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mente alla pag. 120 dell'edizione Tartini e Franchi, e termina: veggiamo uomini che esser non può, ove la stampa ha: veggiamo molti uomini, ecc.

Tutti questi codici sono illustrati dal Bandini nell'opera: Catalogus Codicum manuseriptorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, in fol. T. V., col. 404,405,406,412.

CODICI ROMANI

Codice XXVI della classe X de'codici manoscritti italiani, già posseduto da Tommaso Giuseppe Farsetti, ed illustrato dall' abate Morelli nella sua opera Biblioteca mass. Farsetti (in 12. Venezia, 1771 ) Tom. 1, pag. 283, cod. CVIII. Nella prima carta bianca leggesi: Questo libro è di Lucha di Simone della Robia. Ha alcune note mar- Codice Vaticano Urbinate 686. - Questo ginali contemporanee alla scrittura del co- codice ( ci scrive il ch. sig. Salvatore Betdice, ed altre di mano di Anton Maria Bi-ti) è di bellissima lettera, tutto in nitida scioni, che lo possedeva prima del Farsetti, e ne parla nella prefazione all' edizione fiorentina del 1723 , pag. xxxix. È scritto

nel secolo XV.

Da noi questo codice viene chiamato primo Marciano.

Codice XXXIV. della classe XI. de' suddetti codici mss. ital., già posseduto dalla famiglia Nani, e riferito dall'ab. Morelli alla pag. 52, cod. XXXVII dell' opera sua: I Codici manoscritti volgari della Libreria Naniana ecc. (in 4. Venezia, 1776). Ha alcune variazioni e supplimenti în margine. Si riconosce scritto nel secolo XIV. Noi lo citiamo sotto il titolo di secondo Marciano.

CODICI FIORENTINI

dell' I. R. Biblioteca Laurenziana,

Codice 134 Gaddiano. Pluteo 90 superiore. Del secolo XIV.

Codice 135 primo Gaddiano. Pluteo 90 superiore. Del secolo XV.

Codice 135 secondo Gaddiano. Pluteo 90 superiore. Del secolo XV.

Codice 3 Gaddiano. Pluteo 90 inferiore. Del secolo XV. Questo codice giunge sola

cartapecora; e appartenne già al gran Federico Duca d'Urbino.-Stimasi scritto prima della metà del secolo XV, ed in fine

ha le Canzoni di Dante.

Codice Vaticano 4778.-È scritto anch'esso verso la metà del secolo XV. È diviso in Trattati ed in Capitoli, cartaceo, e di bonissimna lettera.

Codice della libreria Barberini. Del secolo

XIV.

CODICI MILANESI

Codice Trivulziano. Sembra scritto nel secolo XV. È cartaceo, ben conservato, ma di lettera difficilissima a leggersi.

Un altro Codice, pur cartaceo e del secolo XV, o forse della fine del XIV, è venuto nella libreria Trivulziana dopo che la stampa del testo era già terminata. Il carattere n'è di gran lunga migliore di quello dell'antecedente; ma, pel riscontro che se n'è fatto, si è trovato che la lezione ha presso a poco gli stessi difetti di tutti gli altri manoscritti.

Per le tre Canzoni, oltre i suddetti codici del Convito, si sono consultati sette codici Trivulziani delle Rime di Dante, i quali si citano coi loro numeri.

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CAPITOLO I.

TRATTATO PRIMO

la prima dalla parte di fuori, non sono da vituperare, ma da scusare e di perdono deSiccome dice il Filosofo (2) nel principio gne; le due altre, avvegnachè (17) l' una della prima Filosofia (3), tutti gli uomini più, sono degne di biasimo e d'abbominanaturalmente desiderano di sapere. La ra- zione. Manifestamente adunque può vedere gione di che puote essere (4), che ciascu- chi bene considera, che pochi rimangono na cosa da provvidenzia di propria natura quelli che all'abito da tutti desiderato (18) impinta (5) é inclinabile (6) alla sua perfe- possano pervenire, e innumerabili quasi sono zione; onde, acciocchè (7) la scienza è l'ul- gl'impediti che di questo cibo da tutti (19) tima perfezione della nostra anima, nella sempre vivono affamati (20). Oh beati quei quale sta la nostra ultima felicità, tutti na- pochi che seggono a quella mensa ove il paturalmente al suo desiderio siamo suggetti. ne degli Angeli (21) si mangia, e miseri Veramente (8) da (9) questa nobilissima per- quelli che colle pecore hanno comune cibo! fezione molti sono privati (10) per diverse Ma perocchè (22) ciascun uomo (23) a ciacagioni che dentro dall' (11) uomo, e di fuo- scun uomo è naturalmente amico, e ciascuri da esso, lui rimuovono dall'abito di scien- no amico si duole del difetto (24) di colui za. Dentro dall'uomo possono essere (12) due ch'egli ama, coloro che a si alta mensa sono difetti: è impedito l'uno dalla parte del cor- cibati, non sanza misericordia sono inver di po; l'altro dalla parte dell'anima. Dalla parte quelli che in bestiale pastura veggiono erba del corpo è quando le parti sono indebita-e ghiande gire mangiando. E acciocchè (25) mente disposte, sicchè nulla ricevere può (13); misericordia è madre di beneficio, sempre siccome sono sordi e muti, e loro simili. liberalmente coloro che sanno porgono della Dalla parte dell' anima è quando la malizia loro buona ricchezza alli veri poveri (26), e vince in essa, sicchè si fa seguitatrice di vi- sono quasi fonte vivo, della cui acqua si riziose dilettazioni, nelle quali riceve tanto in-frigera la natural sete (27) che di sopra è ganno, che per quelle ogni cosa tiene a vile. nominata. (28) E (29) io adunque, che non Di fuori dall'uomo possono essere similmen- seggo alla beata mensa, ma, fuggito dalla te due cagioni intese, l'una delle quali è in- pastura del vulgo, a'piedi di coloro che segduttrice di necessità, l'altra di pigrizia. La gono ricolgo di quello che da loro cade, e prima è la cura famigliare e civile, la quale conosco la misera vita di quelli che dietro convenevolmente a se tiene degli uomini il m'ho lasciati, per la dolcezza ch'io sento maggior numero, sicchè in ozio di specula- in quello ch'io a poco a poco ricolgo, misezione essere non possono. L'altra è il difet-ricordevolmente mosso, non me dimenticanto (14) del luogo ove la persona è nata e do, per li miseri alcuna cosa ho riservata (30), nudrita, che talora sarà da ogni studio non solamente privato (15), ma da gente studiosa lontano. Le due (16) prime di queste cagioni, cioè la prima dalla parte di dentro e

la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata (31), e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale con

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pane apposito (1), e quello purgare da ogni macola; perch'io, che nella presente scrittura tengo luogo di quelli, da due macole mondare intendo primieramente questa spo

redo (2). L'una è, che parlare alcuno di sè medesimo pare non licito; l'altra si è, che parlare, sponendo (3), troppo a fondo pare non ragionevole. E lo illecito (4) e'l non ragionevole il coltello del mio giudicio pur

vito di ciò ch'io ho loro mostrato, e di quello pane ch'è mestiere a così fatta vivanda sanza lo quale da loro non potrebbe esser mangiata (32) a questo convito; di quello pane degno a cotal vivanda, qual (33) iosizione, che per pane si conta nel mio corintendo indarno essere ministrata. E però ad esso (34) non voglio s'assetti (35) alcuno male de'suoi organi disposto (36); perocchè nè denti, nè lingua ha ne palato: nè alcuno assettatore di vizii; perocchè lo stomaco suo è pieno di umori venenosi, contrarii, sic-ga in questa forma. Non si concede per li che (37) mia vivanda non terrebbe. Ma ve- Rettorici alcuno (5) di sè medesimo sanza gnaci qualunque è per cura (38) famigliare necessaria cagione parlare (6). E da ciò (7) o civile nella umana fame rimaso, e ad una è l'uomo rimosso, perchè parlare non si può mensa cogli altri simili impediti (39) s' as- d'alcuno, che il parlatore non lodi o non biasetti: e alli loro piedi si pongano tutti quelli simi quelli di cui egli parla; le quali due che per pigrizia si sono stati, chè non sono cagioni rusticamente stanno a fare parlare (8) degni di più alto sedere (40): e quelli e que- di sè nella bocca di ciascuno. E per levare sti prenderanno la mia vivanda col pane, un dubbio (9) che quivi surge, dico che peg che la farò loro e gustare e patire (41). La gio sia biasimare, che lodare; avvegnachè vivanda di questo convito sarà di quattordici l'uno e l'altro non sia da fare. La ragione maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni si è, che qualunque cosa è per sè (10) da biadi Amore, come di virtù materiate (42), le simare, è più laida che quella che per acquali sanza lo presente pane aveano d' al- cidente. Dispregiare sè medesimo è per se cuna scurità ombra, sicchè a molti lor bel- biasimevole, perocchè allo amico dee l'uomo lezza più che lor bontà era in grado (43); lo suo difetto (11) contare segretamente, e ma questo pane, cioè la presente sposizio- nullo è più amico che l'uomo a sè; onde ne (44), sarà la luce, la quale ogni colore nella camera de' suoi pensieri sè medesimo di loro sentenzia farà parvente (45). E se riprendere dee e piangere li suoi difetti, e nella presente opera, la quale è CONVITO non palese. Ancora del non potere e del non nominata, e vo' che sia, (46) più virilmen- sapere bene sè menare, le più volte non è te (47) si trattasse che nella VITA NUOVA, l'uomo vituperato; ma del non volere è semnon intendo però a quella in parte alcuna pre, perchè nel volere e nel non volere nostro derogare, ma maggiormente giovare per que- si giudica la malizia e la bontade. E perciò chi sta quella; veggendo siccome ragionevolmen- biasima sè medesimo, appruova (12) sè cote quella fervida e passionata, questa tem-noscere lo suo difetto,appruova sè non essere perata e virile essere conviene. Chè altro si conviene e dire e operare a una etade, che ad altra perchè certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra, siccome di sotto nel quarto Trattato di questo libro sarà propia ragione mostrata. E io in quella (48) dinanzi all'entrata di mia gioventute parlai, e in questa di poi quella già trapassata. E conciossiacosachè la vera intenzione mia fosse altra, che quella che di fuori mostrano le Canzoni predette, per allegorica sposizione quelle intendo mostrare, appresso la litterale storia ragionata: sicché l'una ragione e l'altra darà sapore a coloro che a questa cena sono convitati; li quali priego tutti (49), che se il convito non fosse tanto splendido quanto conviene alla sua grida (50), che non al mio volere, ma alla mia facultate imputino ogni difetto; perocchè la mia voglia di compiuta e cara liberalità è qui seguace (51).

CAPITOLO II.

Nel cominciamento di ciascun bene ordinato convito sogliono li sergenti prendere lo

buono; per che per sè è da lasciare di parlare, sè biasimando (13). Lodare sè è da fuggire siccome male per accidente, in quanto lodare non si può, che quella loda non sia maggiormente vituperio: è loda (14) nella punta delle parole, è vituperio chi cerca loro nel ventre. Che parole sono fatte per mostrare quello che non si sa. Onde chi loda sè, mostra che non crede essere buono tenuto; che non gli incontra (15) sanza maliziata coscienza, la quale sè lodando discuopre, e discuoprendo si biasima. (16) E ancora la propria loda e il proprio biasimo è da fuggire per una ragione (17) egualmente siccome falsa testimonianza fare; perocchè non è uomo che sia di sè vero e giusto misuratore, tanto la propria carità (18) ne inganna. Onde avviene (19) che ciascuno ha nel suo giudicio le misure del falso mercatante, che vende coll'una, e compera coll'altra: é ciascuno con ampia misura cerca (20) lo suo mal fare, e con piccola cerca lo bene; sicchè il numero e la quantità e il peso del bene gli pare più che se con giusta misura fosse saggiato, e quello del male meno (21). Per che parlando di sè con lode,

o col contrario, o dice falso per rispetto alla se medesima, e quello induce; siccome quecosa di che parla (22), o dice falso per ri- gli (2) che fosse mandato a partire una zuffa, spetto alla sua sentenzia; che l'una e l'altra e prima che partisse quella ne cominciasse è falsità. E però, conciossiacosachè 'l con- un'altra (3). E perocchè 'l mio pane è pursentire è un confessare, villania fa chi loda gato da una parte, convienlomi purgare dalo chi biasima dinanzi al viso alcuno; perchè l'altra per fuggire questa riprensione, che il nè consentire nè negare puote lo così esti- mio scritto, che quasi Comento dire si può, mato sanza cadere in colpa di lodarsi o di è ordinato a levare il difetto delle Canzoni biasimarsi (23). Salva qui la via della debita sopraddette, e esso per sè sia forse in parcorruzione, ch'essere non può sanza impro- te (4) un poco duro (5); la qual durezza per perio (24) del fallo (25), chi correggere si fuggire maggior difetto, non per ignoranza intende; e salva la via del debito onorare e è qui pensata (6). Ahi piaciuto fosse al Dimagnificare, la quale passare non si può san spensatore dell'universo, che la cagione delza fare menzione dell'opere virtuose, o delle la mia scusa (7) mai non fosse stata; chè nè dignitadi virtuosamente acquistate. Veramen- altri contro a me avria fallato, nè io sofferto te (26) al principale intendimento tornando, avrei pena ingiustamente; pena, dico, d'esilio dico, com'è toccato di sopra (27), per ne- e di povertà. Poichè fu piacere de' cittadini cessarie cagioni lo parlare di sè è concedu- della bellissima e famosissima figlia di Roto. E intra le altre necessarie cagioni due ma, Fiorenza (8), di gettarmi fuori del suo sono manifeste: l'una è quando sanza ragio- dolcissimo seno (nel quale nato e nudrito fui nare di sè, grande infamia e pericolo non fino al colmo della mia vita (9), e nel quale, si può cessare (28); e allora si concede per con buona pace di quella, desidero con tutto la ragione, che delli due sentieri prendere il cuore di riposare l'animo stanco, e termilo meno reo è quasi prendere un buono. E nare il tempo che m'è dato ), per le parti questa necessità mosse Boezio di sè mede- quasi tutte, alle quali questa lingua si stensimo a (29) parlare, acciocchè sotto prete- de, peregrino, quasi mendicando, sono andasto (30) di consolazione scusasse la perpe- to, mostrando contro a mia voglia la piaga tuale infamia del suo esilio, mostrando quello della fortuna, che suole ingiustamente al piaessere ingiusto; poichè altro scusatore non gato molte volte essere imputata. Veramente si levava. L'altra è quando per ragionare di io sono stato legno sanza vela e sanza governo se, grandissima utilità ne segue altrui per portato a diversi porti e foci e liti dal vento via di dottrina; e questa ragione mosse A- secco che (10) vapora la dolorosa povertà: e gustino nelle Confessioni a parlare di sè; che sono vile (11) apparito agli occhi a molti, che per lo processo della sua vita, la quale fu forse per alcuna fama in altra forma mi aveadi malo (31) in buono, e di buono in mi- no immaginato; nel cospetto de' quali non sogliore, e di migliore in ottimo, ne diede e- lamente mia persona invilio, ma di minor presemplo (32) e dottrina, la quale per più (33) gio si fece ogni opera, si già fatta, come quella vero testimonio ricevere non si poteva. Per che fosse a fare. La ragione per che ciò inche l'una e l'altra di queste ragioni mi scu- contra (non pure in me, ma in tutti) briesa, sufficientemente il pane del mio formen-vemente ora qui piace toccare; e prima perchè to è purgato dalla prima sua macola. Movemi timore d' infamia, e movemi desiderio di dottrina dare (34), la quale altri veramente dare non può. (35) Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate Canzoni in me avere signoreggiato; la quale infamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente; lo quale mostra che non passione, ma virtù sia stata la movente cagione. Intendo anche mostrare la vera sentenza di quelle (36), che per alcuno vedere non si può, s'io non la conto, perchè nascosa setto figura d'allegoria; e questo non solamente darà diletto buono a udire, ma sottile ammaestramento, e a così parlare, e a così intendere P'altrui scritture.

CAPITOLO III.

Degna di molta riprensione è quella (1) cosa ch'è ordinata a tôrre alcuno difetto per DANTE. Opere Minori.

la stima oltre la verità si sciampia (12), e poi perchè la presenza oltre la verità stringe (13). La (14) fama buona principalmente generata dalla buona operazione nella mente dell' amico, da quella è prima partorita (chè la mente del nemico, avvegnachè riceva il seme, non concepe) (15). Quella mente che prima la partorisce, si per fare più ornato suo presente, si per la carità dell'amico che lo riceve (16), non si tiene alli termini del vero, ma passa quelli; e quando per ornare ciò che dice li passa, contro a coscienza parla; quando inganno di carità li fa passare, non parla contro a essa (17). La seconda mente che ciò riceve, non solamente alla dilatazione (18) della prima sta contenta, ma'l suo riportamento siccome (19) suo effetto procura d'adornare, e sì (20) che per questo fare, e per lo 'nganno che riceve dalla carità in lei (21) generata (22) quella (23) più ampia fa, che a lei non viene, o (24) con concordia o con discordia di coscienza come la

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