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seme,

me nella sua difinizione sarà pienamente manifesto. E queste sono quelle due cose che vedere si convenia, prima che ad altre si procedesse, siccome in questo Capitolo di sopra si dice.

CAPITOLO XVII.

ti, che sono vertù morali e intellettuali delle | ad amare e operare dirittura in tutte cose. quali essa nostra nobiltade è sicco- E ciascuna di queste vertù ha due nemici collaterali, cioè vizii, uno in troppo, e un altro in poco. E queste tutte sono i mezzi intra quelli, e nascono tutte da uno principio, cioè dall'abito della nostra buona elezione. Onde generalmente si può dire di tutte, che sieno abito elettivo consistente nel mezzo; e queste sono quelle che fanno l'uomo beato, Appresso che vedute sono quelle due cose ovvero felice, nella loro operazione, siccome che parevano utili a vedere prima che sopra il dice il Filosofo nel primo dell'Etica quando testo si procedesse, ad esso sporre è da pro- difinisce la felicitade, dicendo che felicità è cedere: e dice e comincia adunque: Dico che operazione secondo (6) virtù in vita perfetta. ogni virtù principalmente Vien da una ra- Bene si pone Prudenza, cioè Senno, per molti dice: Virtude intendo che fa l'uom felice In essere morale vertù; ma Aristotile dinumera sua operazione: e soggiungo: Quest'è secon- quella intra le intellettuali, avvegnachè essa dochè l'Elica dice, Un abito eligente; ponen- sia conducitrice delle morali vertù, e mostri do tutta la difinizione della morale vertù, se- la via per che elle si compongono, e sanza condochè nel secondo dell'Etica è per lo Filo- quella essere non possono. Veramente è da sofo difinito: in che due cose principalmen- sapere che noi potemo avere in questa vita te s'intende: l'una è, che ogni vertù vegna due felicità, secondo due diversi cammini buoda uno principio; l'altra si è, che queste ogni ni, e ottimi, che a ciò ne menano: l'una è la virtù sieno le vertù morali, di cui si parla: vita attiva, e l'altra la contemplativa, la quae ciò si manifesta quando dice: Quest'è, sc- le (avvegnachè per l'attiva si pervegna, come condochè l' Elica dice. Dov'è da sapere che detto è, a buona felicità) ne mena a ottima propiissimi nostri frutti sono morali vertù (1); felicità e beatitudine, secondochè prova il Fiperocchè da ogni canto sono in nostra podestá, losofo nel decimo dell'Etica: e Cristo l'affere queste diversamente da diversi Filosofi sono ma colla sua bocca nel Vangelo di Luca, pardistinte e numerate. Ma, perocchè in quella lando a Marta, e rispondendo a quella: « Marparte, dove aperse la bocca la divina senten-» ta, Marta, sollecita se', e turbiti intorno a zia d'Aristotile, da lasciare mi pare ogni al-» molte cose: certamente una cosa è necestrui sentenzia, volendo dire quali queste sono, brievemente, secondo la sua sentenzia trapasserò (2) di quelle ragionando. Queste sono undici vertù dal detto Filosofo nomate. La prima si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l'audacia e la timidità nostra nelle cose che sono correzione (3) della nostra vita. La seconda è Temperanza, ch' è regola e freno della nostra golosità e della nostra soperchievole astinenza nelle cose che conservano la nostra vita. La terza si è Li-va: ciò è manifesto a chi ben vuole por menberalità, la qual è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali. La quarta si è Magnificenza, la qual è moderatrice delle grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si è Magnanimità, la quale è moderatrice e acquistatrice de' grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d'onore, la qual è moderatrice e ordina noi agli onori di questo mondo. La settima è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li nostri mali esteriori. La ottava si è Affabilità, la quale fa noi ben convivere (4) cogli altri. La nona si è chiamata Verità, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo, e dal diminuire noi oltre che siamo in nostro sermone. La decima si è chiamata Eutrapelia, la quale modera noi nelli sollazzi, (5) facendoci quelli usare debitamente. La undecima si è Giustizia, la quale ordina uoi DANTH. Opere Minori.

» saria, » cioè quello che fai; e soggiugne: » Maria ottima parte ha eletta, la quale non »le sarà tolta. » E Maria, secondochè dinauzi è scritto a queste parole del Vangelo, a' piedi di Cristo (7) sedendo, nulla cura del ministerio della casa mostrava; ma solamente le parole del Salvatore ascoltava. Che se moralmente ciò volemo esporre, volle il nostro Signore in cio mostrare che la contemplativa vita fosse ottima, tuttochè buona fosse l'atti

te alle evangeliche parole. Potrebbe alcuno però dire, contro a me argomentando: Poichè la felicità della vita contemplativa è più eccellente che quella dell'attiva, e l'una e l'altra possa essere e sia frutto e fine di nobiltà, perchè non anzi si procedette (8) per la via delle vertù intellettuali, che delle morali? A ciò si può brevemente rispondere, che in ciascuna dottrina si vuole avere rispetto alla facultà del discente, e per quella via mɩnarlo, che più a lui sia lieve. Onde, perciocchè le vertů morali paiono essere e sieno più comuni e più sapute e più richieste che l'altre, e vedute (9) nell'aspetto di fuori, utile e convenevole fù più, per quello cammino procedere, che per l'altro; chè così bene si verrebbe alla conoscenza delle api per lo frutto della cera ragionando, come per lo frutto del mele, tutto che l'uno e l'altro da loro proceda (10).

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CAPITOLO XVIII.

maggiormente, che d'altro terzo) tutto sia per (12) supposto, cioè ordito e apparecchiato a quello che per innanzi s' intende: e cost termina questo verso e questa presente parte. CAPITOLO XIX.

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Nel precedente Capitolo è determinato (1) come ogni vertù morale viene da uno principio, cioè buona e abituale elezione; e ciò importa il testo presente, infino a quella parte che comincia: Dico che nobilitate in sua Poichè nella precedente parte sono pertratragione. In questa parte adunque si procede tate tre certe cose determinate, ch' erano per via probabile a sapere che ogni soprad-necessarie a vedere come difinire si possa detta vertů, singularmente ovver general men- questa buona cosa, di che si parla, procete presa, procede da nobiltà siccome effet-dere si conviene alla seguente parte, che coto (2) da sua cagione, e fondasi sopra una mincia: È gentilezza dovunque virtute. E proposizione filosofica, che dice che quan- questa si vuole in due parti reducere. Neldo (3) due cose si trovano convenire in una, la prima si prova certa cosa, che dinanzi è che ambo queste si deono riducere ad alcu- toccata, e lasciata non provata: nella seconno terzo, ovvero l'una all'altra, siccome effet-da, conchiudendo, si trova questa difinizioto a cagione; perocchè una cosa avuta prima ne, che cercando si va; e comincia questa e per sè (4), non può essere se non da uno: seconda parte: Dunque verrà, come dal nee se quelle non fossero ambedue effetto d'un ro il perso. Ad evidenza della prima parte terzo, ovver l'una dell'altra, ambedue avreb- da reducere a memoria è, che di sopra si bero quella cosa prima e per sè, ch'è im- dice, che se nobiltà vale e si stende più che possibile (5). Dice adunque che nobiltate e virtù, piuttosto procederà da essa (1): la virtute colale, cioè morale, convengono in qual cosa ora in questa parte prova, cioè (2), questo, che l'una e l'altra importa loda di che nobiltà più si stenda, e rende esemplo colui, di cui si dice; e (6) ciò quando dice: del Cielo, dicendo che dovunque è vertù Perchè in medesmo detto Convengono am- quivi è nobiltà. E quivi (3) si vuole sapere bedue, ch'en d'un effetto (7); cioè lodare e che (siccom' è scritto in Ragione (4), e per credere (8) pregiato colui, cui esser dicono. regola di Ragione si tiene) a (5) quelle coE poi conchiude, prendendo la vertù (9) della se che per se sono manifeste non è mestiesoprannotata proposizione, e dice che però ri di prova; e nulla n'è più manifesta, che conviene l'una procedere dall'altra, ovvero nobiltà essere dov'è vertù; e (6) ciascuna ambe da un terzo; e soggiugne che piuttosto cosa volgarmente vedemo in sua natura (7) è da presumere l'una venire dall'altra (10), nobile essere chiamata. Dice adunque: Sicche ambe da un terzo, s'egli appare che l'u-com' è'l Cielo dovunque la Stellà (8); e na vaglia quanto l'altra, e più ancora; e ciò non è questo vero e converso (9), che dodice: Ma se l'una val ciò che l'altra va- vunque è Cielo sia la Stella; così è nobille. (11) Ov'è da sapere che qui non si pro- tate dovunque vertù; e non vertù dovunque cede per necessaria dimostrazione ( siccome nobiltà (10). E con bello e convenevole esarebbe a dire se il freddo è generativo del-semplo. Chè veramente (11) è Cielo nel qual'acqua, se noi vedemo i nuvoli), bensì per le molte e diverse stelle rilucono; riluce (12) bella e convenevole induzione, che se in noi in essa le intellettuali e le morali vertù; risono più cose laudabili, e in noi è il princi- luce in essa le buone disposizioni da natura pio delle nostre lode, ragionevole è queste date, cioè pietà e religione; le laudabili à questo principio reducere: chè quello che passioni, cioè vergogna e misericordia e alcomprende più cose, più ragionevolmente si tre molte; riluce in essa le corporali bondee dire principio di quelle, che quelle prin- tadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua cipio di lui: che come lo piè dell'albero, che valitudine e tante sono le stelle che (13) tutti gli altri rami comprende, si dee prin- nel suo Cielo si stendono, che certo non cipio dire e cagione di quelli, e non quelli da maravigliare se molti e diversi frutti fandi lui; così nobiltà, che comprende ogni vir- no nella umana nobiltà (14), tante sono le tù (siccome cagione effetto comprende) e nature e le potenzie di quelle, in una sotto molte altre nostre operazioni laudabili, si dee una semplice sustanza comprese e adunate, avere per tale, che la vertù sia da redurre nelle quali (15) siccome in diversi rami frutad essa, prima che ad altro terzo che in noi tifica diversamente. Certo daddovero ardisco sia. Ultimamente dice che quello ch'è detto a dire che la nobiltà umana, quando è dalla (cioè: che ogni vertù morale venga da una parte di molti suoi frutti, quella dell' Angeradice: o che vertù cotale e nobiltà conven- lo soperchia, tuttochè l' angelica in sua (16) gano in una cosa, com'è detto di sopra; e unitade sia più divina. Di questa nobiltà noche però si convegna l'una redurre all'altra, stra, che in tanti e in tali frutti fruttificaovvero ambe a un terzo; e che se l'una vale va, s' accorse il Salmista quando fece quel quello che l'altra, e più, di quella procede Salmo che comincia: « Signore nostro Iddio,

ne,

TRATTATO IV.

sic

» quanto è ammirabile il nome tuo nell' u- contanente ragione, dicendo che quelli che >>>niversa terra ! » là dove commenda l'uo- hanno questa grazia, cioè questa divina como, quasi maravigliandosi del divino affet- sa, sono quasi come Dei, sanza macola di to (17) a essa umana creatura, dicendo: vizio: e ciò dare non può se non Iddio so» Che cosa è l'uomo, che tu Iddio lo visi-lo, appo cui non è scelta di persone, » ti? L'hai fatto poco minore che gli An- come le Divine Scritture manifestano. É non » geli, di gloria e d'onore l'hai coronato, paia troppo alto dire ad alcuno, quando si » e posto lui sopra l'opere (18) delle tue dice: Ch'elli son quasi Dei; chè, siccome » mani. » Veramente dunque bella e conve- di sopra nel settimo Capitolo del terzo Tratnevole comparazione fu del Cielo alla uma- tato si ragiona, così come uomini sono vilis na nobiltà Poi quando dice: E noi in don- simi e bestiali, così uomini sono nobilissimi ed in età novella, prova ciò che dico; e divini. E ciò prova Aristotile nel settimo mostrando che la nobiltà si stenda in parte dell' Etica per lo testo d' Omero (4) poeta ; dove vertù non sia; e dice: (19) noi Ve- sicchè non dica (5) quelli degli Uberti di dem questa sulute; tocca nobiltade (che be- Firenze (6), nè quelli de' Vesconti di Mila¬ ne è (20) vera salute) essere dov'è vergo- no: « Perch' io sono di cotale schiatta, io sogna, cioè tema di disonoranza, siccome è »> no nobile; » chè il divino seme non cade nelle donne e nelli giovani, dove la vergo-in ischiatta, cioè in istirpe, ma cade nelle gna è buona laudabile la qual vergogna singulari persone (7): e, siccome di sotto si non è vertù, ma certa passion buona. E di proverà, la stirpe non fa le singulari persoce: E noi in donne, ed in età novella, cioè ne nobili, ma le singulari persone fanno noin giovani; perocchè, secondochè vuole il Fi-bile la stirpe. Poi quando dice: Chè solo Idlosofo nel quarto dell' Etica, vergogna non dio all'anima la dona; ragione è (8) del è laudabile, nè sta bene ne' vecchi, nè ne- suscettivo, cioè del suggetto dove questo digli uomini studiosi; perocchè a loro si con- vino dono discende, ch'è bene divino dono, viene di guardare da quelle cose che a ver- secondo la parola dell' Apostolo: « Ogni otgogna gli inducono. Alli giovani, nè alle don-» timo dato, e ogni dono perfetto di suso viene non è tanto richiesto (21) (dico tale riguardo); e però in loro è laudabile la paura del disonore ricevere per la colpa: che da nobiltà viene: e nobiltà si può credere il loro (22) timore, e chiamare, siccome viltà e innobiltà (23) la sfacciatezza; onde buono e ottimo segno di nobiltà è nelli pargoli e imperfetti d'etade, quando, dopo il fallo, nel viso loro vergogna si dipinge, ch'è allora frutto di vera nobiltà.

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CAPITOLO XX.

» ne, discendendo dal Padre de' lumi » Dice adunque che Iddio solo porge questa grazia all'anima di quelli, cui vede stare perfettamente nella sua persona acconcio e disposto a questo divino atto ricevere; chè secondochè dice il Filosofo nel secondo dell'Anima, le cose convengono essere disposte alli loro agenti, e ricevere li loro atti; onde se l'anima è imperfettamente posta, non è disposta a ricevere questa benedetta e divina infusione; siccome se una pietra margarita (9) è male disposta, ovvero imperfetta, la virtú celestiale ricevere non può, siccome Quando appresso seguita: Dunque verrà. disse quel nobile Guido Guinizzelli (10) in come dal nero il perso, procedere il testo una sua Canzone che comincia: Al cor genalla difinizione di nobiltà, la quale si cerca; til ripara sempre Amore. Puote adunque e per la quale si potrà vedere che è que-l'anima stare non bene nella persona per sta nobiltà, di che tanta gente erroneamen- manco di complessione, e forse per manco te parla. Dice adunque, conchiudendo da di temporale (11): e in questa cotale questo quello che dinanzi detto è, dunque ogni ver- raggio divino mai non risplende. E possono tute, ovvero il gener lor, cioè l'abito elet-dire questi cotali, la cui anima è privata di tivo consistente nel mezzo, verrà da questa, questo lume, che essi sieno siccome valli cioè nobiltà. E rende esemplo nei colori, di- volte ad Aquilone, ovvero spelonche sottercendo; siccome il perso dal nero discende; ranee, dove la luce del Sole mai non dicosì questa, cioè vertù, discende da nobiltà. scende se non ripercossa da altra parte da Il perso è un colore misto di purpureo e di quella illuminata. Ultimamente conchiude, e nero, ma vince il nero, e da lui si denomi- dice che per quello che dinanzi è detto, cioè na: è così la vertù è una cosa mista di no- che le vertù sono frutto di nobiltà, e che Idbiltà e di passione; ma perchè la nobiltà dio questa metta nell' anima che ben siede, vince quella, e (1) la vertù denominata da che ad alquanti, cioè a quelli che hanno inessa è appellata bontà. Poi appresso argo- telletto, che son pochi, è manifesto che nomenta per quello che detto è, che nessuno biltà umana non sia altro, che seme di feper poter dire: Io sono di cotale schiatta; licità Messo da Dio nell'anima ben posta, non dee credere essere con essa (2), se que- cioè lo cui corpo è d'ogni parte disposto sti frutti non sono in lui (3). E rende in- perfettamente. Che se le vertù sono frutto

di nobiltà, e felicità è dolcezza compara-ma Intelligenzia. Non si maravigli alcuno, ta (12), manifesto è essa nobiltà essere se- s'io parlo si, che pare forte (8) a intendemente di felicità, come detto è. E se ben si re; chè a me medesimo pare maraviglia, coguarda, questa difinizione tutte e quattro le me cotale produzione si può pur conchiuderagioni (13), cioè materiale, formale, efficien- re (9) e collo intelletto vedere: non è cosa te e finale, comprende: materiale, in quan- da manifestare a lingua, lingua dico veramento dice: nell' anima ben posta; che è (14) te (10) volgare; per che io voglio dire comateria e suggetto di nobiltà: formale (15), me l' Apostolo: «O altezza delle divizie delin quanto dice: Ch'è seme: efficiente, in » la sapienzia di Dio, come sono incomprenquanto dice: Messo da Dio nell' anima: fi- » sibili i tuoi giudizii, e investigabili le tue nale, in quanto dice: di felicità. E così è» vie! » E perocchè la complessione del sedifinita questa nostra bontà, la quale in noi similemente discende da somma e spirituale vertù (16), come vertute in pietra da corpo nobilissimo celestiale.

CAPITOLO XXI.

Acciocchè più perfettamente s' abbia conoscenza dell' umana bontà, secondochè è in noi principio di tutto bene, la quale nobiltà si chiama, da chiarire è in questo speziale Capitolo come questa bontà discende in noi: e prima per modo naturale, e poi per modo teologico, cioè divino e spirituale. In prima è da sapere che l'uomo è composto d'aHima e di corpo; ma dell' anima è quella (1), siccome detto è, che è a guisa di semente della vertù divina. Veramente per diversi filosofi della differenza delle nostre anime fu diversamente ragionato; chè Avicenna e Algazel (2) vollero che esse da loro e per loro principio fossero nobili e vili. Plato e altri vollero che esse procedessero dalle stelle, e fossero nobili e più e meno, secondo la nobiltà della stella. Pittagora volle che tutte fossero d'una nobiltà, non solamente le umane, ma colle umane quelle degli animali bruti, e le piante (3) e le forme delle miniere e disse che tutte le differenze delle corpora (4) e forme, se ciascuno fosse a difendere la sua opinione, potrebbe essere che la verità (5) si vedrebbe essere in tutte. Ma perocchè nella prima faccia paiono un poco lontane dal vero, non secondo quelle procedere si conviene, ma secondo l'opinione d'Aristotile e delli Peripatetici. E però dico (6) che quando l'umano seme cade nel suo recettacolo, cioè nella matrice, esso porta seco la vertù dell' anima generativa, e la vertù del Cielo e la vertù degli elementi legata (7) (cioè la complessione) matura e dispone la materia alla vertù formativa, la quale diede l'anima generante; e la vertù formativa prepara gli organi alla vertù celestiale, che produce della potenzia del seme l'anima in vita; la quale incoutanente produtta, riceve dalla vertù del motore del Cielo lo intelletto possibile; il quale potenzialmente in sè adduce tutte le forme universali; secondochè sono nel suo produttore, e tanto meno quanto più è dilungato dalla pri

me può essere migliore e men buona; e la disposizione del seminante (11) può essere migliore e men buona; e la disposizione del Cielo a questo effetto puote essere buona e migliore e ottima, la quale si varia le costellazioni, che continuamente si trasmutano, incontra che dell' umano seme e di queste vertù più pura (12) anima si produce; e secondo la sua purità discende in essa la vertù intellettuale possibile, che detta è, e come detto è. E s'elli avviene che per la purità dell' anima ricevere, la intellettuale vertù sia bene astretta, e assoluta da ogni ombra corporea (13), la divina bontà in lei multiplica, siccome in cosa sufficiente a ricevere quella e quindi si multiplica nell' anima (14) questa intelligenzia, secondochè ricever può: e questo è quel seme di felicità, del quale (15) al presente si parla (16). É ciò è concordevole alla sentenzia di Tullio in quello di Senettute, che parlando in persona di Catone, dice: « Imperciò celestiale

anima discese in noi (17), dell' altissimo » abitacolo venuta in loco, lo quale alla di» vina natura e alla eternitade è contrario.»> E in questa cotale anima è la vertù sua propria, e la intellettuale, e la divina; cioè quella influenza, che detto è; però è scritto nel libro delle Cagioni: « Ogni anima nobile » ha tre operazioni, cioè animale, intellet» tuale e divina. » E sono alcuni di tali opioni, che dicono, se tutte le precedenti vertù (18) s'accordassero sopra la produzione d'una anima nella loro ottima disposizione, che tanto discenderebbe in quella della deità, che quasi sarebbe un altro Iddio incarnato: e quasi questo è tutto ciò che per via naturale dicere si può. Per via teologica si può dire, che poichè la somma deità, cioè Iddio, vede apparecchiata la sua creatura a ricevere del suo beneficio, tanto largamente in quella ne mette, quanto apparecchiata è a ricevere. E perocchè da ineffabile carità vengono questi doni, e la divina carità sia appropiata allo Spirito Santo, quindi è che chiamati sono Doni di Spirito Santo, li quali, secondochè li distingue Isaia profeta, sono sette, cioè: Sapienzia, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timor di Dio. Oh buone biade! e buona e mirabile sementa! e oh ammirabile e benigno seminatore,

ha similitudine. E questo appare che ogni animale, siccome ello è nato, sì razionale come bruto, sè medesimo ama e teme e fugge quelle cose che a lui sono contrarie, e quelle odia, procedendo poi siccome detto è. E comincia una dissimilitudine tra loro nel procedere di questo appetito, che l'uno tiene un cammino, e l'altro un altro; siccome dice l' Apostolo: « Molti corrono al pa

che non attendi se non che la natura uma- esso, siccome l'erba nata (9) di diversi biana t'apparecchi (19) la terra a seminare! di (10), quasi si somiglia: e non pur ne oh beati quelli che tal sementa coltivano co-biadi (11), ma negli uomini e nelle bestie me si conviene (20)! Ov'è da sapere che'l primo e più nobile rampollo che germogli di questo seme per essere fruttifero, si è l'appetito dell' animo, il quale in Greco è chiamato hormen: e se questo non è bene (21) culto e sostenuto diritto per buona consuetudine, poco vale la sementa, e meglio sarebbe non essere seminato. E però vuole santo Agustino, e ancora Aristotile nel secondo dell' Etica, che l'uomo s'ausi a ben» lio, ma uno è quello che 'l prende (12).» fare e a rifrenare le sue passioni, acciocchè questo tallo, che detto è, per buona consuetudine induri, e rifermisi (22) nella sua rettitudine, sicchè possa fruttificare, e del suo frutto uscire la dolcezza della umana felicità.

CAPITOLO XXII.

Così questi umani appetiti per diversi calli dal principio se ne vanno, e uno solo calle è quello che noi mena alla nostra pace; e però, lasciando stare tutti gli altri, col trattato è da tenere dietro a quello che bene comincia. Dico adunque che (13) dal principio sè stesso ama avvegnachè indistintamente; poi viene distinguendo quelle cose che a lui sono più amabili e meno 2 e più odiComandamento è delli morali filosofi, che bili; e seguita e fugge, e più e meno, sede' beneficii hanno parlato, che l'uomo dee condochè la conoscenza distingue, non solamettere ingegno e sollicitudine in porgere i mente nell' altre cose, che secondariamente suoi beneficii, quanto puote più, al ricevi- ama, ma eziandio distingue in sè, che ama tore (1); ond' io volendo a cotale imperio es- principalmente, e conoscendo in sè diverse sere obbediente, intendo questo mio Convi- parti, quelle che in lui sono più nobili, più to per ciascuna delle sue parti rendere uti-ama (14). E conciossiacosachè più parte delle, quanto più mi sarà possibile. E peroc-l'uomo sia l'animo, che 'l corpo, quello più chè in questa parte occorre a me di potere ama e così amando sè principalmente, e alquanto ragionare della dolcezza dell'uma- per sè l'altre cose, e amando di sè la mina felicità (2), intendo che più utile ragio-glior parte, più (15) manifesto è che più anamento fare non si può a coloro che non ma l'animo, che 'l corpo o altra cosa: il la conoscono; chè, siccome dice il Filosofo quale animo naturalmente più che altra conel primo dell' Etica, e Tullio in quello del sa dee amare. Dunque se la mente si diletFine de' Beni (3), male tragge al segno quel-ta (16) sempre nell'uso della cosa amata, lo che nol vede; e così mal può ire a que- ch'è frutto d'amore in quella cosa, ché sta dolcezza chi prima non l'avvisa. Onde massimamente è amata, è l'uso massimaconciossiacosachè essa sia finale nostro ri- mente dilettoso: l'uso del nostro animo è poso, per lo quale noi vivemo e operiamo massimamente dilettoso a noi, e quello ch'è ciò che facemo, utilissimo e necessario è massimamente dilettoso a noi, quello è noquesto segno vedere, per dirizzare a quello stra felicità e nostra beatitudine (17), oltre l'arco della nostra operazione e massima- la quale nullo diletto è maggiore, ne nullo mente è da gridare a coloro che non volgo-altro pare (18), siccome veder si può, no l'Etica (4). Lasciando dunque stare l'o- ben riguarda la precedente ragione. E non pinione che di quello ebbe Epicuro filosofo, dicesse alcuno, che ogni appetito sia anie che (5) di quello ebbe Zenone, venire in- mo (19); chè qui s'intende animo solamente tendo sommariamente alla verace opinione quello che spetta alla parte razionale, cioè d'Aristotile e degli altri Peripatetici. Sicco- la volontà e lo intelletto; sicchè se volesse me detto è di sopra, della divina bontà in chiamare animo l'appetito sensitivo, qui non noi seminata e infusa dal principio della no- ha luogo, nè stanza (20) può avere; chè stra generazione nasce un rampollo, che gli nullo dubita che l'appetito razionale non sia Greci chiamano hormen, cioè, appetito d'a- più nobile che 'l sensuale, e però più amanimo naturale (6). E siccome nelle biade, bile; e così è questo di che ora si parla. che quando nascono dal principio hanno Veramente l'uso del nostro animo è dopquasi una similitudine, nell'erba essendo, e pio, cioè pratico e speculativo (pratico è poi si vengono per processo (7) di tempo dis- tanto, quanto operativo), l'uno è (21) l'alsimigliando; così questo naturale appetito tro dilettosissimo; avvegnachè quello del che dalla (8) divina grazia surge, nel prin- contemplare sia più, siccome di sopra è narcipio quasi si mostra non dissimile a quello rato. Quello del pratico si è operare per noi che pur da natura nudamente viene; ma con 'vertuosamente, cioè onestamente, con pru

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