissima bellezza ». ma in quanto per quelle fanno guadagno, coSe il porger tesoro di dottrina agl' indot-sì non si possono, nè si debbono chiamar ti, e il dimostrar l'eccellenza del Volgare Italiano, erano i due fini generali, che mo- Con ragione egli adunque asseriva, che da veano l' Alighieri a dettare il Convito, ve ne pronta liberalità, e non da un fine suo paraveano però di altri particolari, che riguar- ticolare, era mosso per una parte ad elegdavano l'autore nel proprio. Dice che mos-gere il linguaggio italiano, e lasciare il latiso non tanto dal desiderio di dare dottrina, no, e che da carità e misericordia era mosquanto dal timore d'infamia, intendea to- so per l'altra a raccogliere alcune briciole gliere alle sue Canzoni il vero allegorico; sì di pane celeste dalla mensa degli Angeli, e per manifestare altrui la loro sentenza filo-porgerle ai miseri, di quello affatto digiuni. sofica, si per levarsi la taccia di essere si-l pane degli Angeli è la Sapienza. La belgnoreggiato dalla passione dell' amor sensua-lezza della Sapienza risulta dall'ordine delle: passione che venivagli falsamente appo- le virtù morali che fanno quella piacere sensta da chi o per difetto di discernimento, o sibilmente. E Dante, messa in vista questa per cagione d'inimicizia faceasi a considera- bellezza, esclamava: «Oh ineffabile Sapienre quelle Canzoni nella corteccia solo delle » za, quanto è povera la nostra mente a te parole. E siccome non si concede per i Ret-» comprendere! E voi, a cui utilità e diletto torici, alcuno di sè medesimo parlare, se »>io scrivo, in quanta cecità vivete, non lenon quando fosse necessario a levarsi di dos- » vando gli occhi suso a queste cose, so una vituperevole accusazione, (come ap- » nendoli fissi nel fango della vostra stolpunto fece Boezio, quando sotto pretesto di» tezza! »> consolazione fecesi à scusare la perpetuale infamia del suo esilio, mostrando quello essere ingiusto); così dicea l'Alighieri, che per l'abbiezione del suo stato, essendo le cose sue invilite nell'opinione degli uomini, conveniva, ch'ei si scusasse a levarsi la taccia della passione voluttuosa, e che esponesse le ragioni, per le quali s'accingeva a dettare il Convito con uno stile più alto e sublime, e ad imprimergli un carattere di gravità e sostenutezza, si che apparisse opera di una maggiore autorità. Questa era la scusa ch'egli intendea, quando con dolore esclamava: Ahi piaciuto fosse al Despensatore dell' universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata e quella cagione era l'esilio, per il quale avea egli dovuto cadere in quel basso stato d'abbiezione e di miseria, di cui si spesso si lagna quanto agli effetti immediati, e quanto alle altre conseguenze.

Ma le sue mire particolari cedevano a fron

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Il fine dell' umana vita, considerata nei diversi stati della società, è insomma espresso nella parte morale di questo Convito. L'autore non è qui l'uomo che si diletta d'astratte speculazioni; egli è Dante Alighieri, l'uomo, il filosofo, il politico, il maggior Sapiente del 1300. Conoscendo é intendendo il suo secolo, egli adoperava la potenza della parola a ricondur gl' intelletti a quell' ordine che resulta dalle morali virtù, e scriveva l'opera, di cui il suo secolo abbisognava. Ei voleva che la filosofica autorità si congiungesse colla governativa a bene e perfettamente reggere i popoli; voleva perciò la Forza e la Sapienza insieme unite ad opera così difficile. Non approvava l'elezione di que' Magistrati, i quali non fossero nè dagli studi, nè dalla esperienza di lunga vita educati ad amministrare le leggi. E qui considerando la sua patria, esclamava:—« O mi» sera: misera patria mia, quanta pietà mi

>> stringe per te qual volta leggo, qual vol-filosofi. Ed a ragione il diceva. La via più >> ta scrivo cosa che a reggimento civile ab- diritta e più facile per giungere al nostro ul>> bia rispetto!» La suprema autorità del- timo fine, ripeteva Dante, esser quella delle l'Impero fu sempre l'unico principio d'o-morali virtù ogni virtù ed ogni vizio derigni politico sistema di Dante, e ogniqual-vare principalmente da un costante abito di volta ei ne parla (1), va spargendo i semi nostra elezione, la quale altro non è che la di quelle teorie da lui poi sviluppate nel li- volontà di bene o male operare. Solo per le bro della Monarchia: libro diretto tutto ad morali virtù esser dato all'uomo di giungere abbattere la potenza del guelfo partito in un alla vera felicità, e questa ch'è imperfetta col suo capo. Pur nel Convito parla raramen- nella vita attiva, e semiperfetta nella vita conte della Chiesa Romana, e non mai senza ve- templativa, essere per diventar perfettissima nerazione. E nel mentre esalta il diritto im- e somma nella vita avvenire per la visione periali, e contro i tumultuante governi popo- di Dio. E mentre non professava le dottrine lari lancia le sue ardite sentenze, per l'a- democratiche, Dante partendo da questi prinmor della Rettitudine non si ritiene dal gri- cipii, affrontava i pregiudizi e le pretensioni dare ai Demagoghi e Tiranni d'Italia, del- dell'Aristocrazia, predicando che la Nobiltà l'Imperio stesso Vicarii: Ahi malestrui e non si travasa di padre in figlio, nè sta ri>> malnati, che disertate vedove e pupilli, che posta nelle schiatte o nel possesso delle avite >> rapite alli men possenti, che furate ed oc- ricchezze, ma si rinviene unicamente nell'e» capate l'altrui, e di quello corredate con- sercizio delle morali virtù e nell'amore della » viti, donate cavalli e armi, robe e denari, Sapienza (2). Ei diceva con Giovenale: » portate le mirabili vestimenta, edificate li » mirabili edifici, e credetevi larghezza fare: » e che è questo, altro che levare il drappo » d'in su l'altare, e coprire il ladro e la sua » mensa? » Nè dimostra men di libero ardire quando riprende i vizi delle Corti Regali d'Italia: « Cortesia e onestà è tutt' uno: e pe>> rocchè nelle Corti anticamente le virtudi e » li belli costumi s'usavano (siccome oggi >> si usa il contrario), si tolse questo voca» bolo dalle Corti; e fu tanto a dire cortesia, quanto uso di corte; lo qual vocabolo se >> oggi si togliesse dalle Corti, massimamen»te d'Italia, non sarebbe altro a dire che » turpezza. »

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Spira ognora da tutta quanta quest'opera la più vera, la più soda morale insiememente all'amore della dottrina, della giustizia, della virtù. Leggete, leggete pochi Capitoli del Convito, diceva il Dionisi, e vedrete quanto puro ed esteso sia stato in Dante l'amore della Sapienza, e quanto pochi, anche in questo secolo che pur dicesi illuminato, siano i veri

(1) Cap. IV e V del Trattato IV, ed altrove.

Nobilitas sola est atque unica Virtus.

Cosicchè non la stirpe farà nobili le singolari persone, ma bensì le singolari persone potranno far nobile la stirpe, quandochè la loro anima avventurosa sia ben disposta a far fruttificare il seme celeste, graziosamente infusovi dal Creatore. Dante avea ridotto in sistema la vita dell'uomo, dividendola in quattro età. L'adolescenza che contava 25 anni, la Gioventù che ne contava 20, la Senettute 25, e la decrepitezza ogni restante. Ma qual era l'ufficio proprio ch'egli assegnava a ciascheduna di esse? Alla prima, acquistare la vita e assodarla; alla seconda ( alla cui metà è posto il colmo dell'arco della vita umana ) usarla bene e perfezionarla; alla terza, far che arrivi diritta al suo ultimo fine ch'è Dio; all'ultima, terminarla in pace. Uomini, studiate Dante, esclama lo Scolari, studiatelo bene, e in questa breve e misera vita sarete meno infelici. Egli vi scorge a Dio.

(2) Tratt. IV, passim.

ARGOMENTI

DEI

TRATTATI E CAPITOLI COMPONENTI IL CONVITO

COMPILAZIONE

DI

FILIPPO SCOLARI

TRATTATO I.

Introduzione al Convito: difesa del vulgare eloquio, in cui è scritto.

Capitolo I. L'uomo è mosso naturalmente a sapere: non tutti possono ottener questo fine; chi sa, deve altrui liberalmente largire il cibo della Sapienza: è di questo cibo che s'imbandisce il Convito mediante la sposizione di quattordici Canzoni.

Capitolo II. Si scusa l'Autore del dover parlare di sè, e troppo a fondo del suo argomento: mostra quando e con qual fine sia permesso parlare di sè, e dà gli esempi di Boezio e di S. Agostino: accenna che la sostanza delle sue Canzoni, mosse da virtù, non da passione amorosa, e sta nascosta sotto figura di allegoria ignota a tutti, s'egli non la dichiara.

Capitolo III. Si scusa l'Autore per quel po' di durezza che si troverà nel Convito: ne accenna la causa nel suo infortunio; colpito dal quale, mostra come possa essere diminuita a suo scapito la stima di taluni, sebbene a torto.

Capitolo IV. Aggiunge che procurò di scrivere con più di gravità il Convito, a compenso di quello che, per essersi fatto conoscere di persona a tutti quasi gl'Italici, può avere discapitato nella loro opinione.

Capitolo V. Entra a provare che in questa sua opera doveva far uso del Volgare e non del Latino, per convenienza di ordine, essendo le Canzoni scritte in Volgare; ond'e che un Comento latino sarebbe stato superiore ad esse per nobiltà, virtù e bellezza di lingua.

Capitolo VII. Segue a mostrare che il Latino a gran pena s'avrebbe potuto accomodare al Comento delle Canzoni volgari, perchè il superiore mal segue il comando dell'inferiore; perchè il Latino ha già nelle sue scritture molte parti della sentenza del Volgare, e non viceversa; perchè in fine il Latino sarebbe stato insufficiente pei non litterati, e quanto ai litterati avrebbe esposto le Canzoni a più genti anche straniere, che esse Canzoni non vogliono.

Capitolo VIII. A provar maggiormente che il Comento latino non sarebbe convenuto alle Canzoni volgari, premette che il suo Convito è frutto di una compiuta liberalità, la quale ricerca che si dia a molti, che si dieno cose utili, e che si doni senza essere domandato.

Capitolo IX. Prova in conseguenza che il Comento latino non avrebbe giovato a molti, non sarebbe stato datore d'utile dono; non sarebbe stato inatteso e non domandato quanto il volgare.

Capitolo X. Confessa nullameno l'Autore che è gran novità dar il Comento delle sue Canzoni in Volgare; e però, chiesta scusa della troppa, ma necessaria digressione, mostra come a ciò lo condusse amor naturale della propria lingua, desideroso di magnificarla, geloso di sua interezza, e vago di difenderla dalle taccie ingiuriose che le si appongono da molti.

Capitolo XI. Entrando quindi a sostenere Cupotolo VI. Aggiunge che il Latino sa- le difese del Volgare, accenna cinque cagiorebbe stato come servo non conoscente del ni abbominevoli del disprezzo in che lo tensuo padrone e degli amici suoi, perchè il La- gono alcuni. La prima è mancanza di discretino non comprende la cognizione del Vol-zione nel maggior numero, che, come volgo, gare e non è comune a quanti parlano il segue ciecamente l'errore altrui. La seconda Volgare. è maliziata scusa di alcuni che vogliono at

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