Sayfadaki görseller
PDF
ePub

così, e l'anima forse ne perde la ragione di quelle attinenze. Parlo dubitativamente perciocchè sento verissimo ciò che dice egli stesso Dante (cap. vIII.), cioè, che l'uomo è si mirabile creatura che certo non pur colle parole è da temere di trattare di sue condizioni, ma eziandio col pensiero. Ora l'inganno della detta sentenza forseche ebbe mo

seguentemente stimo viziata la scrittura, e che si debba leggere, non già la intelligenzia motrice, ma le Intelligenzie motrici; di che viene prontamente questo bellissimo intendimento. Massimamente conoscono quella cioè, la forma umana, le intelligenze motrici; perocchè sono ecc. cioè, perocchè elleno Intelligenze motrici de'cieli sono le specialissime cagioni ordinate da Dio a dare, coltivo in parte dal considerare l'alta signoria mezzo de'celestiali movimenti, vita attuale ad essa forma umana, e ad ogni forma generale di tutte le spezie di cose mondane. Confronti il lettore questo con quello che s'insegna dall'A. a'capi v. e xiv. tratt. 11. P. (13) Intendi: E se poi essa umana forma prodotta nel mondo in attualità, o vogliam dire, esemplata e individuata mediante l'o-bontà della cagione sua, che dà, così tutti i perazione delle Intelligenze motrici de'cieli, non si trova perfetta, ciò non avviene per difetto dell'esempio che di essa forma umana è nella divina Mente, ma per difetto della materia la quale è individua, e per conseguente oppone alla perfezione della cagione informante un essere di passività per ogni parte terminata. P.

che sul corpo tiene l'anima, la quale, comunemente dico, gli fa cambiare assai della figura esterna, secondo ch' ella si trova in bene o in male passionata dentro. Così, per modo d'esempio, si vede molti, dopo una colpa, anche secreta, avere mutato viso. P. (27) infonde e rende al corpo suo della

mss. e le stampe; ov'è manifesta la mancanza del suggetto che infonde, essendo contraffatta l'indicazione di quella che è cagione dell'anima umana, vale a dire di Dio, in vece di cui si è scritto e stampato dà. V. il SAGGIO, pag. 129. E. M.

L'anima è un'addizione al testo fatto dai Sigg. E. M., perciocchè parve loro qui ma(14) Di fatto, se mirando l'esempio veg-nifesta la mancanza del suggetto che infongono lei, bisogna dire ch'essa e l'esempio sono una cosa sola. P.

(15) Intendi: Ed ogni Intelletto di lassù la mira in forza di quella virtute, la quale

de. Io però credo che non era necessario perciocchè l'anima appunto è il sostantivo principale reggente tutto il discorso; il quale sostantivo è espresso un poco fungi, ma non tanto, che la mente del lettore non gli possa (16) Affermare per Confermare; e vuol attribuire l'azione significata pei due verbi dire: E a confermare questo, cioè, che que-infonde e rende. P.

ecc. P.

sta donna sia una sola cosa di perfezione col- (28) I Tasso contrassegnò in margine il l'esempio della forma umana che è nella di-passo da l'anima è atto del corpo fino alle vina Mente, soggiungo ecc. P. ultime parole qui emendate: della bontà della cagione sua ecc. E. M.

(17) « La sete natural che mai non sazia.» Purg. 1. 1. E. M. (18) Cioè, il desiderio della perfezione. P. (19) E perocchè questa donna è veramente un essere solo con quella perfezione ecc. P. (20) Pace co'proprii desiderii; che avviene quando sono compiuti tutti cumulatamente.P. (21) Cioè, per la virtù di questa donna. P. (22) la umana essenzia, cod. Vat. Urb.

E. M.

(23) Perciocchè. P.

(24) Cioè, a quello che di ragione è dovuto a colui che riceve. P.

(25) Per amore ch'Egli ha alla perfezione di lei. P.

[ocr errors]

(29) Dunque male que'poeti, spezialmente del Cinquecento, che prendono la voce forma per corpo. PERTICARI.

Forma per Anima intese il Petrarca nella pr. Canz. in morte di Laura, ove disse:

» L'invisibil sua forma è in Paradiso. E il Tasso usò questa voce per la sustanza angelica (Ger. 1. 13):

» La sua forma invisibil d'aria cinse, » Ed al senso mortal la sottopose. E. M. (30) Correggi che lo, perciocchè se il pronome si lascia rappresentare nient'altro che il corpo, tutta la sentenza è scompigliata. P. (31) riceve, cod. Vat. Urb. E. M.

(26) Poni ben mente a questa sentenza, della quale Dante farà uso al suo intendimento qui e poi ancora al capo VIII. Ma pare ella ingannevole, per iscambio, come si dice, del senso vero secondo uno rispetto, col senso vero semplicemente. Di fatto il corpo, se sia considerato in quanto componente dell'uomo, è veramente solo poten-si za, e l'anima gli dà l'atto e si fa quindi sua corpo, maravigliose cose. P. cagione; ma se il corpo sia considerato in

(32) Chi è che prova? Io credo che si debba scrivere: E così provo, perciocchè questa non è altro che una ripetizione confermativa di quelle parole poste di sopra: Poi quando dico: La sua anima pura, provo ecc. P.

(33) Cioè, quella apparenza, per la quale veggono in costei, quanto è dalla parte del

(34) beneficiala, cod. Gadd. 135 primo, quanto semplice corpo, la cosa non è più le yat. Urb. Le stampe: beneficiata. E. M.

CAPITOLO VII.

abbiamo supplite col testo di Alberto Magno alla mano: Quaedam autem sunt spargentia tantum luminis et diaphani, quod vix discerni possunt. Vedi il SAGGIO, pag. 64. Nulladimeno non vogliamo tralasciare di proporre una nostra congettura; ed è, che Dante, senza attenersi scrupolosamente alle parole dell'autore allegato, abbia scritto: che par multiplicamento di luce lo loro aspetto. E. M.

(1) In questo luogo è difetto d'alquante parole, onde ne vengono alcuni gravi sconci nel discorso. Ma siccome elle si leggono presso il Biscioni; e d'altra parte i Sigg. E. M. non fanno motto d'avere eletto piuttosto altrimenti, crederò che nella loro edizione sieno state ommesse per semplice inavvertenza. Leggi adunque: E prima la commendo, secondochè il suo bene è grande in lei: la commendo poi, secondochè 'l suo bene è grande in altrui, edere, come altrove. E. M. utile al mondo. P.

(9) Anche qui viso per vista, atto del ve

(10) Supplisci: È ricevuta; e così in tutti

(2) delle cose ricevute, così errano tutti ii luoghi seg. P.

[blocks in formation]

(5) Con tutto ciò. P.

(6) » Amor, che muovi tua virtù dal Cielo,
» Come'l Sol lo splendore,

>> Che là si apprende più lo suo valore,
» Dove più nobiltà suo raggio trova.
E. M.

(11) e altrimenti dalle piante,e altrimenti dalle miniere ecc., cod. Vat. Urb., Marc. secondo, codici. Gadd. 134, 135 secondo, 3. E. M.

(12) Dopo i tanti nobilissimi concetti espressi dall' A. sulle Intelligenze celesti, appena si può aspettare qui che sia attribuito l'essere intellettuale unicamente a Dio, poniamo che, parlando, secondo l'ultimo rigore della filosofia, sarebbe vero. Penso adunque che si deve forse scrivere che solo è intellettuale, sicchè solo sia avverbio e non aggettivo. Allora anche l'argomentazione ne acquista un miglior atto, intendendosi prontamente, che la terra, siccome materialissima, non può essere altro che rimotissima e improporzionalissima alla prima Virtù, che è solamente intellettuale. P.

(13) Gradi del modo di questo ricevimen→ to della divina bontà. P.

(14) Ordina ed intendi: Che dell' anime umane, riceve quella bontà altrimenti una che un' altra. P.

(7) Ecco il luogo d'Alberto, come fu portato dal ch. Mazzucchelli; e così vedrà meglio il lettore nella loro fonte questi dommi naturali e il modo con che Dante gli derivò al suo intendimento. Albert. Lib. 1. DE IN- (15) E perocchè l'ordine intellettuale, TELLECTU ET INTELLIGIBILI. Tract. 1. C. tutti i testi. Correggiamo nell' ordine intel11. T. v. pag. 250. 1. Propter multam victo-lettuale, perchè subito dopo Dante ne dice riam et per mixtionem perspicui clari in nell' ordine sensibile. E. M. corporibus terminatis videmus, quosdam co- (16) Qui la laguna è evidentissima in tutlores in luminis adventu effici scintillantes ti i testi, i quali leggono: dall' infima foret spargentes lumen ad illuminationem alio-ma all'altissima: all' infima; e mancano del rum: et aliquando si vere in toto sit perspi- grado supremo da cui si discende. E. M. cuum corpus coloratum, si lumen superve- (17) perfetta,cod. Marc., Vat. Urb., Barb., niat, illi colores colorant alia corpora sibi Gadd. 134, 3, pr. ediz. Il Biscioni: imperapposita, sicut videmus in vitro colorato, perfetta. E. M. quod lumen veniens secum trahit colorem vitri, et ponit eum super corpus, cui per vitrum incidit lumen. Quaedam autem sunt ita vincentia in puritate diaphani, quod adeo radiantia efficiuntur, quod vincunt harmoniam oculi, et videri sine magna difficultate non possunt. Quaedam autem sunt spargentia tantum luminis et diaphani, quod vix discerni possunt visu propter parvitatem suae compositionis ex perspicuo, cuius proprius actus est lumen. P.

(8) I testi portano la sciocca lezione: in quelli è lo loro aspetto. Onde chiarissimo essendo che mancano in essa alcune parole, le

(18) Tutti i mss. e le stampe leggono: e noi veggiamo molti uomini tanto vili ecc... e così è da porre e da credere fermamente ecc.; ma è evidente la laguna della particella siccome nella protasi del periodo, e il soprappiù dell' e innanzi a così nell' apodosi. Da queste parole e siccome noi veggiamo ecc. fino a per la sperienza che aver da lei si può, il luogo è segnato in margine dal Tasso, ed è interlineata la sentenza: Questi cotali chiama Aristotile, nel settimo dell' Etica, divini; sentenza notata anche dal Perticari nel suo testo. E. M.

A me pare che l'aggiunta della particella

siccome non bisognasse qui, come anche ad | ecc. I codici Vat. Urb. e Gadd. 134 essi Sigg. E. M. è paruto non bisognare in portano: la quale più che tutte le altre capo agl' incisi antecedenti, tutti commessi fedi aiuta tutta l' umana generazione. Il insieme per l'istesso modo a costruire la Gadd. 135 secondo legge anch'esso la quaprotasi del periodo; la quale comincia alle le. E. M. parole E perocchè, e si conduce via via fino all'avverbio corrispondente così, dove comincia l'apodosi. Vedi un altro periodo a-li vente tutto essa la forma di questo, in fine del capo, dalle parole perocchè conciossiacosachè innanzi. P.

(29) E i miracoli. P.

(30) Cioè: ed a noi faccia credere possibigli altri. Si noti però che noi abbiamo corretta la lezione manifestamente errata di tutti i testi: avere da noi faccia possibili ecc. E. M.

(31) Questo cioè eternalmente pare un glossema. E. M.

(19) Cioè, ascendente e discendente. P. (20) Portamento che sia. Tasso; ed interlinea le parole: reggimenti e portamenti so- (32) Vedi quello che Dante dice in fine gliono essere chiamati Questo vocabolo del Capitolo antecedente, e ti accorgerai delportamenti è frequente nel Petrarca, par-la laguna che qui si è supplita. E. M. lando della sua Laura; ed il Tasso ne fa uso ove parla dei due messaggi del Re d'Egitto :

>> Quando duo gran Baroni in veste ignota » Venir son visti, e 'n portamento estrano. E. M.

(21) Supplisci: Ma sì in quelli che gli ammaestrano di così fare. P.

[ocr errors]

CAPITOLO VIII.

(1) Effetti, cioè opere. PERTICARI. (2) Cioè, la vegetale, la sensitiva, la razionale. P.

le

(3) Intendi: le virtù proprie di tutte e tre nature congiunte. P.

(4) Così con buona lezione le pr. ediz., codici Marc., il Vat. Urb. ed il Gadd. 134. Il Biscioni: in tanto poco numero.

(5) E questo sia detto a tutti quelli che ora dell' Antropologia scrivono le sì mirabili e pazze cose. PERTICARI.

(22) ripresentare, pr. edizioni, codici Mar-i ciani, Gadd. 134, 135 secondo. La volgata di questo passo era sicuramente depravata e E. M. confidiamo di averla rimessa nella sua genuina bontà. Ella stava come segue: ripresentano. Onde siccome la immagine delle corpora in alcuno corpo lucido si rappresenta, siccone nello ispecchio; così la immagine corporale, che lo specchio dimostra, non è vera: così la immagine della ragione, cioè gli atti, ecc. E. M.

(23) colei, ediz. Bisc.; con lei, ediz. da Sabbio, e codice Gadd. 134 e Vat. Urb. E. M.

(24) Cioè, i concetti che muove esso spirito celestiale. P.

(25) È detto secondo il linguaggio delle antiche scuole, e si vuole intendere: Dovunque per bontà di natura è posto dell' attitudine all' amore; perciocchè amore non alligna ne' cuori de' tristi, secondo la sentenza: Amore e cor gentil sono una cosa. P.

(26) La quale natura semenza ecc., cod. Vat. Urb., Barberino, Gadd. 134. E. M.

(27) Parere qui è in natura di nome, e vale apparenza, comparsa, e più veramente opinione. PERTIcari.

Ma forse il testo è viziato, e deve stare così: nel quale mirando possono fare sè parere gentili. Secondamente narro ecc. Le parole quello seguitando hanno tutta l' apparenza di glossema, non essendo esse che una spiegazione di nel quale mirando; ed aggiungiamo, che debbono forse mettersi al principio del susseguente periodo, così Quello seguitando, secondamente ecc. E. M.

(28) Il Biscioni legge scorrettamente lo qual

(6) Forse dee dire: Sicchè cadono in ciò ecc. E. M.

(7) Tutti i testi mss. e stampati: La sapienza di Dio precedette tutte le cose che cercava. Si è corretta questa pessima lezione col soccorso delle parole scritturali: Sapientiam Dei praecedentem omnia quis investigavit? (Ecclesiastic. 1, 3. ) V. il SAGGIO, pag. 27. E. M.

(8) Altiora te ne quaesieris et fortiora te ne scrutatus fueris: sed quae praecepit tibi Deus, illa cogita semper, et in pluribus eius operibus ne fueris curiosus. ( Eccles. cap. 3). Col sacro testo davanti non solamente si scorge che le parole ultime cioè sollicito sono un glossema (e sciocco glossema, perchè l'equivoca voce sollicito non risponde bene alla latina curiosus, che propriamente vale desideroso di sapere ); ma di più si viene a scuoprire il furto fattosi nelle stampe dell' avverbio sempre al verbo pensa (cogita semper ); avverbio, in tal luogo, di molto momento rispetto al comando che ne fa Dio. E non è da credere che Dante, esattissimo e letterale nel volgarizzare i testi della sacra Scrittura, l'abbia dimenticato. SAGG. pag. 97. E. M.

(9) Qui e per più altri luoghi vegnenti sotto questo capo, bisogna richiamare alla mente la sentenza posta dall' A. al cap. vi di questo trattato, cioè, che l' anima sia cagione

effettiva del corpo. Sopra di che vedi ivi la

nota. P.

perpetua, qui è con alcuna discontinuazione, cagionata dall' impossibilità di riguardare perpetuamente in quella bellezza; ed anche con aspettazione di fine per la morte futura d'es

conforta questa intelligenza nella esposizione allegorica al capo xIII. P.

(10) Come se dicesse: Dànno a gustare. P. (11) Penso che la lezione primitiva sia solo nelle parole dimostrano de' piaceri di Pa-sa donna e de' riguardatori. Vedi come si radiso; perchè di questi direttamente ed unicamente dice il verso della canzone, e non di nessun' altra natura di piaceri; e perocchè tal modo è tenuto anche dove l' A. spone allegoricamente l'istesso verso. Le altre parole di mezzo, cioè, e intra gli altri di que' vi saranno forse per interponimento di mano straniera. P.

(12) Lo più nobile de' piaceri del Paradiso. P.

(13) Beati gli occhi che la vider viva! disse il Petrarca di Laura. E. M.

(14) risguardatori, pr. ed. E. M. (15) Sottintendi il piacere. E. M.

(17) Cioè, dove appare in costei le cose che cagionano questo mirabile piacere. P.

(18) Sotto nome di questi due estremi, cioè, piacenza e dispiacenza io credo che si voglia significare le umane passioni, le quali tutte in quel mezzo si possono comprendere, se mai non perciocchè elle abbiano motivo dal piacere e dal dispiacere, certo almeno, perciocchè sono costantemente da piacere e da dispiacere, secondo più o meno, accompagnate. P.

(19) Onde è da sapere ecc. fino a peroc

(16) L'intrico di questo passo è tale, co-chè in quelli due luoghi quasi tutte e tre, me è detto nel SAGGIO (a carte 97), che luogo contrassegnato dal Tasso in margine, e la Critica si sgomenta di poterlo riordinare. postillato: Nota. Il medesimo contrassegnò Ecco la correzione che per congettura ivi ne alquanto più avanti il passo: li quali due luoabbiamo proposta : « E questo si è essere ghi per bella similitudine ecc.... amore e » beato, questo è piacere veramente; avve-vergogna. Ed a lato di quest' ultime parole » gnachè nell'aspetto di costei (che guar-fece la seguente postilla: Non annovera tut>> dando costei la gente si contenta) tanto te le passioni. E. M.

>> dolcemente ciba la sua bellezza gli occhi (20) Intendi: Perciocchè è da sapere che >> de' riguardatori, che per lo suo contentare in qualunque parte del corpo l'anima fa » è Paradiso perpetuo, che per altro modo più delle funzioni sue proprie, quella lavora » non può in alcuno essere questo. » Cioè: con ogni sottigliezza, ed abbellimento. P. Non può questo accadere. Ne pare ancora (21) Questa lezione, che è la volgata può che si scioglierebbe passabilmente, quando reggersi, ma sembra che sarebbe assai mesi aggiungesse, espresso o sottinteso: che glio il dire : ・; del suo ufficio, quella non può ad alcuno uomo quaggiù essere que-più fissamente ecc., tralasciando quel che a. sto; e vale a dire: essere, avvenire, o simile. E. M.

E. M.

[ocr errors]

(22) Al suo lavoro. P.

(23) Che per cagione del sottigliarsi quivi

ecc. P.

(24) Quivi, cioè, nella faccia. P.

E. M.

nello

(26) nel dificio del corpo, Bisc. edificio porta il Vat. Urb., il quale, d'accordo col Gadd. 134, legge alita invece di abita; lezione da non seguirsi. E. M.

(27) non si paresse, pr. ed., codici Gadd. 134 e Vat. Urb. E. M.

Io per me sopra il testo adottato dai Sigg. E. M. propongo una mutazione di leggerissimo ardimento, cioè, che si scriva che pur lo contentare, ovvero solo trasmutando per- (25) Cosi il cod. Vat. Urb., ed il Gadd. chè lo contentare, invece di che per lo con-135 secondo. Il Biscioni legge tutte tre. tentare, senza la virgola che divide questa dalla seguente frase. Così mi pare di vedere sicuramente risanato questo luogo, il quale forse per ogni altro modo è disperato. Abbiamo veduto come Dante ha posto la proposizione, che nell' aspetto della sua donna appariscono cose le quali dimostrano de' piaceri del Paradiso; e come ha dichiarato, che il più nobile si è contentarsi che è essere beato, e come ha seguitato affermando che questo piacere, o vogliam dire, questa beaLitudine è veramente, benchè non nell' istesso modo appunto, anche nello aspetto della suddetta donna, dando per ragione l'infinita V. il SAGGIO, pag. 27.) Pure tutti i codolcezza che viene dalla bellezza di lei ne' ri- dici, tranne l'unico sopra citato, leggoro guardatori. Ora adunque Egli viene a dispie-eterna nota; e così pure legge il Biscioni. gare la modificazione accennata unitamente E. M. a questa proposizione colle parole avvegnachè per altro modo, quasi dica: Ben è vero però che laddove la beatitudine in Paradiso è DANTE. Opere Minori.

(28) notte è la buona lezione, conforme al cod. Gadd. 135 primo, ed al testo di Stazio Theb. lib. 1. v. 47 ):

Merserat aeterna damnatum nocte pudorem
Oedipodes.

(29) Definizione del riso poetica. TASSO.Ecco la ragione della metafora lampeggiar d'un riso. PERTICARI.

43

(30) In vece di braccia ho dubitato dover | io tratti, mentre pure ne faccio subbietto del dire labbra; ma riscontrati i Mss. non ho mio ragionare. P. trovata altra varia lezione, che in uno che dice delle sue membra; per la qual cosa credo stia bene nella maniera di già stampata; volendo quivi Dante specificare gli atti sconci di coloro, che ridono smoderatamente. Bi

[blocks in formation]

E. M.

(33) Ahi mirabile e onorabile riso, cod. Barb. e Gadd. 135 secondo. E. M.

(34) Soavissima espressione a dipingere la modestia del riso. Il verbo sentire non è catacresi in questo luogo, siccome alcuni stimano, perchè il vedere è sentire, e perciò gli occhi sono detti sentimento. PERTI

CARI.

(38) Tutti i mss. e le stampe: lo intelletto nostro, cioè umano. Abbiamo espunte le parole cioè umano, perchè evidente glossema de' copisti. E. M.

(39) frale, pr. ed. e cod. Vat. Urb. E. M.

(40) fisamente l'uomo ecc. Così il cod. Vat. 4778; laddove tutti gli altri testi hanno fisamente mosso, lezione priva di senso buono. E. M.

(41) Disvia, cioè, si smarrisce. P.

(43) informato ardore, pr. ed., codici Barb., Gadd. 134, 135 secondo, e Vat. Urb. E. M.

Questa lezione a me pare migliore che la comune nel testo; perciocchè il sostantivo dominante in questo membro del discorso è ardore; la dizione poi d' amore esprime una passione d'esso sostantivo e non ha altro ufficio. Ora se noi leggiamo informato, ardore, sovrabbonda, sì, ma innocentemente, il segno espressivo del caso dominante; ma (35) Perciocchè in essi massimamente ado-l'altra sua passione, cioè l' essere informapera. P. to, gli va condotta direttamente, come è do(36) Le quali sono l'armeria d' Amore. P. vere. Laddove se leggiamo informato amc(37) sovrastando a quella, il Biscioni d'ac-re, la passione è legata, non più al subbietcordo colle antiche ediz. e coi codici; má to, ma alla passione; la qual cosa non accade nè egli, nè alcuno de' più vecchi editori e senza una come sottilissima tortura. P. de' copisti intesero la sentenza; perocchè, tutto al contrario di dire ch'esso sovrasta all'eccellenza della sua donna, Dante dice che quella sovrasta a lui, cioè ch' ella soverchia il suo intelletto per modo, ch' ei poco ne può parlare. Se però non vuolsi che sovrastare ad una cosa qui significhi aggirarsi sopra di essa: il che non ci sembra naturale; ma ce ne mette sospetto quell' espressione dell' Autore in questo stesso Trattato, Cap. XI. ove dice: chi desse loro quello che acquistare intendono, non sovrasterebbono allo studio. E. M.

(44) e distrugge lo suo contrario delli buoni pensieri, così i mss. e le stampe (salvo che il cod. Vat. Urb., in cambio di delli buoni pensieri, legge alli buoni pensieri); Dante però non dice lo contrario delli buoni pensieri, ma lo suo contrario; e quel suo fa chiarissima prova che delli buoni pensieri è puro glossema. E. M.

(45) La lezione volgata è: certi vizii sono anco nell' uomo. Abbiamo adottata quella de' codici Barb., Vat. Urb., Marc., Gadd. 134, 135 primo e secondo, poichè la particella anco non ci parve richiesta dal discorso. E. M.

(47) Con tutto ciò. P.

O ch'io m'inganno o veramente fu il Biscioni ed i vecchi editori quelli che in- (46) per essa leggono rettamente i cod. tesero la sentenza. Mi dicano per grazia i Gadd. 134, e 135 secondo; laddove altri coSigg. E. M. anche nella lezione da loro dici, ed il Biscioni con loro, hanno per essi. composta, le parole sovrastando quella Ma come mai potè credere quell' erudito, che non entrano nel corpo dell' accusa? Or be-l'uomo si faccia virtuoso pei vizii; se già non ne esse ne rompono appunto tutta la forza; si vogliono prendere a maestri di Etica Marperciocchè qual mai ragione di rimprovera- gutte o Falstaff? E. M. re altrui di ciò che poco dica in cosa, dalla quale si sa ch' egli è soverchiato? Dunque la dizione sovrastando a quella si vorrà spiegare, non già aggirandomi sopra di essa, ma fermandomivi sopra, o simile; come in questo esempio de' Serm. di S. Agost. 3. Se tu se' domandato, farai meglio di dare breve risposta, che volere soprastare in lungo ragionamento. » Allora il pieno del discorso si risolve a questo modo: Escuso me che di tanta eccellenza di beltà poco pare, che

(48) Cioè: Si distrugge. E. M.

(49) non è equabile alla natura, tutti i testi. Ma il non è un vizio soprappiù che guasta il pensiero dell' Autore, il quale si è questo: che quantunque rimanga sempre il moto primo delle naturali passioni, pure la buona consuetudine ne impedisce il processo, perchè la sua forza equivale a quella della natura. E questa sentenza è presa da Aristotile: Quod consuetum est veluti inna

« ÖncekiDevam »