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e veramente Dantesche si troveranno, fra le] un argomento per l' Amadi a rendere alquan

altre, le seguenti:

Ma come fior di fronda

Così della mia mente tien la cima;

(Nel Convito con altra consimile metafora dis-
se, che il pensiero di Beatrice tenea la roc-
ca della sua mente).

Cotanto del mio mal par che si prezzi
Quanto legno di mar che non leva onda;

Ahi angosciosa e dispietata lima,
Che sordamente la mia vita scemi,
Perchè non ti ritemi
Rodermi così il core? ec.

to probabile la di lui opinione, dovrà pure
esserlo il riscontrarsi in questa, sebbene una
volta soltanto, al secondo verso cioè della
Stanza I:

Così nel mio parlar voglio esser aspro,
Come è negli atti questa bella Pietra.
Di più aggiungerò, che l' istessa ragione mi-
lita altresì per le tre Sestine:

Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra,
Amor mi mena tal fiata all'ombra;
Gran nobiltà mi par vedere all' ombra.
In queste tre Sestine parla il poeta della pas-
sione ch' ei nutre per una nuova donna, delle
sue speranze, e della sua perseveranza in a-
mar colei che pur gli si dimostra qual dura
Pietra. Quindi nella Canzone, che dall' Ama-
di si vuole scritta per la Scrovigni, si lagna
della noncuranza di questa donna medesima,
e prega Amore che voglia ammollirne la du-
rezza. Finalmente scorgendo ogni sua pre-
mura, ogni sua preghiera riuscire infruttuo-
sa, va nella presente Canzone cercando di
trar vendetta di questa donna, bella sì, ma
fatta per lui pietra insensibile. Siam costretti
dunque a congetturare che la Canzone Così
nel mio parlar sia scritta posteriormente alle
tre citate Sestine, più ancora che all' altra
Canzone Amor tu vedi ben. Ma le congettu-
te spogliate e di fatti sicuri e di dati posi-
tivi possono valere a poco.

In questa Canzone vuol riprender Dante la rigidezza della sua amata. Ma questa amata sarà ella la Filosofia, o piuttosto Beatrice, ovvero un' altra donna qualunque? Se fosse la Filosofia, con quanta ragione avrebbe potuto il poeta scagliarsi contro di essa, ed in un modo cotanto acerbo, mentre nel suo Convito va dicendo che la Filosofia fu la consolatrice delle sue lacrime, e quella della quale sentiva grande dolcezza, e la quale non poteasi da lui immaginare se non in atto misericordioso (1)? A quale scopo potevano mai tendere cotante aspre rampogne contro la Filosofia, contro là da lui chiamata bellissima ed onestissima figlia dell' Imperatore dell' Universo (2)? Con quanta proprietà avrebbe egli detto, che la Filosofia, questa femmina intellettuale, avesse biondi capelli, le dorate treccie de'quali fossero divenute per St. II, v. 3 e 4. Intendi: Ma come il fiolui sferza e scudiscio? Questa Canzone parlare occupa la cima dello stelo, così questa adunque a donna vera e reale, non però a donna tiene il primo luogo della mia mente. Beatrice. Per tale virtuosa donzella sentì Dante un amore tenerissimo, che non si diparti mai da onesta cortesia e da gentilezza; e di questo suo verace ma purissimo affetto abbiamo già tenuto discorso nel precedente Capitolo: quindi si rende affatto improbabile che Alighieri volesse a Beatrice dare il titolo di scherana micidiale e ladra, e dire che se egli giungesse ad afferrare le di lei bionde treccie, non sarebbe per esser pietoso; ed invitare in ultimo la Canzone a scagliare una saetta nel core a quella donna, che gli toglieva ciò di cui egli aveva maggior desiderio.

Ivi, v. 5 e 6. Intendi: Cotanto par ch'ella si curi del mio male, quanto un naviglio si cura di un mare, che non sollevi furioso le onde.

Ivi, v. 11, 12, 13. Intendi: Perchè non hai timore di rodermi a brano a brano il core così come io ho timore di palesare altrui il nome di quella, che a poter ciò fare ti consente la forza?

St. III, v. 1-8. Intendi: Imperciocchè, qualora io penso di questa donna in luogo ove alcuno possa indurre lo sguardo, più mi trema il core (per tema non traluca e venga a scoprirsi il mio desiderio) che io non temo della morte, la quale coi denti d'amore già mi consuma ogni sentimento; ciò che nel pensiero affievolisce la mia virtù, sì che d'essa allenta l' opra.

Non essendo nè la Filosofia nè la Portinari, quale sarà mai questa donna, contro la quale così scagliavasi Dante? Vuole Anton Maria Amadi, che la Canzone Amor tu vedi ben, fosse stata scritta dall'esule Poeta per Ivi, v. 7. bruca. Brucare è qui figurataMadonna Pietra della nobil famiglia padovana mente usato da Dante per affievolire, e non degli Scrovigni; ma se il riscontrarsi in quel-per tor via, siccome dice il Vocabolario. la più volte ripetuto il vocabolo Pietra fu

(1) Convito, Trattato II, cap. XIII. (2) Ivi, cap. XVI.

Infatti dicesi brucare un gelso, un gelso tutto brucato per spogliare un gelso delle sue foglie, un gelso tutto spogliato. La similitudine è presa dal bruco, verme che di es

se si pasce, rodendole. Così egualmente un | del naturale e del passionato; e l'andamento carolo roso dai bruci si dice un cavolo ed il tuono è tutt' affatto simile alle tre fibrucato.

St. IV, v. 11. s'egli alza, sottintendi la mano per ferirmi.

St. VI, v. 10. il cor ch' io porto anciso. Anciso significa qui ferito mortalmente, piagato, e non ucciso, come sembra indicare il Vocabolario, e vien dal latino incidere, incisus. Il poeta infatti tre versi dopo soggiunge:

Canzon, vattene dritto a quella donna,

Che m'ha ferito il core.

Nonostantechè da Dante e da altri trovisi usato il verbo ancidere anche per uccidere, io credo però che il proprio suo significato sia quello di ferir mortalmente. Eccone altri esempi:

A tanto sono scorto

losofiche Canzoni del Convito, ove io penso
che dovesse aver luogo la presente, essen-
dochè l'Alighieri ci fa sapere che il loro nu-
mero non dovea a quelle limitarsi, ma ascen-
dere a quattordici. La Chiusa poi accenna la
donna, di cui è invaghito il poeta, qualifi-
candola.

Come colei che fu nel mondo nata
Per aver signoria

Sovra la mente d'ogni uom che la guata;
le quali espressioni convengono pienamente
alla Filosofia, come quella che tiene signo-
ria non sovra i cuori, ma sovra le menti, fa-
cendo delle sue bellezze innamorare chiun-
que sia da tanto da poterle discernere e con-
templare.

St. I, v. 3, 4. Intendi: Poichè si conosce Dagli occhi che m'ancidono a gran torto. più il suo volere laddove il suo raggio va a Qual io divegna si feruto, Amore, ferire cosa più nobile.

Sal contar tu. Canz. XII, St. III-IV. E quei sospiri, che di fuore andaro Dicean piangendo, che'l cuore era anciso. Son. xxvII, v. 7. St. VII, v. 3. Quello ond' io ho più gola, cioè il poter vagheggiare il di lei sembiante, avendo scritto la Canzone Per vendicar lo fuggir che mi face.

CANZONE VIII.

Amor, che muovi tua virtù dal cielo (1). Leonardo Bruni dicendo nella Vita di Dante, che le di lui Canzoni sono perfette, limate, leggiadre, e piene d'alte sentenze, e che tutte hanno generosi cominciamenti, siccome quella che incomincia Amor che muori, dov'è comparazione filosofica e sottile intra gli effetti del Sole e gli effetti d'Amore, viene a comprovare che questa Canzone sia di Dante Alighieri. Col nome di lui fu stampata nell'edizione Giuntina a c. 25, e riprodolta in tutte le altre; col nome di lui vedesi nei tre Codici Magliabechiani, nei Laurenziani num. 136, Plut. 90, e num. 42, Plut. 40. Infine Dante istesso la cita due volte me sua nel Volgare Eloquio, al Lib. II, Cap. V, e al Lib. medesimo, cap. XI.

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St. II, v. 2 la Stella, cioè il Sole, che da Dante trovasi spesso detto la Stella per eccellenza, siccome nella Canz. XV, St. VI, v. ult. è da lui chiamato il Principe delle stelle:

· Costei, Ch'al prence delle Stelle s'assimiglia. Ecco altri esempi :

Ma gli nostri occhi per cagioni assai
Chiaman la Stella talor tenebrosa.

Canz. XXVII, St. ult., v. 8.
Siccome è'l cielo dovunqu'è la Stella.

Canz. XXVIII, St. vi, v. 3. Come virtù di Stella (produce) margherita. Son. XXXIX, V. ult.

a nominata da Dante nel v. 55 del Canto Ora dunque rendesi certissimo, che la StelI. dell' Inferno,

Lucevan gli occhi suoi più che la Stella, molti annotatori e postillatori (frai quali il non è la Stella di Venere, siccome intendono Tasso, che a questo luogo postilla la Stella co-assolutamente di Venere), ma è la Stella per eccellenza, il Principe delle Stelle, il

Il poeta in questa Canzone parla ad Amore della sua donna. Questa donna per altro non è, a parer mio, la Portinari od altra, ma sivvero la Filosofia. Una delle più difficili indagini si è il determinare quali delle Canzoni di Dante trattino d' un amore naturale e vero, e quali di un amore intellettuale e simbolico. Ma in questa i concetti hanno dell'elevato e del filosofico assai più che

Sole.

accende. Intendi: come il fuoco, lo splenIvi, v. 12. Com' acqua per chiarezza foco dore, riverbera nell'acqua a motivo della di

lei chiarezza. Altrove disse il Poeta:

Quali per vetri trasparenti e tersi,
Ovver per acque nitide e tranquille, ...
Tornan de' nostri visi le postille.
Par. 11, 10.

(1) Dall' Arrivabene questa Canzone viengomentare, che le Rime liriche di Dante siano chiamata Sonetto; per la qual cosa puossi ar- state da lui vedute con troppa fretta.

St. III, v. 12-15. Intendi: in guisa che il Sole è segno del fuoco, il quale però non dà a lui nè toglie la forza, ma su qualunque altro luogo, che sopra di sè, fallo sembrare di maggior virtù nel suo effetto.

St. IV, v. 2, 3. Qui la lezione è forse errata, poichè è difficile il trarne alcun senso. Dubito anche che debba leggersi alla invece di altra.

CANZONE IX.

I' sento si d'amor la gran possanza. Col nome di Dante Alighieri fu stampata questa Canzone nell' Edizion Giuntina c. 26, ed in tutte le successive, non meno che fra le Rime di vari autori, unite dal Corbinelli alla Bella Mano di Giusto Conti. A Dante è pure attribuita dal Codice Martelli, dai tre Codici Magliabechiani, dai Laurenziani 42, Plut. 40, e 136, Plut. 90, e da vari dei Riccardiani. Nei Codici e nelle Stampe non trovasi mai che sotto il nome di Dante, a cui ne certifica appartenere il merito della medesima. Apparisce essere una delle sue filosofiche, non tanto per le ragioni superiormente accennate, quanto perchè colei della quale quivi si dimostra innamorato il poeta,

... stassi come donna, a cui non cale Dell' amorosa mente,

Che senza lei non può passare un'ora; e perchè Dante va in essa dicendo, che non altri che un verace e costante Amore (un volontario ed assiduo studio) potea far sì ch'ei degnamente diventasse

Cosa di quella che non s' innamora;

cioè a dire potesse degnamente chiamarsi seguace ed amante della Filosofia, della Scienza della verità e della virtù.

St. I, V. 12. Ch' alla voglia il poder non terrà fede, cioè: che il potere non sarà fedele alla volontà.

Ivi, v. 13. Ma se di buon voler nasce mercede, cioè: ma se la buona volontà merita ricompensa.

St. II, v. 8. Per che mercè, volgendosi a me, fanno, cioè: per lo che volgendosi a ne, usano compassione.

Ívi, v. 14-16. Intendi: perchè bramo così fortemente l'impiegarmi per lei ed il piacerle, che s'io credessi ottener ciò col fuggirla, saria lieve cosa, essendo io pronto a farlo, ma so che ne morrei.

St. III, v. 3. Quand' io farei quel ch' io dico per lui, cioè: quando io farei per Amore quello ch' io dico.

cioè:

Ivi, v. 9, 10. per virtù del piacimento che nel bel viso d'ogni bel s' accoglie, per virtù della bellezza che risiede in quel viso, bello sopra tutti i belli.

Piacimento per bellezza, venustà manca nel Vocabolario, ove però registrasi piacente, per bello, vago. La voce piacimento, allegata dal Vocabolario col seguente esempio di Dante da Maiano,

Convienmi dir, Madonna, e dimostrare Come m'ha preso vostro piacimento, significa evidentemente venustà, bellezza, e non già piacere, siccome interpetra il Vocabolario medesimo. Ecco un altro esempio, che finirà di comprovare la nostra asserzione:

O crudel morte, e prava,

Come m'hai tolto dolce intendimento
Di riveder lo più bel piacimento,
Che mai formasse natural potenza
In donna di valenza.

Rim. ant. Canz. Poscia ch' io ho perduta,
St. V, v. 7.

St. V, v. 3. Cosa di quella, cioè proprie tà di colei.

St. VI. Canzon mia bella. Nell' edizion del Pasquali, Venezia 1741, e nella successiva di Zatta 1758, si dice che la presente Stanza VI fu çavata dalle Rime aggiunte alla Bella Mano, corretta sopra un Manoscritto, indi posta in questo luogo ch'è il suo proprio.

Nella Bella Mano (Fir. 1715, pag. 186) questo brano di Canzone è così intitolato Stanza di più nella Canzone di Dante che incomincia l' sento si d' Amor ec., trovata in un antichissimo libro di dette Canzoni.

Nonostante però l'autorità del Corbinelli, e
il riscontrarsi questa Stanza del tutto confor-
me nella tessitura a quelle della presente
Canzone, resta sempre il dubbio se questo
sia il luogo suo proprio, riflettendo che la
Canzone verrebbe allora ad aver due Com-
miati, cosa non mai praticata, ed affatto im-
probabile. Convien quindi necessariamente de-
durne che questo Commiato Canzon mia bel-
la o fosse scritto da Dante per sostituirsi al-
l'altro Canzon, a' tre men rei (il quale do-
vrebbe allora eliminarsi), ovvero che appar-
tenga alla Canzone VIII Amor che muovi,
in cui vedesi esser mancante. Ed infatti a
tale Canzone vien dato dal Cod. 85, Classe
XXI della Magliabechiana, accorciato però
nella guisa seguente:

Canzon mia bella, se tu mi somigli,
Tu non sarai sdegnosa

In tanto quanto a tua bontà s'avvene:
Però ti prego, che tu t'assottigli
In trovar via e modo che stia bene.
Se cavalier t'invita, o ti ritene,
Spia se far lo puoi di nostra setta,
Chè'l buon col buon sempre camera tene.

In qualunque caso converrebbe togliere da

questa Canzone uno dei due Commiati, e darlo a quella che n'è mancante, tanto più che nell' uno non si va che press' a poco ripetendo ciò ch'è stato detto nell' altro.

Ivi, v. 9. Spia, (o Espia, come porta la stampa del Corbinelli), se far lo puoi della tua setta, cioè Cerca, ingegnati di farlo della | tua setta, vale a dire seguace della filosofia, della virtù.

Ivi, v. 10. La stampa del Corbinelli porta questo verso così: Se vuoi saver qual'è la sua persona, ma l'altra lezione sembrami migliore.

Ivi, v. 13 che non ha. Nella stampa del Corbinelli che non è.

vita, pel motivo di non veder più da qualche tempo quei begli occhi, i quali

..aperse Amor con le sue mani.

Di ciò sentiva Dante un martirio, che recavagli acerbo dolore, e scriveva la presente Canzone per muovere la sua donna a pietà. Come dunque potrà intendersi quello ch' ei qui dice, cioè:

Ch'altrettanto di doglia

Mi reca la pietà, quanto il martiro? Come mai la pietà, ch' egli implora, potea recargli altrettanto dolore, quanto recavagliene il martiro, del quale lagnavasi ? Ciò che abbiamo di sopra accennato rende facile la risposta. La pietà che recava a Dante altrettanta doglia, quanta il martiro, era quella che dimostravangli le donne, delle quali (af

Ivi, v. 15 nè ad ingegno, nè ad arte, o piuttosto nè a cerchio nè ad arte, secondo la lezione del Corbinelli, essendochè arte ed ingegno son una cosa istessa. Intendi allora: Coi malvagi non tenere nè discorsi fa-finchè sospettar non si potesse di Beatrice) miliari, nè scientifici, perciocchè non fu mai da saggio intendersela con loro.

CANZONE X.

E' m'incresce di me si malamente.

fingeva d'essere innamorato; e questa pietá per essergli affatto inopportuna, e per fargli palese come altre femmine erangli più benigne di colei, la quale formava la di lui fiamma esclusiva, recava ad esso non già sollievo, ma doglia.

La bellezza e sublimità di questa erotica Canzone, dettata con nobile e purgata favel- St. II, v. 1. Non darem pace ec. Argola, e piena di passionate espressioni e di alti mento per credere, che Beatrice non sempre concetti, la palesa per lavoro di Dante Ali- si dimostrasse dura insensibile all' amore ghieri. Questa non parla già d'un amor fi-di Dante.

losofico, ma di un amor naturale, ed appa- Ivi, v. 4. Intendi: Ma poichè gli occhi risce dettata, vivente Beatrice. Non tutti i della bella donna si avvidero, che a cagione poetici componimenti da Dante scritti, men-del grande amor per lei, io era smarrito e tre viveva quella donzella, furon da lui ripor-quasi fuor di me, si dileguarono ec. tati nella Vita Nuova egli stesso cel dice St. III, v. 3. La sconsolata, cioè l'anima. (ivi, pag. 9): chè anzi molti di essi, non Ivi, v. 8. Sopra colei, vale a dire con esprimendo (siccome la presente Canzone) il quella rimanente vitalità. nome dell' amata, servirono a lui per farne St. IV, v. 8. Con quella vita, cioè sopra schermo alla veritade, celando l'oggetto dell'anima. l'amor suo, e facendo credere di essere in- St. V, v. 1. Lo giorno che costei nel monvaghito di un' altra femmina. do venne, cioè lo giorno che Beatrice appar

Fu col nome di Dante stampata questa Can-ve alli miei occhi, (come dice in sul prinzone nell' Edizion Giuntina c. 27 retro ed incipio della Vita Nuova) secondo che si trotutte le successive. Col nome di lui vedesi va nel libro della mente che vien meno, cioè pure ne' Codici Laurenziani 136, Plut. 90, a dire nella memoria labile (così nella Vi42, Plut. 40, ed in altri. Quello però che fia Nuova: In quella parte del libro della nisce di provare, che la Canzone appartiene mia mente), la mia piccola persona (aveevidentemente all' Alighieri, si è, che il poeta va egli nove anni) concepì una nuova pasfa nelle due Stanze Lo giorno che costei, esione, ec.

Quando m' apparve poi, la storia del suo Ivi, v. 10. E se 'l libro della mente, cioè innamoramento di Beatrice con tutte quelle la memoria, non erra, lo spirito maggiore, circostanze e quasi con quelle stesse paro-vale a dire lo spirito vitale, tremò si forle, colle quali ei lo racconta nelle prime due pagine della Vita Nuova.

temente, che parve bene, che per lui fosse venuta in questo mondo la morte. Quest'effetto fu prodotto nel pargoletto Dante dalSt. I, v. 2, 3. Io ho già detto che questa la prima comparsa di Beatrice: il racconCanzone è uno di quei poetici componimento coincide perfettamente con quanto ne ti, i quali non portando il nome di Beatrice, servirono a celare il vero oggetto dell'amore di Dante. In essa si lagna il poeta, che la sua anima è rimasta afflitta e piangente, ed ́in sulla mossa d'andarsene fuori di questa

dice nel suo libro della Vita Nuova: Lo spirito della vita, il quale dimora nella segretissima camera del cuore, cominciò a tremare si fortemente, che appariva nelli menomi polsi orribilmente.

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evidenti sono conformi a quello degli altri suoi poetici componimenti. Chi non riconoscerà il giovine innamorato Alighieri in quei versi:

Canzone, il tuo andar vuol esser corto; Chè tu sai ben, che picciol tempo omai Puote aver luogo quel per che tu vai? Se il merito di questa Canzone non è superiore alle altre, non potrà dirsi però tanto inferiore da doverla escludere dal Canzoniere del divino poeta. Nulla osta adunque per farla ammettere siccome legittima.

St. I, v. 2. al tempo che se n'è andato cioè al tempo felice, quando la Portinari lo consolava col suo grato saluto: e per questo ei dice dispietata la mente, perchè ricordavagli le passate contentezze, in cotal guisa amareggiandogli il cuore.

St. II, v. 3. Poi trovasi molte volte adoprato da Dante e da altri antichi Scrittori in significato di poichè. Basterà l'averlo accennato una volta.

Il poeta in questa Canzone prega utilmente la sua donna ad aver pietà di lui, mandandogli un cortese saluto, il quale possa riconfortare alquanto la sua abbattuta virtù, ed il quale egli dice esser l'ultima sua speranza. Il saluto di Beatrice fu infatti, siccome dicemmo, uno dei maggiori desiderii a morosi di Dante. Egli cel racconta nella Vita Nuova. Alcune femmine gentili così l'interrogarono: « A che fine ami tu questa tua >> donna, poichè non puoi la sua presenza so» stenere? Dilloci: chè certo il fine di cota>> le amore conviene che sia novissimo. Ed St. IV, v. ult. Di fuor conosce che den» egli: Madonne, lo fine del mio amore fu tro è pietate, cioè dal nostro esterno cono» già il saluto di questa donna, ed in quello sce che dentro di voi alberga la compassio» dimorava la beatitudine, che era fine di tut-ne: le quali parole convengono benissimo a » ti i miei desiderii: ma poichè le piacque Beatrice, siccome quella, davanti a cui fug» di negarlo a me, lo mio signor Amore (la gon superbia ed ira. >> sua mercede), ha posta tutta la mia bea>> titudine in quello, che non mi puote venir » meno », vale a dire, nel parlar delle lodi di Beatrice, siccom' ei soggiunge dipoi.

St. V, v. 1. vostra salute, cioè vostro saluto. Salute per saluto è adoprato spesso da Dante nella Vita Nuova.

Ivi, v. 10. nella mia guerra. Intendi: nelDicendo il poeta, fin dal principio della Can-la guerra degli affetti che combattono il mio zone, che il desio amoroso lo tira

Verso il dolce paese ch' ha lasciato,

cuore.

Ivi, v. ult. del Signor, cioè d' Amore. St. ult., v. ult. Puote aver luogo qui sulla tro-terra, cioè puote aver vita.

fa conoscere ch' ei la scrisse mentre si
vava lontano da Firenze, la qual cosa dovè
più volte succedere ancor nella di lui giovi-
nezza. Dopo tutto questo è inutile il dire.
che la Canzone non tratta di un amor filo-
sofico, ma di un amor naturale: anzi dalla
storia degli amori di Dante congetturar po-
trebbesi, che fosse uno dei primi giovanili suoi
componimenti; imperciocchè prima delle lo-
di di Beatrice, andò l' Alighieri parlando del
saluto, per lui dolcissimo, di quell' onesta
donzella.

CANZONE XII.

Amor, dacchè convien pur ch'io mi doglia.

Il Quadrio nella sua Storia Ragione d'ogni poesia (Tomo II, P. II, Mil. 1742) dopo aver detto, che la Canzone non è un agevol componimento, siccome alcuni han pensato, ma anzi in tutto e per tutto malagevolissimo, soggiunge: «ond'è che, come ci lasciò scritto Dante, senza acume d' ingegno, abito di scienza ed assiduità d'arte, non mai alPer l'originalità della Canzone, diremo cuna comporre se ne potrà, che meriti lode. che vedesi stampata in tutte le antiche edi-E come il medesimo Dante fu, che l'arte zioni, siccome nella Giuntina a c. 29, non tutta di questa sorta di componimenti il primeno che in tutte le moderne, e sempre co- mo maestrevolmente insegnò, il primo fu alstantemente col nome di Dante Alighieri. Col tresì che in pratica maestrevolmente la pose. nome di lui vedesi pure nei Codici Lauren- Quindi egli così conchiude: ziani num. 42, Plut. 40, num. 136, Plut. ter fine però con vantaggio a questi miei in90, in vari dei Riccardiani ed in altri. Le segnamenti, da lui per la maggior parte cacircostanze della Canzone convengono piena- vati, la sua Canzone Amor dacchè convien mente all' Alighieri, e concordano esattamen-vo' qui rapportare ad esempio. Essa è di quelte colla storia dei suoi giovenili amori; lo le che egli chiamò elegiache (cioè che tratstile terso e conciso, i concetti passionati ed tano argomenti umili ); nè merita perciò

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