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dolcezza e dell' armonia, di liete e seducenti | cui è sempre padrone: tre donne si presenimmagini, rendere amabile la virtù; e così tano cercando in quello un asilo; i loro abiti fa chiaro conoscere che fra gli altri suoi sono laceri; il loro volto, come tutta la loro pregi non mancangli quelli della naturalezza, persona, è atteggiata a dolore; vedesi che di della facilità e della grazia. tutto abbisognano, poichè la nobiltà e la virtù sono loro inutili. Un tempo esse furono onorate, ma per quanto esse dicono, tutti oggi le sprezzano :

Virtute, al suo fattor sempre sottana (1),
Lui obbedisce, a lui acquista onore,
Donne, tanto che Amore

La segna d'eccellente sua famiglia
Nella beata corte:

Lietamente esce dalle belle porte,
Alla sua donna torna;
Lieta va e soggiorna;

Lietamente opra suo gran vassallaggio;
Per lo corto viaggio

Conserva, adorna, accresce ciò che trova:
Morte repugna si, che lei non cura.
O cara ancella e pura,

Colt' hai nel ciel misura;

Tu sola fai signore, e questo prova
Che tu se' possession, che sempre giova.
Canz. XVI, St. 11.

Cose appariscon nello suo aspetto,
Che mostran de' piacer del Paradiso,
Dico negli occhi e nel suo dolce riso,
Che le vi reca Amor come a suo loco:
Elle soverchian lo nostro intelletto
Come raggio di sose in fragil viso (2);
E perch' io non le posso mirar fiso,
Mi convien contentar di dirne poco.
Sua beltà piove fiammelle di fuoco,
Animate d'un spirito gentile,
Ch'è creatore d'ogni pensier buono,
E rompon come tuono

Gl'innati vizi che fann' altrui vile.

Questa è colei che umilia ogni perverso,
Costei pensò chi mosse l'universo.
Canz. XXVII, St. iv.

Ciascuna par dolente e sbigottita
Come persona discacciata e stanca,
Cui tutta gente manca,

E cui virtute e nobiltà non vale.
Tempo già fu, nel quale,

Secondo il lor parlar, furon dilette; Or sono a tutti in ira ed in non cale. Amore si fa ardito a diriger domanda intorno alla loro condizione ed alla cagione del loro dolore: l'una dà a conoscere sè stessa e le sue compagne; è dessa la Rettitudine, le altre due sono la Generosità e la Temperanza bandite e perseguitate dagli uomini, e ridotte a condurre una vita povera, errante ed infelice. Amore le ascolta, le accoglie, nè può tenersi dal sospirare, udendo come

Larghezza e Temperanza, e l' altre nate Del loro sangue, mendicando vanno. Ed io che ascolto, dice il poeta, con questo livino linguaggio dolersi e consolarsi così alti dispersi, mi tengo per cosa onorevole l'esilio, 1 cui sono condannato, essendochè degno di encomio si reputa il cadere coi buoni. Bella massima, la quale nelle difficili circostanze della vita deve esser quella di un uomo di onore e di virile coraggio; e tal si fu l'Alighieri, d quale sempre costante nelle avversità seppe mostrare come la signoria delle umane vicen de stiasi in mano di chi sa rinvigorire nella lotta mondana le forze dell' animo.

Sebbene sia difficile nella distanza di cin

Se volessimo qui riportare tutti i migliori passi delle morali canzoni di Dante, analizzan-que secoli il pronunziar giudizio fra Dante e la doue le sublimi bellezze, oltrepasseremmo di sua patria, è certo per altro ch' ei l'amò pastroppo i limiti che ci siamo prefissi per questo sionatamente, e che la servi a tutto suo potere nostro discorso. Basterà dunque un accenno.ed a rischio ancor delia vita. Firenze medesi · Qual pittura più viva e toccante potea fare il ma fino da antichi tempi fe' di ciò testimonostro poeta dell' abbandono, in cui al suo nianza usando le seguenti espressioni in queltempo giaceano le tre virtù, la Rettitudine, la'iscrizione apposta al vetusto Quadro della Generosità e la Temperanza di quella ch' ei Metropolitana: fece nella bellissima Canzone Tre donne intorno al cuor mi son venute (Canz. XVII), nella quale personificandole, lè la venir tutte solette presso di sè, come a casa di amico?

Queste così solette

Venute son come a casa d' amico, Che sanno ben che dentro è quel ch'io dico. In questa Canzone manifesta il poeta lo stato della sua anima. Amore abita nel suo cuore di

(1) Sottoposta.

(2) Vista, atto del vedere.

Doctus adest Dantes, sua quem Florentia saepe Sensit consiliis ac pietate patrem.

Egli fu più volte per lei, siccome a Campaldino e sotto Pisa, un valoroso soldato quattordici fiate fu suo ambasciatore, insigue paciario ed uno de' suoi più zelanti Priori; e tanto ad essa portò affetto, che per ridonarle la tranquillità, non si ristiè da farle il sagrifizio del dolcissimo amico suo Guido Cavalcanti.

Dell' amor patrio di Dante fu dal Conte Giulio Perticari scritto un erudito ragiona

mento, al quale rimettiamo chiunque fosse » tua plebe, l'illustre pietosissimo Arrigo vago di intendere tutte le ragioni che pos- » Cesare Augusto s' affretta di venire alle sono portarsi in campo a provare l'Alighieri » tue nozze. Asciuga, o bellissima, le laavere amato la patria. Noi qui non altro po- » grime tue; disfa' gli ornamenti della tritremo, che far eco al valoroso scrittore, ed» stizia; perocchè egli è presso colui, che ti agli argomenti da esso addotti aggiungere al- » libererà dalla carcere de' malvagi. O sancuna cosa, la quale allo scopo medesimo » gue de' Lombardi, oblia la sostenuta cruserva, e l'assunto da lui impreso alquanto rinforzi.

Ben sappiamo dal Boccaccio, che Dante pose ogni suo ingegno, ogni arte, ogni studio, a voler ridurre in unità il partito corpo della Repubblica, dimostrando come le grandi cose per la discordia in breve tempo tornano in niente, e le piccole per la concordia crescono in infinito. Le forti animosità delle parti non permisero a lui di riuscire in quel pietoso intento. Bonifazio VIII, di concerto colla fazione dei Negri, fece caJare in Italia Carlo di Valois, affine di riformare il governo di Firenze e di abbattere l'avversaria fazione dei Bianchi. Dante, che non apparteneva decisamente nè all' uno nè all' altro partito, si oppose con animo a tale venuta come pregiudichevole alla patria indipendenza, e andonne ambasciatore al Papa per dissuaderlo da questo malaugurato intervento. Ma il Papa non retrocedè punto dal suo proposito anzi tanto tenne a bada il fiorentino ambasciatore, che i nemici di lui ebbero l'agio, sopraffatta la fazione dei Bianchi, di rovinargli e la casa ed i beni, e quindi sotto falsi pretesti, e come apparteuente alla fazione abbattuta, bandirlo da Firenze. Bene egli pertanto potè dire quelle sue note espressioni

:

L'esilio che m'è dato onor mi tegno;

Cader coi buoni è pur di lode degno.
Canz. XVII, St. v.

:

» delezza, e se alcuna parte in te si rimane » del troiano sangue e latino, dà luogo a lui » acciocchè quando l' alta Aquila a modo di » folgore scenderà, ella veggia i suoi scac»ciati figliuoli e il suo nido. » —

Egli compose allora quel suo celebre trattato della Monarchia, nel quale può forse sembrare che troppo smisurate cose facciagli dire l'amor delle parti e della causa imperiale; dover, cioè, l'universo mondo appartenere all'imperio de' Romani; così aver comandato Iddio Ottimo Massimo quando sollevò a tanta grandezza quel popolo per salvarlo aver anco operato prodigi, ed infra gli altri permesso che animosamente gridassero le Oche del Campidoglio.

Ma per formare un retto giudizio intorno le opinioni politiche del nostro poeta, conviene riportarsi al secolo in cui egli visse, e considerare che ai tempi di Dante Alighieri e di Francesco Petrarca si poteva essere ghibellino senza esser fautore di un dispotico ed illimitato potere. Imperciocchè l'Impero non esercitava allora sugli stati italiani uua influenza immediata e reale, ma una vaga e lontana; non si dimostrava qual padrone assoluto che regolasse a piacer suo i destini di quei popoli; non potea da per sè stesso, e senza le forze e l'oro degl'italiani, o contro la volontà loro, eseguire in Italia imprese d'importanza; non era insomma, se non che sotto altra forma e sotto altro nome, una costituzionale Monarchia, la quale nulla avea d'incompatibile coi diritti repubblicani del medio evo.

La rabbia inconsiderata delle fazioni fu quella adunque che ingiustamente cacciò Dan- La somma delle Epistole di Dante, del te da Firenze, e il costrinse a diventar ghi- suo Trattato della Monarchia, e delle sue bellino. Tentata cogli altri fuorusciti la via frequenti e gravissime concioni si fu questa: dell' armi per riguadagnare la patria, e fal- esser vana per l'Italia la speranza di manlitagli l'impresa, non trascurò con buone tenere ciascheduna città la libertà propria opere d' impetrar grazia al ritorno. È noto senza convenire in un capo ed in un comuaver egli scritta a' Cittadini del Governo ed ne regolatore armato, per mezzo del quale al Popolo fiorentino una lunga ed umile let- potrebbe signoreggiare, come per lungo temtera, che incominciava Popule meus, quid po signoreggiato aveva tutte le nazioni del feci tibi? ma ogni sua sollecitudine riuscì mondo; potere soltanto e dalla invasione stravana. Sceso a Milano Arrigo di Lucemburgo niera e dalla divisione interna esser sicura Imperatore, e per la di lui venuta sollevata l'Italia per mezzo della sua propria univerItalia tutta in isperanza di novità, Dante sale autorità e forza, in modo che e queste preso nome di umile italiano, scrisse ai Se- e il talento non più contro di sè, ma connatori di Roma, ai Principi ed alle Repub-tro le nemiche nazioni rivolgendo, sperar bliche gridando: «Rallegrati oggimai Rallegrati oggimai, potrebbe l'antico imperio sopra le genti tut» Italia, della quale si dee avere misericor- te ricuperare. Coll' esempio allora presente » dia, e la quale incontanente parrai essere non lasciò l' Alighieri di persuadere che la >> per tutto il mondo invidiata: perchè il tuo divisione in tanti piccoli stati, senza la di>> sposo, ch'è letizia del popolo e gloria della pendenza da una potestà a tutti superiore

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era la causa che commettea discordia tra le tavia non seppe rinunciar alla dolce lusincittà e le urtava in perpetua guerra fra di ga di venir richiamato dalla pentita sua paloro, le forze degli Italiani consumando. Sic-tria, e quivi venir coronato poeta: anzi colche non volendo soffrire un' alta potenza re- lo stesso suo poema la Divina Commedia migolatrice, verrebbe poi a cadere sotto il do- rò talvolta ad acquistarsi merito presso di minio di potenze straniere, e così sotto nazioni lungo tempo a lei soggette resterebbe sottoposta e divisa quella che pel corso di mille anni era stata la signora del mondo.

essa:

Se mai continga, che il poema sacro,

Al quale ha posto mano e cielo e terra, Si che m'ha fatto per più anni macro, Vinca la crudeltà che fuor mi serra

Del bello ovile, ov'io dormii agnello, Infesto ai lupi che gli fanno guerra, Con altro nome omai, con altro vello Ritornerò poeta, ed in sul fonte

Tali furono le idee e tali i suggerimenti che agli Italiani comunicava l' Alighieri fino da quando le intestine loro discordie il fecero disperare di veder ricondotta fra di essi la pace senza il mezzo della Monarchia. In questa egli allora sperò, come per l'innanDel mio battesimo prenderò il cappello. zi avea sperato nel valore di magnanimo Duce Italiano, e come in ultimo nella fortuna Può bene egli dire nella Volgare Eloquendi potente Principe (1) cosicchè per fino za (2), che nel suo ramingo vivere visitato ch' ei visse non cessò lusingarsi di veder sor- avendo molte contrade d'Italia, e coltovi il gere un liberatore, il quale sanasse le pia- fiore della comune loquela, per la dolcezza ghe che aveano morta l'Italia. Le iniquità di questa gloria, hassi posto dopo le spalle de' tempi e degli uomini disgustandolo di u-il suo esilio medesimo; chè pur tuttavia, se na libertà tumultuosa e sfrenata, sempre vol-avvien ch' ei faccia nota ad alcuno la sua mita o ad anarchia o a tirannide, il fecero di- sera condizione, non puote ometter di accenventare Cesareo. È inutile il dire quanto e-nare esser egli amantissimo della sua pagli gemesse delle italiane sciagure, tanto più tria, siccome nell' Epistola allo Scaligero difortemente da lui sentite in quantochè esa- ce: I tuoi beneficii non tardarono a ricercerbatrici de' proprii infortunii. Per lo che care un esule quale io mi sono, amantisnon è meraviglia se la sua mente accesa dei simo, non de' fiorentini costumi, ma della suoi privati non meno che dei pubblici mali, mia patria. e concitata dal suo sdegnoso naturale talen- Ahi piaciuto fosse al Dispensatore delto, andasse fantasticando rimedii supremi e l'universo, così egli esclama nel Convito, supremo rimediatore. La speranza dell' Ali- libro da lui scritto in sul declinare della sua ghieri in Arrigo di Lucemburgo fu però di vita, che la cagione della mia scusa mai non corta durata, perciocchè poco dopo che que- fosse stata! Chè nè altri contro me avria sto Imperatore era disceso in Italia, soprap- fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustapreso da pestifero morbo, terminò i suoi mente; pena, dico, d'esilio e di povertà. giorni. Dante, che per mezzo d' Arrigo avea Poichè fu piacere de' cittadini della bellissperato di esser rimesso in Firenze, pur tut-sima e famosissima figlia di Roma, Fioren

(1) Fino dal canto primo dell'Inferno, palesa Dante la sua speranza in un liberatore d'Italia. Quella lupa

.... che di tutte brame Sembrava carca con la sua magrezza, E molte genti fe' già viver grame, la quale nella Selva si para davanti al poeta, e gl'impedisce di giugnere alla sommità del colle, dalla maggior parte degli espositori intendiamo rappresentare il papale egoismo, il quale per mezzo del suo temporale potere, e col soccorso della Parte nera di Firenze (la Lonza) e del Re di Francia (il Leone) si oppose a Dante quando questi trovavasi nell'intricato governo (la Selva) della sua patria, si ch'ei non potè pervenire a produrre e a godere la pace (salire il dilettoso monte). | Virgilio, che da Beatrice è inviato al soccorso di

... quei che l'amo tanto,

.....

gli dice che se vuol campare da quel selvoso

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luogo, gli convien tenere altro viaggio; perocchè la Lupa,

...

questa bestia, per la qual tu gride,
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ma tanto lo impedisce, che l' uccide:
Ed ha natura si malvagia e ria,

Che mai non empie la bramosa voglia,
Molti son gli animali a cui si ammoglia,
E dopo il pasto ha più fame che pria.
E più saranno ancora, infin che il Veltro
Verrà, che la farà morir di doglia.

Non sono concordi gl'interpreti nell' indovi-
nare chi sia l'eroe simboleggiato qui sotto il
nome di Veltro. Senza far nessun conto delle
più strane interpretazioni, come di quella che
designa Cristo, dell' altra che designa un Im-
peratore di Tartaria, diremo solo, le opinioni
principali essersi fissate su di tre personaggi,
Uguccione della Faggiuola, Arrigo Imperato-
re, e Cane Scaligero, cc. Antolog. fasc. 124,
feb. 1832, pag. 94.

(2) Lib. 1, cap. xvii.

Sebbene l'Alighieri dove partirsi di

renze.

za, di giltarmi fuori del suo dolce seno, nel ultimo i governatori della Repubblica non quale nato e nudrito fui fino al colmo della | gli aprirono al ritorno altra via se non quemia vita, e nel quale con buona pace di sta: che egli stesse per alcuno spazio in priquella desidero con tutto il cuore di riposare gione; e dopo quella, in alcuna solennità publ'animo stanco, e terminare il tempo che blica fosse misericordiosamente alla chiesa m'è dato, per le parti quasi tutte, alle quali | principale offerto,e per conseguente libero (1). questa lingua si stende, peregrino, quasi Ma Dante, il quale più che ad altro bado mendicando, sono andato, mostrando con- sempre a difendere e mantenere un' energitro mia voglia la piaga della fortuna, che ca considerazione di sè stesso, non si piegò suole ingiustamente al piagato molle volle già ad un tale richiesto atto di bassezza, ma essere imputata. a colui che di queste cose gli scrisse preFi-gandolo al ritorno, virilmente rispose: « Que»sto è adunque il glorioso modo, per cui » Dante si richiama alla patria dopo l'affan>> no di un esilio quasi trilustre ? Questo è » il merito dell' innocenza mia che tutti sanpure senti ognora per lei una verace carità »> no? E il largo sudore e le fatiche durate filiale, nè cessò un istante di bramarne ri- » negli studii mi fruttano questo? Lungi da formati i disordini, e di vederla ritornata al- » un uomo alla filosofia consacrato questa tel'antica virtù, siccome nel Convito sospiran- » meraria bassezza propria d' un cuor di fando confessa: Oh! misera patria mia, quan- » go: e che io a guisa di prigione sostenga ta pietà mi stringe per te qual volta leggo,» il vedermi offerto, come lo sosterrebbe qualqual volta scrivo cosa che a reggimento ci- >> che misero saputello o qualunque sa vivile abbia rispetto! Mentre nel Purgatorio | » vere senza fama. Lungi da me banditore l'amico Forese il domanda quand' egli torne- » della rettitudine, ch' io mi faccia tributarebbe fra i morti, risponde, che se la pa- » rio a quelli che m' offendono, come se elli tria non tornasse all'antica virtù, null'altro» avessero meritato bene di me. Non è queei più vorrebbe che morire:

Qual si parti Ippolito d'Atene

Per la spictata e perfida noverca,

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>> sta la via per ritornare alla patria, o pa-
» dre mio. Ma se altra per voi o per altri
» si troverà che non tolga onore a Dante nè
>> fama, ecco l'accetto, nè i miei passi sa-
» ranno lenti. Se poi a Firenze non s'entra
>> per una via di onore, io non entrerovvi
giammai. E che? forse il sole e le stelle
»> non si veggono da ogni terra? E non po-
» trò meditare sotto ogni plaga del cielo la
» dolce verità, s' io prima non mi faccio uo
» senza gloria, anzi d'ignominia, al mio po-
polo ed alla patria (2)? »

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Gli ultimi due protettori, ai quali l'Alighieri ricorse, Pagano d'Aquileia e Guido Novello, furono guelfi. E senza dubbio l'amichevole opera di questi due personaggi, massime del secondo, fecero sperare al poeta anche negli ultimi anni della sua vita, che venisse finalmente il tempo di rientrare senza infamia in Firenze.

- «E da questa ruina, dice il Perticari, non voleva campare: voleva incontrarla é cadervi, per non vedersi vivo quando la patria fosse morta. Questa immagine si fa veramente pietosa e tenerissima sopratutto quando noi guardiamo ch' egli scrisse queste cose nel bando. Ed in che stato! Ne danno ně onta aveva mai fatto a Firenze: aveva sudato per lei nelle armi, più nella toga: già il primo oratore, e l'ottimo de' Magistrati, ed ora con questa mercede, che a uscio a uscio mendicava la vita e scendeva e saliva Mentre Dante si trovava in Ravenna gli fù per pane le scale altrui: e tutto per ira del-indirizzata dal Bolognese Giovanni del Virgila patria: ed egli voleva per la patria mo-lio un' Egloga latina. E perchè mai, gli rire! » diceva, perchè le altissime cose che tu canCotanto amando la sua Firenze, nella qua- ti, o almo poeta, dovrai cantarle sempre in le desiderava lo stanco animo riposare e la lingua volgare? Solo il volgo potrà dunque corona poetica ricevere, non è meraviglia s'ei goder del tuo canto, nè i dotti leggeranno rimettesse alquanto della sua naturale so- di te nulla che sia dettato in più nobile linstenutezza, e, senza però esser vile giam-gua? Rammentati, o sacro ingegno, la morte mai, scendesse anche talvolta ai prieghi. In di Arrigo di Lucemburgo; rammentati la vit

(1) Boccaccio, vita di Dante, pag 42. (2) Dall' Epistola di Dante, che trovasi nel Cod. Laur. Pluteo xxix. num. VIII, pag. 132, In licteris vestris et reverentia debita et affe

"

ctione receptis etc., e che fu pubblicata dal Dionisi, Anedd. v, pag. 176, ed in parte tradotta dal Perticari.

toria di Cane Scaligero sul Padovano, e come Uguccione della Faggiuola disfogliò il fiordaliso; rammentati le armate di Napoli, i monti combattuti della Liguria. Vi ha egli forse al canto argomenti più acconci di questi? Ma innanzi ogni altra cosa non indugiare, o maestro, di venirne a Bologna per prendervi la poetica corona d'alloro. »

riserba al compimento del poema; ma vuol che solo in patria sia la sua incanutita chioma del serto trionfale adornata. E Dante non amava la patria?

Con virile animo obliò le ingiurie fatte alla sua persona, e tacque sempre di Cante Gabbrielli, il qual si fu quegli che emano contro di lui l'atroce sentenza. Integerrimo e giusto non riguardò molto alle parti, ma andò nei suoi scritti dannando ugualmente e Guelfi e Ghibellini. Le acerbe parole, che nelle di lui opere rincontransi, eran tutte volte soltanto contro la corruzione degli uo

Ben dove Dante sorridere di un zelo così inopportuno, quantunque così affettuoso. In una seconda Egloga soggiungeva Giovanni che grandissimo sarebbe stato il piacere dei Bolognesi del rivedere nella loro città Dante Alighieri, e che essi certamente non avreb-mini e dell' età, non contro il nome de' suoi bero posto mente a ciò che di alcuni loro concittadini dicevasi nell' Inferno. Che se verrai, esclamava il Del Virgilio, potrò farti conoscere i versi del nostro Mussato; ma Guido tuo, il Polentano, non patirà, che tu avessi a lasciare Ravenna e la bella pineta, che cingela in sul lido Adriatico. » —

A questi amichevoli voti ed inviti replicò il nostro Dante con altre due Egloghe latine, ove finse convenire a consiglio con due suoi amici, l'uno Ser Dino Perini fiorentino, l'altro Ser Fiducio de' Milotti Certaldese. - Glorioso invero e di molto piacere sarebbemi, rispondeva egli a Giovanni, ornare il capo della corona d' alloro in Bologna; ma di gran lunga più caro mi è di meritare il serto in sull' Arno:

Nonne triumphales melius pexare capillos,
Et patrio (redeam si quando) abscondere
(canos
Fronde sub inserta solitum flavescere,Sarno?
Dantis Ecl. I, v. 42-44.

E questo mi gioverà allora quando il mio Pa-
radiso potrà essere così noto al mondo, come
or lo sono i bassi regni del dolore:

... Quum mundi circumflua corpora cantu, Astricolaeque meo, velut infera regna, pa(tebunt,

Devincire caput hedera lauroque iuvabit (1).

Ib. v. 48-50.

Ne io verrò in Bologna, ove Polifemo il gi gante, il massimo frai Bolognesi, ha la stanza, Polifemo, che io non potrò preferire al mio Iola. » —

Ecco come sentiva, come scriveva Dante, forse nell'ultimo anno di sua vita. La corona poetica, al suo merito già dovuta, se la

e della sua Repubblica, il di cui antico governo vien da lui chiamato un bello e riposato vivere di cittadini; il popolo fiorentino una fida cittadinanza; la sua cara Firenze un dolce ostello (2). Quindi egli farà una vaga e seducente pittura delle domestiche virtù delle antiche femmine fiorentine (3). Altrove innalzando la gloria del nome della sua città, e celebrando i giorni dell' alto Bellincione, degli Ughi, degli Arrigucci e di trenta e più famiglie ch' ei nomina, dirà che vide il suo popolo tanto glorioso e giusto, che il giglio di Firenze non era mai posto a ritroso sulle aste, nè fatto vermiglio per divisione (4). Ed egli con un amore ed una reverenza, che quasi accostasi a religione, dipingeva così il buon tempo eroico della sua mia ai soli traditori. Infatti chi avesse voluto patria, affinchè quelle cose fruttassero infarendere odiosa ed esecrata Firenze non potea dirla e grande e nobile e bella, siccome la patria nobile dissela Dante (5), la gran villa sul bel fiume d' Arno in cui fu nato e cresciuto (6), ed il bello ovile (7).

Quando nel C. XVII. del Paradiso intende il poeta da Cacciaguida, com' egli sarebbe cara e diletta, e mendicare il pane, salenstato costretto a lasciare ogni sua cosa più do e scendendo le scale altrui, non fassi già a maledire e rinnegare la patria ingrata, ma risponde, che sarà cauto a non disgustare coi carmi i suoi futuri ricettatori, or ch' ei sa che il tempo s' affretta a recargli grave colpo col togliergli quel luogo, ch'è per lui il più caro:

Per che di provedenza è buon ch' io m'armi,
Si che se luogo m'è tolto più caro,
I' non perdessi gli altri pe'miei carmi.

colle loro orbite o sfere formavano i diversi
cieli, come il cielo di Venere, il cielo di Mar-
etc.
(3) Ivi, 99.

(1) Correggiamo un grave sbaglio corso al Dionisi. Questi nel suo Aneddoto iv. pag. 107, crede che la frase qui usata da Dante, cir-te cumflua corpora, significhi l Purgatorio. Ma tale espressione non altro certamente vuole indicare che i corpi i quali discorrono nell'immenso fluido dell'universo, vale a dire i Pianeti, che, secondo la dottrina di quei tempi,

(2) Par. xv, 130.
(4) Par. xvI. 151.
(5) Inf. x, 26.
(6) Ivi xx, 94.
(7) Par. xxv, 5.

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