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decimo del Paradiso canta: Chi dietro a iura, e chi ad aforismi, non ad anforismi. E.M. (10) Il sig. Witte propone che si corregga: simigliante a quella del ricevitore; ma forse è da emendare così: la faccia del donare dee essere simigliante a quella di ri

cevere. E. M.

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l' argomento; e s'egli apparirà tale e così splendente che Dante non debba averlo fatto in altra forma, avremo la via sicura alla emendazione. « La virtù dee essere lieta e non trista in ogni parte della sua operazione: il dono è atto di virtù; dunque debb'esser lieto in ogni sua parte, cioè, nel dare e Questo luogo è manifestamente corrotto, nel ricevere. Ma il dono non è compiutamennè secondo l'avviso mio, l' emendazione pro- te lieto, cioè, la letizia che viene da esso è posta dai Sigg. E. M. lo raggiusta. Perchè difettiva d' una parte, quando l'utilità del se donare è nome, la cosa si rimane affatto dono, cioè, la ragione della letizia si ferma come prima; se è verbo, si verrebbe come in una parte sola, cioè, nel donatore. Duna dire, che la faccia del donatore dev'essere que il donatore dee fare tal dono, che dalla simile a quella del ricevitore, che si potreb- sua parte rimanga l'utilità dell' onestate, ed be comentare, allegra e dimostrativa d'amo- al ricevitore vada l'utilità della cosa donare: ma ella è una sentenza che non fa punto ta; e allora l'uno e l'altro sarà lieto, e per al bisogno presente del discorso. Per questo conseguente sarà più pronta liberalità.» Scriio penso di potere totalmente aderire alla vasi dunque: Primamente, ecc.... virtù: non proposta del sig. Witte e con tanta mag-è pronta questa letizia s'e'non può dare algiore sicurezza, che più avanti in questo tro che l'utilità, che rimane nel datore per istesso capo, dove dice: si dirizza allo biso-lo dare, e che non viene nel ricevitore per gno del ricevitore, osservo notato da' Sigg. lo ricevere. Nel datore ecc. P. E. M. fra le varietà di lezioni, che per altri si legge: allo bisogno dello ricevere; sicchè è forza conchiudere dover essere stata una forma ambigua d'abbreviatura nell'originale, che fosse qui e là cagione dello scambio ai poco accorti amanuensi. In cotal modo s'intende avere l' A. nel notato luogo voluto confortare la sua proposizione, sul dare cose utili, coll'autorità de' Sapienti, adducendo e interpretando una loro sentenza a molti oscura; come se avesse detto: Ed è perciò che dicono i Savii che la faccia del dono deve essere simigliante a quella del ricevitore; e vogliono insegnare, che il dono si debbe convenire con lui ed essergli utile. E di fatto guardando la cosa alquanto sottilmente, pare assai ragionevole l'intendimento dell' Allighieri. Perciocchè cosa è la faccia del dono e la faccia del ricevitore, altro che il modo nel quale l'essere di loro sotto tale qualità si presenta al pensiero? Se dunque queste facce si somigliano, o per dire più aperto, se questi due termini hanno un mezzo nel quale mostrino insieme convenienza, non vedo come questo possa non essere l'utilità. P.

(11) perchè tutto unito leggiamo colle antiche ediz. più corrette di quella del Biscioni, la quale ha perch'è ecc. E. M.

(13) Il cod. primo Marciano legge aoperare. Il secondo Marciano ed il Gadd. 135 secondo portano adoperare, d'accordo colle prime edizioni. E. M.

(14) Pare che si dovrebbe scrivere: conviene sempre essere in, ovvero, al migliore; acciocchè la proposizione indicasse risolutamente, che il comparativo assoluto migliore ha qui rispetto, non al mutare, ma ai termini onde viene e dove va la cosa che si muta. Nel qual modo solamente la sentenza è conducevole all' uopo del discorso. P.

(15) Nel SAGGIO, pag. 45, abbiamo dato ragione delle emendazioni da noi fatte col lume solo della Critica a questo passo, ed ognuno può consultarlo. Tutte le stampe, la maggior parte dei codici, e con essi la Crusca all'art. Trasmutatore, leggono nel modo seguente: e questa, e questo non può fare nel dono, se'l dono per trasmutatore non viene più caro. Abbiamo detto la maggior parte dei codici, perchè il Gadd. 134, in vece di e questa, e questo, ha solamente e questo ecc.; ed il Gadd. 3, convalida la nostra correzione di trasmutatore sustantivo in trasmulare verbo, leggendo assai bene: e questo non può fare il dono se per trasmutare non diviene più caro. E. M.

(16) Malamente tutti i codici e le stampe: di quello. E. M.

(17) essa è pronome rappresentante l'uli

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(12) Secondo la promessa di Dante, nel tratto dalla parola Primamente fino a qui, dobbiamo avere la prima delle quattro ragioni, perchè di necessità il dono, (accioc-lità. P. chè in quello sia pronta liberalità) conviene essere utile al ricevitore. Ma, chi guarda attentamente, ivi non è che una congerie d'affermazioni, le quali non concludono ne quello, nè veruna altra cosa. Di che io ho pensato di comporre, estendendo e comenTaudo, su i avanzi della scrittura

(18) L' aggiunto sua manca nell'edizione del Biscioni; trovasi però nelle antiche stampe, ne'due codici Marciani, nel Vat. Urb, e ne'Gadd. 134, 135 secondo, e 3. E. M.

(20) Il cod. 134 Gadd. e, d' accordo con esso, la prima edizione leggono in alcuna parte. Il Gadd. 3 ha ad una parte. E. M.

(21) Pare che il Monti veramente dipingesse questo concetto di Dante in quei versi della Basvilliana cant. 1.

(20) Bella è qui la lezione del cod. Gadd. | ca libero e non isforzato; e sopra tal valore 3. tenere volto lo viso in quel lato: sforza- della frase essere ad uno, essere ad alcun to è quando contro a voglia si va, che si luogo veggasi il Vocabolario. Ed ecco reso mostra nel non guardare diritto lietamente non impossibile al lettore intelligente di forin verso quella parte. Tutte le stampe han- marsi in capo, de'materiali di Dante, il seno quello alto. E. M. guente discorso. La virtù dee avere alto libero, che è quando la persona va di sua vo glia ad alcuna parte. Ma il dono è atto di virtù: dunque dee andar libero e non isforzato. Ma questo non gl'incontra, se non quando è utile al ricevitore (in fatto il dono personificato che sia, non può andare volentieri, che dove sappia di giungere opportuno e però gradito): dunque il dono dee essere utile al ricevitore. P.

Di ritroso fanciul tenendo il metro,
Quando la madre a'suoi trastulli il fura,
Che il piè va lento innanzi e l'occhio indie-
(tro. P.
(22) Tutti i testi a penna ed a stampa
hanno si guarda; lezione che ci sembra cor-
rotta. E. M.

(23) Le stampe tutte, compresa quella del Biscioni, i codici Marciani ed alcuni Gaddiani hanno allo bisogno dello ricevere; lezione rigettata dalla sana Critica, alla quale è giuocoforza accettare quella del Gaddiano 135 primo: allo bisogno del ricevitore. Il Gadd. 3. legge del recettore. E. M.

(24) La copulativa e ed il verbo dirizzarsi mancano ne'codici e nelle stampe; ma sono dimandati dal contesto del discorso, perch'esso abbia il suo pieno. E. M.

(25) Così il cod. Gadd. 135 primo. Gli altri codici e le stampe: conviene essere lo dono l'utilità del ricevitore. E. M.

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(27) Intendi: Conciosiachè il dare quando l'uomo è domandato. P.

(28) Nulla res carius constat, quam quae precibus empta est. Sen. de Beneficiis, lib.2. cap. 1. Vedi il secondo capitolo di quell' opera, a cui Dante attigne tutta la dottrina qui esposta sulla liberalità. E. M.

CAPITOLO IX.

(1) In tutti i testi havvi laguna delle parole privato e non; il che rovescia nel suo contrario il pensiero dell'Autore. Nel SAGGIO, pag. 54, ci eravamo serviti del vocabolo lontano; ora preferiamo privato, che ne pare più analogo al solito modo con cui Dante si esprime, e che torna lo stesso. E. M.

(26) Anche questa ultima delle quattro ragioni promesse, che forse venne poco feli- (2) L'effetto della emendazione de' Sigg. cemente condotta anche dalle mani dell'Al- E. M., s'io non piglio errore, si stringe unilighieri, il quale per avventura preparò la camente alla parte che per essa è toccata. materia e poi non tornò più a comporne se- Ma non posero mente gli Uomini eccellencondo ragion di logica l'argomentazione, è tissimi all'inimico, che rimane a guastare tutpriva, a mio giudizio, del suo vero intelletto questo capo. É che sia così, quali sono, to. E tutta la cagione, per quello che mi pa- domando io, le tre soprannotate condizioni? re di vedere manifesto, è in suo membro Sono, dare a molti, dare utili cose, dare senil quale comunemente si leggeva mal diviso za essere domandato (Vedi il principio del e corrotto a questo modo; conviene, accioc- cap. antec.). E il pronome quelle non rapche sia con atto libero, la virtù essere li- presenta appunto esse condizioni? Certo che bera, lo dono alla parte, ov'elli va col ri-si. Dunque o ella sarà viziata la lettera tuttacevitore: e vie meno in felice condizione ri-via, o Dante avrà fatto tutto un discorso contornò, quando ai Sigg. E. M. piacque di scri- tradittorio a questo modo. Il latino con dare vere come si vede. Delle quali tutte cose, a molti, non avrebbe così servito a molli; ben mi pare ch'io darei una diretta dimostra- con dare utili cose, non sarebbe stato dazione; ma per l'amore di brevità, voglio che tore d'utile dono; con dare non domandabasti mostrare, che con leggera mutazione to, non avrebbe dato a quella condizione. s' ottiene per la volgata la sentenza che si Per tanto io crederei che fosse da tenere per vuole desiderare. Primieramente adunque tol-buona l'aggiunta dell' addiettivo privato, o gansi le aggiunte de'Sigg. E. M.; poi la vir- quale vuoi altro di simile valore; rigettare il gola che è dopo la frase atto libero, si tras-non: togliere il punto e la virgola dopo volporti dopo la virtù; ed in fine si scriva es- gare; dare il segno del verbo all'E seguenser libero, in vece di esser libera. Con que-te, e porre il punto fermo dopo contare; sto tanto, il membro: acciocchè sia con atto perciocchè indi innanzi vengono le dimostralibero la virtù, diventa una ripetizione della zioni particolari: in somma scriverci a queproposizione fondamentale del discorso, la sto modo: da tutte ecc. . . . latino privato, quale veramente è inutile qui, ma non noci-e lo volgare è con quelle, siccome si può mava. Esser libero lo dono alla parte, ov'elli nifestamente così contare. Non ecc. Ora va col ricevitore, s'intende, ch'e' vi si condu- Savii giudicheranno. P.

(3) Cioè li letterati o tedeschi o inglesi non tutto corresse a dovere; ma ora vediamo che avrebbero potuto servirsi del Comento lati-il dire d'una cosa ch' è usata nella sua borno, non intendendo le Canzoni volgari, per tà in potenza, include contraddizione: perocle quali il Comento sarebbe fatto. E. M.

(4) Una simile accusa contro a' letterati ne' tempi d'Isocrate, vedesi testimoniata con queste parole di lui, in capo all'orazione che s' intitola Nicocle. Eta Tives, of duonorwe εχεσι προς τες λόγες, και διαμεμφονται τις φιλοσοφώντας. και φασιν αυτός εκ αρετης αλλα πλεονάζιας ενεκα ποιειθαι τας τοιαυτας διατριβας. Ρ.

chè appunto chiamasi in potenza ciò che non è ridotto all'atto, e vale a dire all'uso. Potrebbe fors'anche emendarsi come segue: nè la sua bontà in potenza, ch'è sanza uso non ha essere perfettamente. E. M.

Portando la virgola (nella lezione comune) e il che dopo bontà risparmieremmo l'aggiunta al testo di due parole sanza uso; intendendo che l'essere in atto è perfetto es(5) Torquato Tasso notò la parola citari-sere, non così l'essere in potenza soltanto: sta, e più avanti la frase per malvagia di- ogni altra emendazione rifiuteremmo. V. susanza, e l'altra l'hanno fatta di donna (10) Esce terribilmente contro gli avari e meretrice. La sentenza la bontà dell'anima dice, che i tesori in mano di loro, sono in è in coloro ecc. fu pure contrassegnata dal più basso luogo, che non quelli sotto terra. Perticari nel suo testo. E nota come i due E con tal dire figurato vuole significare e la nobilissimi ingegni del Tasso e del Pertica-profonda viltà d'essi avari, e i lunghi e penosi lavorii che costa a cavare nessuna coserella di laggiù. P.

ri si compiacessero della magnanima bile di Dante contro a coloro che della letteratura, bellissimo dono del Cielo, fanno un turpe

mercato. E. M.

(6) la quale può essere in quarto caso, e s'intende la quale bontà è voluta siccome condizione necessaria da questo servigio. Può essere in primo caso ancora, e allora si spiega, la quale naturalmente parlando attende questo servigio, e perciò l'accetterà volentieri, come le cose desiderate. P.

(11) Cioè, in servigio delle quali. P.

(12) lo quale leggo erroneamente tutte le stampe e tutti i codici, tranne il secondo Marciano, il quale porta la lezione da noi adottata. E. M.

(13) Il non manca nelle stampe e ne' codici; ma senza di questo avverbio il senso cade stranamente nel rovescio dell'intenzione di Dante. E. M.

(7) Così i codici Gaddiani 134 e 3, ed il L' emendazione fatta dai Sigg. E. M. non Vat. Urb. Gli altri codici e le stampe hau- pare che corrisponda gran fatto alla felicità, no accende; lezione la quale ci sembra do- colla quale, per mio avviso, egli hanno afferversi posporre a quella da noi adottata pel rata la vera sentenza di tutta intera l'argotesto, perocchè Dante ha parlato di sopra di mentazione. La ragione si è, che, composte coloro che non averebbono ricevuto questo le idee come sono attualmente in questo peservigio per avarizia, ed ora viene a dire di riodo, il lettore è quasi indotto a credere, quelli che per bontà d'animo l'attendono.E.M. che coloro nelli quali vera nobiltà non è se(8) Cioè che non intendono il latino. E. M. | minata, sieno quasi tutti volgari, che è apChe essere letterato, o saper lettera va- punto il contrario dell'intenzione dell'Allilesse intendere il latino, si prova molto evi-ghieri. A fine dunque di cessare questo indentemente pel luogo seguente del Passav. 210, 211 « la superbia nasce eziandio delle buone opere ecc. E questo si potrebbe provare per molti esempli e detti della Santa Scrittura, e de'Santi Dottori, sì come si dimostra in questo nostro libro fatto in latino per le persone letterate, et ancora più innanzi se ne dirà. Qui basti quello, che si dice per ammaestramento di quelle persone che non sanno lettera, acciocchè ecc. » P.

(9) A motivo della laguna che trovasi in tutti i testi la sentenza cadeva in una strana contraddizione; e noi l'abbiamo tolta coll'aggiunta delle due parole sanza uso. V. il SAGGJO pag. 54.

Così pensiamo che debba correggersi il testo, che nella volgata leggevasi: perocchè nulla cosa è utile, se non in quanto è usata nella sua bontà in potenza, che non è essere perfettamente; ecc. Da prima ne sembrava che supplita quella laguna del sanza uso,

conveniente io leggerei: non possono avere in uso che, cioè, se non che, quelli nelli quali vera nobiltà è seminata ecc. P.

(14) Tocca dell'uso universale in allora di servirsi ne' comenti della lingua latina esclusivamente. P.

CAPITOLO X.

(1) Che sono d'altissime materie d'amore e di virtù. P.

(2) Che sono tutti quelli i quali si sentono fame del cibo degli Angeli; e in essa fame sono rimasi, perciocchè convenevolmente impediti nelle cure familiari e civili. Ma nessuno mal disposto degli organi, nessuno assettatore di vizii, e peggio ancora, nessuno vinto da pigrizia. Vedi il capo i. P.

(3) Il cod. Barb., ed i Gadd. 134 e 3 leggono s'appone. E. M.

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(4) Perciocchè non si è mai avuto di lo

ro l'esperienza, per la quale le cose usate ed osservate, hanno il modo che meglio si conviene col loro buon processo, e col loro fine. P.

(5) Così tutti i codici e le stampe. Se ci fosse lecito fare alcun cangiamento diremmo: chè delle nuove cose il fine non è cer1o; perciocchè la esperienza non le aiuta. E. M.

(6) Intendi per Ragione il Diritto civile. E. M.

(7) Così i codici Marciani, il Vat. Urb. e Gadd. 134, e 135 secondo, con tutte le antiche edizioni. L'edizione Biscioni: siccom'è. E. M.

(8) la quale digressione. P.

(9) Cosi il cod. Gadd. 134. ed il Vat.Urb. Gli altri testi mss. e stampati leggono perseguendo. E. M.

(10) Pare che sarebbe stato più ragione vole il dire disconvenevoli ordinazioni, dacchè le disordinazioni sono disconvenevoli sempre, ed è inutile l'aggiunto. Nulladimeno Dante usa varie altre volte di questa espressione nel Convito; e sembra ch'essa abbia dato da pensare anche al Tasso, il quale la contrassegnò in questo luogo. E. M.

(11) II Tasso notò, interlineando al solito il suo esemplare, l'enumerazione che qui fa Dante di questi effetti d'amore. E. M. (12) Cioè, per ragioni naturali ed accidentali. P.

(13) Qui comincia la dimostrazione, e però si volea forse notare il punto fermo dopo la frase si può: così pure nella fine di questo primo membro, cioè, dopo la frase far grandi, si dovrebbe, a mio parere, mutare i due punti in una virgola, perciocchè ora sembra come impedito il processo naturale delle idee. P.

(14) E qui ha forza d'avverbio confermativo, come Certamente, o simile; di che vedi il Cinonio. P.

per desiderio d'intenderlo, trasmutato il Comento di latino in volgare. Il qual parlare non sani esse hominis, non sanus iuret Orestes. Più ragionevole è la lezione dei codici Gaddiano 135 primo e secondo, e del secondo Marciano; fra' quali il 135 primo porta alcuno lillerato, e gli altri due alcuno allitterato. E. M.

(19) Dopo Etica leggesi in tutti i codici ed in tutte le stampe: ciò fu Taddeo Ippocratista; parole che nel SAGGIO, pag. 93, abbiamo dimostrato essere manifesto glossema de' copisti, i quali forse in tempi che la fama del traduttore era già diminuita, a schiarimento del testo di Dante vi apposero quella chiosa. Intorno a questo Taddeo Fiorentino, ovvero Taddeo d'Alderotto da Firenze, che per la sua eccellenza nell'arte medica fu detto a'suoi tempi l'Ippocratista, è da vedersi una lunga nota del Biscioni. Egli traslatò dal latino in italiano l'Etica di Aristotile; ed alcuni eruditi pretendono che Brunetto Latini, volendo inserire nel suo Tesoro questo medesimo trattato, volgesse in francese l'italiano di Taddeo. Onde che Bono Giamboni nel volgarizzare l'opera di Brunetto si valse per questa parte della versione di Taddeo già bella e fatta. Su di che si può consultare la prefazione del ch. sig. ab. Zannoni al Tesoretto di Ser Brunetto Latini, stampato recentemente in Firenze presso Giuseppe Molini, pag. xxxv. Frattanto noi diremo come fra i Trivulziani trovasi un assai bel codice in pergamena dell'Etica tradotta da Taddeo, che ivi si dice da Pescia. E. M.

(20) Il cod. Vat. Urb.: provvidi a poner lui, fidandomi di me più che di niuno altro. Anche il cod. Marciano secondo, ed i Gadd. 134, e 135 secondo, leggono a ponere. Il Gadd. 3 a porre. E. M.

(21) Cioè il volgare. P.

(22) I codici e le stampe quelli; ma il pronome qui si riferisce a Volgare, e però dee stare nel numero del meno. E. M.

(15) Cioè: E io do questa grandezza a questo amico (lo Volgare), in quanto che quello ch'elli aveva di bontà solo in podere (23) Nell'esemplare del Tasso sono inter(cioè in potenza) e occulto (cioè occultamen- lineate le parole da partendosi fino a virtù te), io lo fo avere ecc. Il testo sarebbe e di contro ad esse è scritto da quel granstato più chiaro quando vi si fosse letto d'uomo : Distinzion ricevuta da lui nel liquello che elli di bontade avea ecc. E. M. bro della vulgare eloquenza. Alquanto più (16) lo fo avere, cod. Vat. Urb., Marcia- innanzi è contrassegnata la parola azzimani, Gadd. 134, 135 secondo, 3. Il Biscio-re. Tutto questo passo leggesi poi ne' coni io fo avere. E. M.

(17) Intendi Premuroso a voler provvedere da lontano. P.

dici e nelle stampe così: partendosi in ciò dalla verità, ch'è per questo Comento la gran bontà del volgare di sì; perocchè si ve(18) La stampa del Biscioni, d'accordo drà la sua virtù, siccome per esso altissimi colle altre e col più de'codici, legge che 'l de- e novissimi concetti convenevolmente, suffisiderio. L'errore però si fa subito manife- cientemente e acconciamente, quasi per esso festo, per poco ch'altri vi ponga mente; pe- Latino, manifestare nelle cose rimate, per rocchè nella vulgata lezione Dante viene a le accidentali adornezze che quivi sono condire, che qualche inlitterato, cioè qualche-nesse, cioè la rima, e lo rimato, e 'l numeduno che non sapesse di latino, avrebbe ro regolato. Siccome non si può bene maniDANTE. Opere Minori.

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(4). Cioè, scusa maliziosa, perocchè scientemente fondata sul non vero. P.

festare ecc. Ma qui la lezione è evidente- che una sola parola insegni più d'una comente corrotta e mutilata in più luoghi :| sa. P. per lo che la buona Critica ne ha suggerito di emendarla come si è fatto; e di ciascuna emendazione si è data ragione nel SAGGIO. V. pag. 2. E. M.

(24) Ecco il modo della difesa che l'A. intende a prendere del volgare contro i suoi accusatori, cioè mostrare la gran bontà di esso volgare in questa prosa; dove apparendo la lingua nel suo essere semplicissimo e naturale, non si potrà per nessuno toglierle il merito delle sue grandi bellezze. La qual cosa non le avverrebbe così bene in lavori di poesia, perocchè tutto il bello potrebbe essere attribuito a quelle adornezze, delle quali si compone la poesia per sua natura, ma che sono quasi estrinseche ed accidentali rispetto alla lingua. Bello è vedere da questo luogo la niuna stima che Dante faceva di tutte le prose del suo tempo; e la superba ma vera opinione, che questa prosa del Convito dovesse essere bastante a far palese quanto vaglia il nostro volgare. P. (25) Intendi: Gli adornamenti dell'abbellimento, pulimento, assestamento e attillamento della persona. B.

(26) Nel SAGGIO, pag. 6, colla sola scorta di quel passo del Par. C. 15.:

» Non avea catenella, non corona,

» Non donne contigiate, non cintura >> Che fosse a veder più che la persona, avevamo corretto l'errore di tutte le stampe, le quali hanno annumerare invece di ammirare. Ora in soccorso della nostra correzione viene il cod. 135 primo Gaddiano, ove leggesi la fanno più ammirare che essa medesima. E. M.

(27) Ordina: Guardi quella discompagnata da tutto accidentale adornamento, quando solo sua natural bellezza si sta con lei. P. (28) guarderà, le pr. ediz. E. M. (29) virtuosissimo, cioè pieno di forza e d'efficacia. P.

CAPITOLO XI. CAPITO

(1) Questo è contro Ser Brunetto Latini e molti altri che al tempo di Dante parlavano e scrivevano contro la italiana favella. PERTICARI.

(2) e lo loro proprio leggono il primo cod. Marciano e tutti i Gaddiani, d'accordo colle antiche edizioni. E. M.

(3) Il Tasso segnò l'espressione cechità di discrezione; e così poco di poi la parola reitadi. E. M.

Poteva dire difetto di discrezione, ma a quel modo non avrebbe fatto vedere la simiglianza d'essa discrezione coll'occhio corporale; laddove piace agli scrittori grandi

(5) Cioè, un trovato, un'invenzione dell'invidia. P.

(6) Cioè, gran numero di seguaci. P. (7) La sostanza di tutto il discorso che riguarda la prima cagione di dispregiare il volgare, si riduce a questo. Chi non ha lumi per giudicare le cose da sè medesimo, le giudica su quello che ne sente parlare, o vogliam dire, sul grido altrui. Questo grido è stato lungamente contrario al nostro volgare; e questo pure ha condotto in inganno tutti coloro che l'hanno seguitato. Aggiunge poi, che il numero di tali seguaci comprende massimamente le persone del popolo, alle quali, perciocchè hanno la mente e l'animo tutto ne'mestieri, non rimane possibilità di formarsi l'abito della luce discretiva. P.

(8) secondo che. Nota modo. PERTICARI. E vale secondo che gli altri giudicano. E. M. (9) ora per volta: qualunque volta. Manca al Vocabolario. PERTICARI.

(10) Cioè, e l'altro pure cieco che a lui s'appoggia. P.

(11) Le pr. ediz. guida, malamente. Qui grida vale voce, opinione, o simili. E. M.

Cioè, quella dietro alla quale, come a guida, vanno i ciechi del lume della discrezione. P.

(12) Sono le quattro ragioni noverate di sopra, cioè maliziata scusa ecc. P.

(13) Dietro a questa grida. P.

(14) Nel SAGGIO, pag. 41, considerando che qui si parla di guidatore e di guida, tenemmo opinione che non mentitori, ma menatori fosse da leggere; e ci pareva d'aver buona ragione. Ora però, dopo un più attento esame, ne sembra che la lezione mentitori, cioè sostenitori di falsa opinione, sia vera; e volentieri la rimettiamo nel testo, giacchè come nel SAGGIO medesimo abbiamo scritto, pag. 158, non è nostro costume l'ostinarci nelle nostre opinioni neppure quando potremmo senza biasimo sostenerle. E. M.

Mentitori, cioè, quelli che hanno messo fuori la grida bugiarda. E qui se l'A. avesse voluto stare lavorando sulle idee poste innanzi, a stretto rigore doveva dire colla mano sulla spalla a questa grida; ma a chi poteva piacere così? Laddove ora nominando la cagione per l'effetto, ha dato tanta anima alla pittura del concetto, che te la vedi muovere sotto gli occhi. P.

(15) I codici e le stampe a quella persona, con lezione manifestamente corrotta. V. il SAGGIO, pag. 112, E. M.

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