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altra è manifesta corruzione di allora, e basta il notare che Dante ripiglia subito: Onde allora lo circolo si può dicerc perfetto, ecc. E. M.

(19) Tutti i testi hanno laguna della condizionale se. E. M.

sta emendazione, e dell'altra qui sopra, il discorso è scompigliato e privo di senso. E.M.

(21) chiamare, e a trovare, leggono tutti i testi malamente, perchè l'Autore ha di gia detto chiaramente di sopra: l'altra (cosa) è per che via sia da camminare a cercare la prenominata difinizione. V. Dionisi, Anedd. V. pag. 157. E. M.

di essere conosciute, che l'altre: non già, com'egli intende e ragiona ex adverso, che per ciò solo che sia una cosa più nota, essa debba dirsi perfetta. E si avverta che, nobile, quando è detto di prosapia, sempre vien preso in buona parte; e che quando vien applicato ad altri soggetti, i Latini lo inten- (20) e quello che ha figura, così la vuldono tanto in bene, che in male. Così leg- gata lezione. Noi correggiamo nè quello ecc. giamo in Cicerone per riportare un qual-col. cod. Vat. 4778, perchè senza di queche esempio tra gli infiniti), De Inv. lib. 2. c. 2: Magnus et nobilis rhetor Isocrates; ed in Orazio, lib. 1. Od. 12. Puerosque Ledae, Hunc equis, illum superare pugnis Nobilem; e leggiamo ancora in Tito Livio, lib. 39. c. 8: Scortum nobile libertina Hi spala Fecenia; ed in Ovidio, Amor. lib. 2. el. 18: Ei Paris est illic, et adultera, nobile crimen. Del resto sembra che Dante confutar voglia Uguccione, il quale nel suo Liber Derivationum, sotto il verbo Nosco, scrive: «Item a Noto, as, Notorius, a, um, » quod debet notari, vel reprehendi, et No» tabilis, le, Notabiliter: et a Notabilis per >> sincopem hic et hoc Nobilis, le, et hic et » haec Notabilis, lis, quasi Notabilis, quia » facile notatur; scilicet cum nomen et ge>>nus cognoscitur: quod autem dicitur No» bilis, quasi non vilis, etheria est. » Noi dobbiamo questo passo all'erudizione del già lodato ch. sig. ab. Mazzucchelli, Prefetto dell'Ambrosiana. E. M.

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...vedi Asdente,

» Ch'avere atteso al cuoio ed allo spago » Ora vorrebbe; ma tardi si pente. E.M. (16) » E Guido da Castel, che me' si noma >> Francescamente il semplice Lombar

Purg. C. 16, v. 125. E. M. (do. Così dice di questo l'Autore del comento ottimo, sotto il v. 125. c. 16. del Purgatorio. «Mr. Guido da Castello da Reggio studiò in onorare li valentuomini, e molti ne rimise in cavalli ed armi, che di Francia erano passati di qua; onorevolmente consumate loro facultadi, tornavano meno ad arnesi, ch' a loro non si convenia, a tutti diede, senza speranza di merito, cavalli, arme, danari. » P.

(17) La parola cosa manca in tutte le stampe antiche e moderne, e viene supplita col cod. Barb., col secondo Marciano, e co'Gaddiani 134 e 135 secondo. E. M.

(18) e altra è massimamente perfetta, secondo sua natura, leggono tutti i testi; ma

(22) Dante ha detto or ora che l'ottima perfezione degli uomini non si può definire per li principii essenziali, cioè, come dicono i logici a priori, che si potrebbe giusto tradurre nella frase per lo diritto cammino; ma che conviensi quella definire per li suoi effetti, cioè a posteriori quasi all'indietro. E di fatto l'A. poi si serve unicamente del ragionamento a posteriori. Dunque non è possibile ch'egli venga qui a dire come questa definizione che cercando si va è da vedere per lo diritto cammino e per li frutti ecc., perocchè sarebbe in contraddizione. A togliere questo sconcio basta levare l'E che è dopo il verbo va, a cui fu sicuramente affissa per quel vezzo fiorentino di compiere con essa vocale le parole terminate coll'accento grave. Allora il passo si ordina e si comenta giustissimamente così: E per lo diritto cammino, cioè direttamente, questa definizione che si va cercando, è da vedere per li frutti ecc. P.

CAPITOLO XVII.

(1) Vedi questa dottrina più amplamente spiegata al cap. IX. P.

(2) Passerò innanzi. P.

rebbe che in luogo di correzione si ponesse (3) Il Dionisi (Anedd. II. pag. 99.) vorcorruzione. Chi ama di tener buona la sua emendazione può farle appoggio del cod. secondo Marc., il quale ha: che sono choructione ecc. E. M.

Essendo ufficio proprio della virtù moderare quelle cose che corrompono la nostra vita, professso, con l'ossequio dovuto, che quanto a me non saprei come abbandonare l'autorità del codice Marciano e di mons. Dionisi, pei quali si vuol leggere corruzione. SCOLARI.

Io pure tengo per la lettera corruzione, intendendo essa voce al modo dantesco per disfacimento; perciocchè così fatta appunto non può non essere la condizione di quelle cose, le quali sono propria materia della for

tezza. Laddove chi volesse meglio la voce correzione, potrebbe forse esser condotto in un gravissimo assurdo, cioè, che quando l'uomo fosse venuto di virtù affatto compiuta, siccome non gli resterebbe più parte nessuna capace di correzione, allora cadrebbe nella impossibilità d'essere forte in atto. P. (4) La vulgata lezione è: convenire cogli allri. Noi adottiamo quella del cod. Barb. e del Gadd. 135 secondo. E. M.

(5) I mss. e le stampe sono generalmente corrotti in questo luogo, leggendo: la quale modera noi nelli sollazzi facendo, quelli usando debitamente. Il solo cod. 135 primo Gadd. ha: facendoci quello usare debitamente; lezione nella quale non rimane che di rettificare, per la buona costruzione, quello in quelli; se pure non vogliasi prendere quello in senso assoluto per quella cosa, 0 simile. E. M.

(6) In tal modo leggono assai bene il cod. Barb., il Vat. Urbinate, il secondo Marc., ed i Gadd. 134 e 135 secondo. Le stampe hanno: è operazione di virtù ecc. E. M.

(7) É degna d'essere eseguita la regola osservata dagli editori della Commedia (Padova 1822) nel c. xII. del Paradiso, dove il Nome SS. del nostro Divino Salvatore si vede stampato per intiero in caratteri maiuscoli. SCOLARI.

(8) Intendi: Perchè nel discorso della nobiltà non anzi si procedette per la via ecc. P. (9) e più richieste che l'altre, e unità nell'aspetto di fuori. Questa è la lezione inintelligibile dei testi. Nel SAGGIO, pag: 117, noi abbiamo rigettata la parola unità, e corretto: e più richieste che l'altre virtù. Ora però ne sembra di aver meglio colto nel segno, e che vedute faccia un senso naturalmente legato colle parole che seguono: nel l'aspetto di fuori. E. M.

cose ecc. Ma il queste è viziosamente introdotto, perchè la preposizione è generale. E.M. (4) Intendi, assolutamente parlando. P. (5) In questa ultima parte la proposizione filosofica, a mio giudizio, torna fallace; perciocchè potrebbero averla da altre due o da più altre cagioni e contemporaneamente, con priorità e posteriorità di tempo: e così cade la necessità del doverla avere l' una dall'altra, o tuttaddue da un terzo, e molto meno, ambedue prima e per sè. P.

(6) La vulgata lezione de' mss. e delle stampe è la seguente: e dicono quando dice. Il cod. Gadd. 135 primo: e dico ciò quando dice. La vera lezione però deve essere quella che noi abbiamo fermata nel testo, e che dal cod. Gadd. qui allegato viene chiaramente indicata. E. M.

(7) Intendi: Perchè convengono in un medesimo detto o predicato, cioè, d'essere cagioni d'un medesimo effetto. P.

(8) Questi due infiniti vogliono essere governati da un accusativo sottinteso, come il popolo, la gente o simile, intendendo: Cioè, la gente lodare e credere pregiato colui, al quale dicono essere, vale a dire, il quale eglino stimano avere quelle due cose, ciò sono, la nobiltà e la virtù. P.

(9) Gioè, valendosi della forza della soprannotata proposizione. P.

(10) l'una venire dall' altra, che ambe ecc., leggono il codice Barberino, il Gadd. 134 e le pr. edizioni. Il cod. Gadd. 135 primo: ha l'una venire dall' altra, che ambedue venire da uno terzo. Il Vat. Urb.: che ambe da terzo. Il Bisc.: l'una procedere dall'altra, ovvero ambe da terzo, malamente, se facciasi attenzione al luogo della Canzone che qui comentasi, vale a dire ai v. 18 e 19 della quinta stanza:

» Ma se l'una val ciò che l'altra vale, (10) Supplisci: Eppure si procede ordi>> Ed ancor più, da lei verrà piuttosto.E,M. nariamente per lo cammino del mele, siccome più comune, più saputo e più richie- (11) Questo passo trovasi in tutti i testi sto, che la cera. A questi nostri tempi pe- così: « Ov'è da sapere, che qui non si prorò, che lo zucchero ha come tolto il pregio» cede per necessaria dimostrazione al mele, e la cera è tanto domandata dal pu- » come sarebbe a dire, se il freddo è gelimento universale de' costumi, non si potreb-»> nerativo dell'acqua: e noi vedemo i nuvoli be più forse dire così. P.

CAPITOLO XVIII.

(1) Così il secondo cod. Marciano, il Barb., il 135 secondo Gadd. e le pr. ediz. Il Biscioni: terminato: E. M.

sic

» di sì bella e convenevole induzione, che >>se in noi sono più cose laudabili, e in » noi è il principio delle nostre lode ragio»> nevoli: e questo a questo principio redu» cere, e quello, che comprende più cose, » più ragionevolmente si dee dire principio » di quelle, che quel principio da lui; che » lo piè dell'albero, che tutti gli altri rami >> comprende, si dee principio dire, e ca» gione di quelli, e non quelli di lui: e cosi »> nobiltà comprende ogni vertù, siccome ca(3) quando due cose ecc., legge ottima-» gione effetto comprende molte altre nostre mente il cod. Gadd. 135 primo; gli altri >> operazioni laudabili, si dee avere per tale mss. e le stampe hanno: quando queste due » che la vertu sia da redurre ad essa pri

(2) effetto da sua cagione, leggono i codici Vat. Urb. e Gadd. 135 secondo, meglio che il Biscioni ed altri testi, ne' quali trovasi effetto di sua cagione. E. M.

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questo periodo, che ora si legge cosi in un tù formativa, cioè organizzante, la quale corpo, vorrebbe essere diviso in due, mettendo» diede l'anima generante », cioè la quale il punto fermo avanti le parole se ciascuno. deriva dall'anima del padre; « e la vertù forNè solo ciò; ma il primo di questi nuovi pe- » mativa prepara gli organi alla vertù celeriodi sarebbe anche bisognoso d'essere com- »stiale, che produce della potenzia del seme piuto e ridotto al suo vero e diritto senti- » l'anima in vita », cioè la quale virtù celemento. A questo oggetto io osservo primie- stiale trae in atto di vita l'anima sensitiva, ramente, che la sentenza di Pittagora sulla la quale era sì nel seme, ma solo in poteneguaglianza di nobiltà per tutte le anime e za; « la quale anima incontanente che è protutte le forme, non si trova, ch'io m'abbia >> dutta, riceve dalla vertù del motore del veduto, espresso in nessuno de' suoi biografi,» Cielo lo intelletto possibile», cioè riceve e neppure in Diogene Laerzio, del quale ri- dalla virtù dell'Intelligenza motrice del cielo portò il ch. Mazzucchelli alcuni testimonii nel- dominante, la potenza intellettiva, la quale fu Ï'Appendice, che, sia detto per semplice ve- dagli Scolastici detta « possibile o passibile rità, non fanno quasi niente a questo propo- » intelletto; il quale possibile intelletto posito: ma egli è mestiero trarla come una le- » tenzialmente in sè adduce tutte le forme unigittima e spontanea conseguenza del suo si- » versali, secondochè sono nel suo produtstema. Tenne adunque Pittagora, come ab- » tore », cioè nell'Intelligenza motrice, e tanbiamo da Cicerone, S. Giustino martire, e Cle- to meno quanto più esso produttore è dilunmente Alessandrino presso il Brukero (Hist. gato dalla prima Intelligenza, che è Dio; Philos. par.. lib.1.c.x.), che Iddio sia nel chè questa è appunto la misura della potenmondo la vita e il movimento d'ogni cosa: Esso za nelle menti delle Intelligenze, dico, la più l'anima degli esseri animati, ne'quali Pittagora o meno vicinanza al sommo Vero. pose anche le piante: Esso la forma degl'informati; ossia che lo faccia immediatamente, o mediante l'azione di quegli enti intelligibili, eterne emanazioni di Dio stesso; i quali forse non furono che modi e qualità concepute di quella sua divina Attualità. Dunque per quanta sia la differenza che ne' corpi è indotta (7) legati, pr. ed. Ecco come questo pasdalla diversa capacità ed attitudine della ma- so leggevasi corrotto in tutti i testi: «<e la teria, torna sempre vero che le anime e le » vertù degli elementi legata, cioè la comforme sono di una nobiltà, perocchè tutte plessione matura: e dispone la materia alla egualmente sono lo stesso Iddio. Posto que-» virtù formativa, la quale diede l'anima gesto, egli mi sembra facile da vedere che la » nerante alla vertù formativa: prepara gli lezione che è riferita nella nota 3. facc. ind.» organi» ecc. Il cod. Barb. ed il Vat. Urb. sia preferibile alla volgata: oltracciò, che l'ul- ove qui si legge: alla vertà formativa: pretimo inciso vada emendato leggendo a que-para ecc., hanno rettamente: e la vertu forsto modo: E disse che tutte le differenze so- mativa prepara ecc. Il lettore potrà risconno delle corpora e non delle forme. L'altro trare questo luogo con quello del Purgatoperiodo poi andrebbe comentato così: Se cia- rio, C. 25. v. 37-60: scuno (de' suddetti Filosofi ) fosse a difendere la sua opinione, potrebbe essere che la verità ecc. P.

(6) Qui fu la prima volta che il mirabile ingegno dell' Allighieri si pose ad ispiegare il secretissimo mistero della umana generazione. Ancora poi vi tornò al canto xxv. del Purg., e tenne più ristretta la considerazione delle cagioni concorrenti, ma per ammenda toccò vie meglio del fondo; sicchè non saprei dire in quale de' due luoghi sia più bella occasione di maraviglia. Ora io intendo tutto questo luogo così. « Quando l'umano seme cade nel » suo recettacolo, cioè nella matrice,esso por» ta seco la virtù dell'anima generativa, cioè » dell'anima del Padre, e la vertù del Cielo, » cioè la virtù degli astri dominanti nel mo»mento della generazione: e la vertù degli >> elementi legata a modo e nelle condizioni di » seme (cioè la complessione) matura e dis» pone la materia, cioè il mestruo, alla vir

Vedi di questa materia l'eccellentissimo Varchi, Lez. della generaz. del corpo umano; e i dotti Comentatori al canto xxv. del Purg. nella ediz. della Commedia fatta in Padova 1822; e così gli altri bene filosofanti di mano in mano. P.

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» Sangue perfetto, che mai non si beve » Dall'assetate vene, ecc. E. M. (8) forte per difficile. PERTICARI. (9) Conchiudere col raziocinio. P. (10) Veramente, pare che qui vaglia massimamente o simile. P.

(11) Se la lezione è sana, egli mi sembra che questa clausola stia scioperata nel ragionamento; perciocchè la più o meno buona disposizione del seminante non può qui essere considerata che in rispetto al seme, del quale è detto sufficientemente nella clausola superiore. Piuttosto io crederei che s'avesse da leggere, invece di seminante, seminato, significando con questa forma, per seguitare la figura, la donna, che ha parte passiva sì, ma pure affatto essenziale nell'opera della generazione. P.

(12) Quasi dica, più e meno pura. P.
(13) Qui è veramente strano l'errore di tut-

CAPITOLO XXII.

te le stampe e del più de' codici, i quali portano: da ogni ombra porpurea. Il Gadd. 135 primo legge correttamente corporea. E. M. (14) Tutti i testi: nell'anima di questa in-clausola mi sa monca; e penso che per agtelligenzia. E. M.

(15) della quale, pr. ed. E. M.

(1) La sentenza che è portata da questa

giustarla al bisogno del discorso, andrebbe compiuta leggendo: quanto puote più utili al ricevitore. P.

(2) La lacuna di queste parole della dolcezza dell'umana felicità, le quali non si leggono in alcuno de' testi da noi veduti, è qui evidentissima; poichè senza di esse è inconcludente quella premessa: E perocchè in questa parte occorre a me di potere alquanto ragionare; e non si sa a che riferiscasi quello che vien dopo: che più utile ragionamento fare non si può a coloro che non la conoscono. Le parole supplite vengono poi chiaramente indicate dal fine dell'antecedente Capitolo. E. M.

(3) Il Biscioni malamente: di Bene del

(16) Forse che io m'inganno, o veramente questo periodo, il quale pure deve contenere l'ultimo termine del ragionamento, ha tanti guasti che non lasciano apparire la sentenza principale che lo governa. E di fatto, a fermarsi un poco sulle sue parti, che viene a dire la particella: per la purità dell'anima ricevere? Così pure astretta ed assoluta non sono termini contradditorii? E più basso, quale è questa intelligenza che si multiplica nell'anima, in conseguenza del multiplicarsi in essa la divina bontà; la quale intelligenza è pure quel seme di felicità del quale al presente si tratta? Dietro tali ragioni io muterei ricevere in ricevente;astretto in astratto (co-fine. E. M. si appunto ne' Fior. S. Franc. cap. 28: la mente sua era al tutto sciolta, e astratta dalle cose terrene); e rimetterei a suo luogo la lezione di tutti i testi, come è nella nota (14) qui sopra. Allora tutto il luogo rende una sentenza che s'accomoda perfettamente all'uopo delle cose antecedenti e delle susseguenti per questo modo. « E s'elli avviene ecc..... in lei multiplica, cioè la divina bontà multiplica in essa anima l'infusione di sè medesima, siccome in cosa sufficiente a ricevere quella, cioè quella infusione: e quindi si multiplica nell'anima di quella intelligenza, cioè nell' anima dotata di quella intelligenza astratta ed assoluta da ogni ombra corporea che è detta di sopra ( che è modo assai comune della nostra lingua determinare l'individuo, ponendo il nome del suo genere in compagnia di un predicato particolare) secondochè ricevere può, cioè a misura di tutta la sua capacità: e questo, cioè la detta infusione di bontà è quel seme ecc. P.

(17) I codici e le stampe concordemente: discese in voi. V. il SAGGIO, pag. 29, ove col passo di Cicerone è dimostrato evidentemente l'errore di questa lezione. E. M. (18) Cioè, la vertù dell' anima generante, la vertù del cielo ecc. P.

(19) I mss. e le stampe: l'apparecchi. Errata lezione. Il cod. Vat. 4778, meglio degli altri, ha: la natura umana apparecchi ecc., senza il pronome . E. M.

(20) si richiede pr. ed. E. M. (21) Tutti i testi leggono con certissimo errore: buono culto. E. M.

(22) Nel SAGGIO (p. 37) si è di già dimostrato non potersi reggere la vulgata lezione: rifrenisi nella sua rettitudine; chè alla virtù non si mette, siccome ai vizii, la briglia, nè alcuna cosa partorisce frutto, quando la sua attività viene soffocata e repressa. E. M. DANTE. Opere Minori.

(4) Questo passo leggevasi così alterato in tutti i testi: e massimamente è da gridare quelli, che a coloro, che non vogliono, la dica. Noi crediamo di averlo ridotto a ragionevole lezione, secondo la quale il senso si è: « e questa dottrina dell' utilità >> e necessità di ben conoscere lo scopo del>> le nostre operazioni per poterci dirizzare » al medesimo, è da gridare, cioè da inse>> gnare, particolarmente a coloro che non » volgono, ossia non leggono, l'Etica d'A» ristotile, e però non possono da essa im» pararla.» Nulla diremo dell'aver noi espun. te le due parole supervacanee quelli che; ma quanto al cangiamento di quest' altra, non vogliono la dica, è da notare che monsig. Dionisi in uno de' suoi Aneddoti avea fatto osservare che dica qui non va considerato verbo, ma sustantivo preso dal latino, e che significa domanda in giudizio. Come però questo significato si accomodi al luogo presente egli nol cerca, e forse non si potrebbe trovare. Rimessa quindi nella sua più naturale giacitura la metatesi vogliono dal v. Vogliere per Volgere, che è ortografia (dice il Mastrofini, Teoria e Prospetto de' Verbi italiani, pag. 676) rara pur fra gli antichi, e che ha finito con essi, ma di cui il Tasso fa uso nel derivativo Ravvolgere Amint. A. II, Sc. I. in fine: chè, s' io posso Questa mano ravvoglierle nel crine; rimessa nella sua naturale giacitura questa metatesi, noi teniamo per fermo che la dica sia corruzione di l'etica. Il lettore non dovrebbe farsi meraviglia di questo strafalcione de' copisti, avvezzi a travedere con tanta facilità nei mss., dappoichè più altri di simil natura n'abbiamo corretti nel corso di quest' opera col riscontro de'codici.-Il Gaddiano 135 secondo ed il Vat. Urb. hanno gradire in vece di gridare; e questa variante

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s'accorda anch'essa ottimamente col senso stante la presente condizione della puntatuda noi spiegato. E. M. ra, ed in parte, della lettera ancora, pare

(5) Tutti i testi: e di quello ch' ebbe ecc.egli non difficile, od anche solo possibile a

E. M.

(6) Quasi dica, un affetto naturale dell'a

nimo. P.

formarsi nella mente un concetto chiaro e risoluto della dottrina dell'Allighieri? A me no per certo; ma credo anzi necessario aggiungere dopo la parola amore un' E copula, che forse fu confusa appunto nell' E la (8) In tal modo il cod. Vat. 4778 emen-quale compie la detta parola; e poi che tutte da l'errore degli altri testi: la divina gra- | le parole: se la mente si diletta ecc... maszia. E. M.

(7) Così le pr. ediz.; quella del Biscioni: per processo dissomigliando. E. M.

(9) Adottiamo la bella variante del cod. Vat. Urb. La volgata lezione era: siccome l'erbata, quasi di diversi biadi si somiglia; e sulla parola erbata colla sua solita perspicacia il Perticari aveva fatta la seguente postilla: «Voce sospetta e di cui non è altro esempio. » E. M.

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(10) di diverse biade, pr. ed. E. M.

(11) Le stampe d'accordo co' mss. e non pur gli uomini, ma negli uomini e nelle bestie ecc. L'errore però è corretto nel secondo cod. Marc. sopra le parole gli uomini.

E. M.

simamente dilettoso, siccome interposte ad ufficio di portare due assiomi che sono mezzi necessarii a pervenire alla conclusione, sieno legate per guisa tra di loro, che si vegga come l'avverbio Dunque spetta in qualità di capo alla clausola l'uso del nostro animo ecc. Io dico insomma necessario leggere ed intendere come segue. « Dunque, se la men» te, quasi dica, poichè la mente, si diletta » sempre nell'uso della cosa amata, ch'è » frutto d'amore, cioè, il qual diletto è frut»to d'amore, e in quella cosa, che massi» mamente è amata, è l'uso massimamente » dilettoso, dunque l'uso del nostro animo,

Al tutto mi pare che sia da riporre nel» il quale com'è veduto, amiamo massimatesto la lezione comune, solo mutando gli in» mente, è massimamente dilettoso a noi; negli avanti la voce uomini la prima volta.» e quello ecc. P. Conciossiachè il discorso di Dante è sempli- (18) Pari. P.

cemente questo, cioè, che l'istinto, diremo, (19) Nota, che qui e ne' due luoghi sedivino e l'istinto puro naturale, in sul prin- guenti l' A. usò appetito, cioè il nome della cipio paiono tutt' uno; in quel modo che l'er-passione pel nome del suggetto; quasi come ba nata di diversi biadi in principio si somi- se avesse detto: ogni animo sia animo. glia. E che non solo negli uomini avviene L' intenzione poi del discorso è prevenire la che l'istinto divino trovi una similitudine di sè, ma anche nelle bestie. Indi colle parole E questo appare seguita a descrivere quell'istinto che anche negli animali è ne' principii somigliante col divino. Posto ciò, può ciascuno vedere se farebbe servigio a lasciare nel testo la postilla del cod. Marc. P.

(12) Queste parole dell' Apostolo sono introdotte a dichiarare per via di similitudine la cosa che si dice nella clausola seguente; dunque elle vorrebbero essere spiccate dalla clausola superiore, segnando punto fermo innanzi la voce siccome, e mezzo punto dopo la voce prende. P.

(13) Che questo appetito germinato in noi dalla bontà divina. P.

(14) Tutti i mss. e le stampe: più ama quelle. Sembrandoci però viziosa la ripetizione di quelle, la giudichiamo aggiunta degli amanuensi. E. M.

(15) Serivasi punteggiando, come mi pare domandato apertamente dalla sentenza: e amando di sè la miglior parte più, manifesto

è ecc. P.

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malizia di chi volesse dedurre dall' ultima conclusione, che siccome ogni animo è animo, così l'uso di ogni animo debba essere egualmente dilettoso, cioè, che nell'uso di ogni animo sia egualmente la nostra felicità. A che risponde in sentenza così: Sia pure animo ogni animo; pure l'animo razionale è più nobile di tutti, e però è più amato; e però nel suo uso è massimamente dilettoso, cioè pieno di felicità e beatitudine, e di ciò solo cerca il ragionamento. P.

(20) stanza legge il codice Gadd. 135 primo; istanza gli altri codici e le stampe: adottiamo la lezione stanza, che non lascia luogo ad equivoci. E. M.

(21) La volgata lezione è: l' uno è dell' altro ditettissimo. Ma la nostra correzione ha per base la proposizione che Dante ha stabilita di sopra: «l'uso del nostro animo è massimamente dilettoso a noi, quello è nostra felicità ecc. » V. il SAGGIO, pag. 150. E. M.

(22) I codici e le stampe hanno: e questo è uno, e quell' altro è nostra beatitudine. (16) Erroneamente leggesi in tutti i codici Guasta lezione, che potrebbe anche emened in tutte le stampe: si dilata. E. M. darsi: e quest' uno e quell' altro ecc.; e do(17) Qui siamo già, siccome è manifesto,vrebbesi intendere: e l'uno e l' altro. E. M. al termine del discorso posto ad insegnare (23) Dopo questa voce appare io segnerei dove stia la dolcezza dell' umana felicità. Ma punto fermo, perciocchè quindi il discorso

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