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rapporti che esistevano fra Dante e Moroello dovrebbe più omai lasciarsi a credere verinon debbon peraltro indurre alcun nell' er- tiera. Nel 1315 Alagia moglie di Moroello rore di prestar fede a delle favole sulla de-comparisce già vedova, e il Purgatorio (che dica del Purgatorio, e nel più grave ancora di tener per autentica la lettera che il monaco Ilario fabbricò, e che verun critico non

si vuol dedicato al di lei consorte) non può essere stato ultimato che nel 1318 o 1319 (1). Il contenuto di questa Lettera, che per

ha fatto a non citare i documenti che ne vina Commedia. Ogni qualvolta rinveniva un' danno la prova, perciocchè senza di questi Opera, una Lettera, uno scritto qualunque di io persisto nella mia opinione di tenerlo per Dante, o che Dante risguardasse, il Boccaccio mancato a' viventi nel 1297 o 1298, tanto amorevolmente traevane copia: così per le cupiù che stanno meco molte e buone ragioni. re di lui sono state a noi conservate le EUna delle quali si è, che nel 1307, anno gloche colle risposte di Giovanni del Virgiin cui dice il Witte che Gherardo morì com- lio, così le tre Epistole, che qui appresso si battendo, non tanto non veggo fatta men-veggiono co' numeri I, IV, V; così la Lettera zione di lui dal Muratori, ma pur non veg- di Frate Ilario. E questi scritti per noi si prego che Trevigi, di cui Gherardo era Signo-ziosi, contengonsi nel Cod. 8, Plut. XXIX re, avesse guerra con chicchessia; un' altra della Laurenziana, il quale altro non è che si è, che nella Divina Commedia (Parad. IX, uno Zibaldone, o Volume miscellaneo dal Boc49) non veggo nominato come Signor di Tre- caccio copiato per uso proprio. Di questa scovigi nel 1300 Gherardo, ma sibbene il di lui perta interessantissima, e d'avventurosi resulfiglio Ricciardo, lo che dimostra che il pri- tati feconda (come quella che comprova la mo non più allora vivesse ; una terza si è combattuta autenticità d'altri Codici dalla mache negli Annali d'Italia non veggo fatta no del Boccaccio trascritti ) andiamo debitomenzione di Gherardo oltre il 1294. Io dun- ri al valoroso bibliografo Stefano Audin, rique persisto nel ritenere che due trattati del trovatore ed attual possessore del MS. oriConvito siano stati scritti da Dante innanzi ginale della Teseide. Il Can. Bandini nel del'esilio, e due appresso la morte d'Arrigo VII. scriver questo Zibaldone nel Catalogo de' Co(1) Ci ha detto il Witte più sopra, che dici Latini della Biblioteca Mediceo-Laurenveridici sono i primitivi biografi dell' Alighie-ziana, Vol. II, pag. 9 e segg., gli diede l' inri, e che a torto gli Scrittori moderni si ri- titolazione seguente: Andali de Nigro Trafiutano dal prestar ad essi credenza. Or per- ctatus Sperae, Ivonis Carnutensis, S. Thochè qui ne dice, che dalle parole della Let-mae, Ciceronis, Ioannis de Virgilio Caesetera al Malaspina non sia alcuno indotto nel-natis, Dantis Aligherii, Francisci Petrarl'errore di prestar fede a delle favole sulla chae et Anonymorum varia. Or dirò che í Dedica del Purgatorio, Dedica di cui parla Trattati di Sfera sono le lezioni che il Bocil primo biografo dell' Alighieri, vale a dire caccio riceveva da Andalone del Nero, che il Boccaccio? A me sembra che molto irra- com'è notissimo fu uno de' di lui maestri. Veggionevolmente alcuni Scrittori de' giorni no- gionsi pure nel Codice due alfabeti, uno grestri trattino di visionario il Boccaccio, e rico l'altro ebraico, con vari frammenti, i quali tengano come apocrifa la Lettera di Frate patentemente appariscono fatti per esercizio Ilario, che offre la prova più sicura non tanto e per istudio dello scrivente; ed alcune poedella Dedica del Purgatorio quanto di quella sie latine, egualmente per esercizio quivi scritdell'Inferno. Dicon costoro, che sulle mal te, com' ancora apparve al Bandini, il quale fondate asserzioni del Certaldese qualche im-al num. XIX nota: Carmina quaedam morapostore del secolo XIV fabbricò la contro-lia, quae exercitationis gratia, ut puto, scriversa Lettera, e la spacciò sotto il nome del ptor exaravit. Avrebb' egli or dunque un calFrate. Infatti, e' soggiungono, nella Lettera ligrafo di professione scritto per esercizio, per riscontransí parole, frasi e quasi interi perio- istudio e per uso proprio, ed alfabeti e cardi che pur riscontransi nel Libretto del Boc-mi morali e frammenti ed iscrizioni ed epicaccio, lo che, second' essi, palesa chiaro l'im- stole e cento cose diverse?Dalla storia biograpostura e la frode. Or che dirann' essi, cote- fica del Boccaccio sappiamo, ch' egli per la sti critici veggentissimi, che risponderanno sua povertà non potendo comprar molti libri, all' udire, come l'unica copia della Lettera, ch' allora per non esser la stampa erano ecche nella Laurenziana conservasi, non per al- cessivamente costosi, trascrivevali di propria tra mano è trascritta, che per quella del Boc-mano. Cosi trascrisse molti di que' Classici caccio medesimo? Vorrann' essi dare a quello scrittore, oltre il bel titolo di visionario, quello pur d'impostore? È notissimo quanto il Boccaccio fosse devoto del grande Alighieri da lui chiamato perfin suo maestro; quanto si studiasse a raccoglierne si in Toscana si in Romagna che altrove, le memorie e gli scritti; e quanto si travagliasse d'attorno alla DiDANTE. Opere Minori,

Latini che facevan parte della Libreria da lui lasciata a' Frati di S. Spirito; cosi la Commedia di Dante che mandò in dono al Petrarca; così il Terenzio ed altre opere che stanno nella Laurenziana, cosi lo Zibaldone della Magliabechiana, ritrovato dal Prof. Ciampi, così la Teseide or posseduta da Audin ec. E chiaro pertanto che imbattutosi il Boccaccio

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altro è assai breve, reca forse più sorpresa | medesimi Fiorentini qualche anno avanti in che non il suo indirizzo medesimo. Il poeta tuono supplichevole, della quale Leonardo racconta al suo protettore, come appena a- Bruni ci ha conservato il principio (2). Or veva egli abbandonato la di lui corte, di diremo che pur questa Lettera deve essere cui conserva tante memorie, ed in cui egli stata conosciuta da quel biografo, perciocchè era stato un oggetto di meraviglia a cagio- ad essa appare certo che mirino le seguenti ne della sua fermezza contro le lusinghe del di lui parole: « Essendo (Dante) nella spele femmine, ed appena pervenuto alle sor- >> ranza di ritornare per via di perdono, sogenti dell' Arno (1), gli era apparsa davan- >> pravvenne l'elezione d' Arrigo di Lussemti gli occhi una donna, e come a malgrado » burgo Imperatore, per la cui elezione, prigli sforzi suoi, Amore avealo sottoposto alla » ma, e poi per la passata sua, essendo tutsua signoria, gli avea cacciato dalla mente» ta Italia sollevata in isperanza di grandisogni altro pensiero, ed avealo reso un uo- » sime novità, Dante non potè tenere il promo tutt' affatto diverso. Un componimento » posito suo dell'aspettar grazia, ma levatopoetico, che più a lungo s'aggirava intor- » si coll' animo altiero, cominciò a dir mano tale argomento, sembra avere accompa-» le di quelli che reggevano la terra appelgnato questa Lettera, e non temo molto di >> landoli scellerati e cattivi, e minaccianingannarmi, tenendo che sia la Canzone che » do loro la debita vendetta per la potenza nell' edizione di Kannegiesser sta a pagina » dell' imperatore, contro la quale, diceva, 164, e che incomincia Amor dacchè con- » essere manifesto, ch'essi non avrebbon vien pur ch' io mi doglia; perciocchè i sen- >> potuto avere scampo alcuno » (3). Dopo si della Lettera presente s' accordano per- una breve introduzione, nella quale l' Alifettamente con quelli di questa Canzone, ghieri s'ingegna di dimostrare, essere al beintorno la quale il Dionisi, (che la tiene ne dell' umana società necessario, che l'Imdell' anno 1311 ), avea già indovinato quasi peratore d'Alemagna tenesse la Monarchia del tutto quello che ora abbiam trovato es- universalmente di Roma, lo che, secondo sere di fatto. lui, era omai attestato dall' Istoria e dalla Rivelazione; e dopo avere parlato del Papa e dei principali personaggi della Chiesa in termini meno rispettosi di quelli da lui usati nella Lettera dell'anno innanzi, prosegue di questa guisa:

Se d'un grande interesse è la Lettera di Dante a' Principi e Popoli d'Italia, della quale avevamo già una traduzione, non lo è meno la quarta di queste, ch'è anzi più piena di particolarità, e ch'è datata del 31 marzo 1311 dai confini della Toscana sotto » Ma voi, voi che vi fate lecito di trasle fonti dell' Arno. Essa è adunque dettata » gredire le leggi divine ed umane; voi, che in quel tempo, in cui Arrigo moveva il cam- >> attirati da una cupidigia insaziabile non ripo sopra Cremona e Brescia, e porta l' in- » fuggite di alcun delitto; non sentite spadirizzo seguente: « Dante Alighieri, il fio- » vento e terrore della seconda morte, alla » rentino non meritamente sbandito, salu- | » quale correte? Perciocchè voi i primi ed » la gli empi e ribelli fiorentini ». Qui è » i soli, in disprezzo del freno salutare che d'uopo d' avvertire il Lettore a non confon- » ne impone una verace libertà, vi scadere questa Lettera con quella scrittura ai» tenate violentemente contro il Re de' Ro

nella Lettera di Frate Ilario, ne trasse copia Purgatorio, compiuta secondo lui nel 1318 o per uso proprio, e servissene poscia, allora- 1319, non poteva ad esso già morto venir quando pose mano alla compilazione della dedicata. Reggerebbe il ragionamento del Vita di Dante. Si vorrà dunque con queste Witte se vero fosse che il Purgatorio fosse premesse dare al Boccaccio il titolo di visio- solo nel 1318 o 1319 portato al suo compinario o d'impostore? Si vorrà negare l'au- mento: ma quest' opinione è falsissima, estenticità e provenienza del codice in discorso? sendochè da un passo dell'Egloga I (V. RaQuando pur lo si volesse, credo che riusci-gionamento sul Canzoniere) apparisce che le rebbe di troppo malagevole; perciocchè una due prime Cantiche erano molto innanzi che descrizione e illustrazione accuratissima, che | dal Witte si dice non solo compiute, ma per cento argomenti prova l'originalità de' pur divulgate. E se pur questo ci fosse ignoCodici summentovati e d'alcun altro pure fito, come potrebbesi dir falsa la Lettera di nora incognito, è stata già scritta dal sullo-Frate Ilario, che della Cantica del Purgadato bibliografo Stefano Audin, dal quale, torio parla non come di eosa fatta, ma di voglio sperare, sarà ben presto resa pubblica cosa da farsi? colle stampe. Cosi sarà forza a'Critici di ricredersi delle loro mal fondate opinioni. Dice poi il Witte che Moroello Malaspina | più sopra nominato. mori nel 1315 (essendochè in quest'anno Alagia di lui moglie comparisce già vedova), e che da ciò deducesi come la Cantica del

(1) Forse presso il Conte Guido Salvatico, altro nipote d' Alessandro da Romena già

(2) Popule meus, quid feci tibi?
(3) Vita di Dante.

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» mani, il Monarca del mondo; perciocchè >> lascia che alcuno si metta in una via non » voi appoggiandovi sopra falsi e pernicio» si principii, rifiutate di prestargli quelli» scampo al meritato castigo, là v'intoppi diritta, affinchè là ove ei crede trovare omaggi, ch' egli ha tutto il diritto d' e- >> al contrario più facilmente: chè se di pro» sigere, e perciocchè volete piuttosto tra>> scorrere ne' furori del rubellamento, inpria deliberazione, ed avvertito in avanti » di ciò che dee seguitarne, l'uomo si mette » vece che piegarvi alla debita sommissio- » a calcitrare contro i decreti della divina >> ne.» Quindi pone sott'occhio de' Fiorentini » volontà, allora a suo malgrado e a suo una conseguenza ch'egli tira da' loro prin- » danno medesimo, egli adopera a' fini di cipii medesimi: e questa, se non altro, è» quella. Così le vostre case interessante per noi, in quanto che Dante» munite di ripari tali, quali a tant' uopo viene a dimostrarsi ben lontano dall' attac-» richiederebbonsi, e che per l' opposito care in checchè sia l'unità della chiesa Ro- » sono malamente disposte, ed acconcie mana. « E vorrete voi, incitati da sì folli pen- » soltanto al lusso, coi propri occhi voi samenti, separarvi, quai novelli Babilone- » vedrete crollare e sfasciarsi sotto i colpi >> si, dal pietoso Impero, e far prova di sta-» dell'ariete, e rimaner consunte dal fuoco. » bilirne de' nuovi, attalchè l' uno d'essi sia » Il popolo ch'or leva la voce or ammuta >> l'Impero fiorentino, l' altro il romano? Or» ora sta per l'una parte or per l'altra, al» via su dunque, invidiamo altresì all' uni- » loraquando non potrà più resistere al di» tade apostolica, fate prova di romper que-» sagio, allo spavento, alla fame, allora una>> sta pur anco; cosicchè se venisse mai ad >> nime manderà gridi >> esservi una duplice Luna (l'Imperatore),» voi. Il dolor vostro non sarà meno grande di furore contra di » v'abbia allora altresì un duplice sole (il» alloraquando vedrete i templi ripieni di >> Pontefice) ». Quando poi l' Alighieri più sotto rampo» gente cui tutto manca, di misere e do» lorose femmine, di spaventati fanciulli, gna i Fiorentini del non aver provato vergogna nel proclamare la loro disobbedienza» de' genitori a portar la pena di peccati » di tapini orfanelli, destinati per la colpa in uno de' loro stanziamenti medesimi, egli» ch'e' non commisero. Se il mio spirito di sembra fare allusione alla superba ripulsa >> ch'essi fecero alla offerta della mediazione predizione, che intravede segni di vero e imperiale negli affari d' Arezzo (14). Egli» pochi fra di voi, quelli soltanto che la mor>> prove di certezza, non si lancia tropp'oltre, poscia prosegue così: >> te o la cattività non avrà riserbati che per » l'esilio, questi pochi soltanto vedranno con » grave cordoglio la capitale della Toscana, la loro patria tutta in iscompiglio e in ruina, » e rilasciata infine a mani straniere. E ad

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» che Sagunto per la fedel perseveranza nelle » sue istituzioni, e pel saggio governo della » sua libertà, alzossi al più alto grado di » gloria, e che per la sua prevaricazione e » infedeltà ruinò nella servitù. Or que'disa>> stri stessi ch'ella incontrò, a voi pur senza >> fallo son riserbati »,

>> Ma questo spavento che dalla terra e >> dal cielo viene a piombar su di voi, e ad >> affrettare la vostra rovina, come sarà egli » possibile, che non vi resti ognora fisso nel» l'animo, quando s'avvicina a gran passi» esser breve in parole, dirovvi all'ultimo >> l'inevitabile naufragio della vostra schiatta » orgogliosa, e il giorno del castigo delle >> vostre fraudi e rapine, per cui sarete ben >> costretti a versare più d'una lacrima? Ed >> acquattati dietro ripari, fatti senz'arte, o >> piuttosto ridicolosamente, potete voi nutri» re la speranza d'una difesa qualunque? O >> voi, che acciecati dalle private passioni, >> non siete in altro concordi che nel mal » fare, a qual pro ripararvi nei valli, a qual » pro munirvi di bastioni e di torri, quando » l'Aquila che per campagne e per ville me»> na seco il terrore, dee farsi dappresso a' » vostri muri; quell'Aquila, che or or passan-emanò principalmente contro Milano. » do i Pirenei, or ora il Caucaso, or or l'A» tlante, e fatta forte dai fati per le armate » celesti, non troverà un giorno alcun osta» colo a traversare col suo rapido volo l'im>> menso tratto dell' Oceano? Allor che cre» derete difendere le apparenze d'una falsa » libertà, voi ruinerete in una vera servitù; » perciocchè la sapientissima Giustizia di Dio

non prendere in esempio l'inopinata ventuL' Alighieri avverte inoltre i Fiorentini a ra, che incontrarono i Parmigiani, allorquando Federigo II. dalla sua novella città di cordarsi la terribil sentenza che il Barbarossa Vittoria travagliavali e stringevali, ma a ri

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» Colpiti di cecità voi non vedete per fermo ( egli prosegue ) come le passioni vi signo» reggino, con quali avvelenati incantamenti » vi lusinghino, e per quali ingannevoli mez>> zi vi chiudano la via al tornare indietro ; >> com'elleno vi trascinino nelle schiavitù del peccato, e vi tolgono d'obbedire alle leggi » le più sante, fermate sull'umana giustizia, » l'obbedienza alle quali quand'ella è libera

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(1) Nel Luglio del 1310. V. il Villani lib.» e volontaria, non tanto non è servitù, ma VIII, cap. 120,

» considerata attentamente ella appare la

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>> maggiore delle libertà: perciocchè cosa è >> mai l'obbedienza alle leggi se non il libe>> ro passaggio della volontade all'azione? E >> questo è appunto quello che le leggi ac»cordano a coloro, che sono ad esse fedeli. » Se, a parer vostro, non sono uomini ve>> ramente liberi se non quelli che obbedi>>scono in tutto alla propria volontà, a qual >> setta volete appartenere, voi che profes>> sando l'amore alla libertà, congiurate di >> tulta forza contro il Principe posto a ser>> bare le leggi? O sciaurata schiatta di Fiesole, io ti veggio tornare nel nulla! Non >> siete voi di terrore compresi ponendo men» te a ciò ch'io v'annunzio? Egli appare al >> primo aspetto di no: ma io veggio, che >> abbenchè per dubbi fatti e per fallaci detti >> facciate sembiante di nutrire speranza, pure >> non trovate minore travaglio; e che dai >> vostri sonni vi risvegliate bene spesso di >> spavento ripieni, sia che questo muova dal» le predizioni a voi fatte, sia che muova >> dagl'inefficaci vostri provvedimenti contro >> la tempesta che vi romoreggia sul capo ». Termina l'Alighieri annunziando a'suoi concittadini, a' suoi nemici, che il tempo era omai trascorso, e che l'Imperatore, già si clemente e sì buono, null'altro omai avrebbe dato loro che il meritato castigo. Ventinove mesi più tardi il veleno di Buonconvento (1) diede una trista risposta alle minaccie del ghibellino scrittore.

18 Marzo 1311: la prima, che non ha data, dee con molta probabilità essere stata scritta nell'estate del 1310 alloraquando gli emissari d'Arrigo percorrevano per ogni verso l'Italia, per guadagnare al di lui partito quelli che si stavano indecisi, e per incoraggiarvi gli altri che ad esso si mostravan devoti. Or questa prima lettera della Contessa contiene de'ringraziamenti i più grandi per la particolar prova d'affetto che l'Imperatrice ha voluto darle colla participazione delle sue nuove medesime e di quelle pure del suo marito. La seconda esprime quant'ella prenda parte alla gioia dell'Imperatrice in essa destatasi pe'felici avvenimenti di che le tiene discorso (forse gli avvenimenti d'Asti, Novembre 1310); e la terza finalmente contiene nuove proteste di congratulazione, alle quali, sull'espressa domanda dell'Imperatrice, ella aggiunge alcune parole intorno lo stato di sua salute, di quella del suo marito e de'figli. Noi veggiamo pertanto Margherita, la fedele compagna d'Arrigo, adoperarsi per la causa del suo marito, cercando di guadagnare a lui i cuori degl'Italiani, fra la nobiltà pure de'Guelfi. Nella sottoscrizione la Contessa si nomina Contessa Palatina di Toscana, titolo che allora si davano quasi che tutti i Conti Guidi. Noi adunque riconosciamo in essa la sposa del Conte Guido, madre di colui che nel Purgatorio VI, 17 è chiamato Federico Novello. Dalla dizione, Le tre ultime Epistole, più brevi che tutte dalle frasi e dall'andamento di queste Epile altre, non sono sottoscritte col nome di stole siamo indotti a credere ch'elleno sieno Dante, ma con quello della Contessa G. state scritte sotto la dettatura di Dante, che (Guidi) di Battifolle, e dirette all'Impera- in quel tempo trovavasi nel Val d'Arno sutrice Margherita di Brabante, sposa d' Arri-periore presso i Conti Guidi; per lo che l'amgo VII. Fra queste Epistole l'ultima, che fu senza dubbio scritta appresso le altre, è datata da Poppi, Val d'Arno superiore, il

(1) Secondo alcuni storici Arrigo mori in Buonconvento non per la febbre prodottagli dalla mal aria di Maremma, ma per veleno

mettere col Troya (2) la prigionia di Dante nella Bocca di Porciano (anno 1311), è cosa affatto improbabile.

datogli per opera de' suoi nemici, i Guelfi. (2) Del Veltro allegorico, pag. 123.

SULL'EPISTOLA I.

A CINO DA PISTOIA.

parole di quell'amore allegorico, che di sensuale cambiandosi in intellettuale ( testimone l'Autore stesso nel suo Convito) accese, dopo la morte di Beatrice, il petto dell' Alighieri. Che il Pistoiese Giureconsulto e Poeta, spenta la sua Selvaggia, passasse ad altri amori di femmine, e fosse in quelli molto mobile ed incostante, la è cosa certissima, secondo la testimonianza de' suoi biografi, ed anche per le parole di Dante medesimo (Son. LI):

Primo a pubblicar colle stampe questa condo il Witte, fu la Canzone Voi che inEpistola fu il Prof. Carlo Witte, il quale tendendo, e che probabilmente avrà fatto la trasse dal Codice 8. Plut. XXIX della Laurenziana. Fino dal 1740 il P. Lagomarsini avea fatt' uso di questo medesimo Codice, e nel 1759 l'Ab. Mehus aveane tratto la nota Lettera di Frate Ilario del Corvo, che tanta luce diffonde sulla storia della Divina Commedia, comechè abbia dato luogo a controversie non ancora ultimate. Anche il Canonico Angelo Maria Bandini, nel descrivere accuratamente quel Codice nel bel Catalogo de' MSS. Laurenziani, avea fatto parole di questa e di altre due Lettere (l'una all' Amico fiorentino, l'altra ai Cardinali italiani riuniti al Conclave di Carpentras), ma non erasi accorto ch' elle fossero di Dante Alighieri, ed aveale quindi asserite d'un anonimo. Il Mehus però nel tornar sopra quel Codice si avvide che la Lettera all'Amico Fiorentino era cosa di Dante Alighieri,

di questa scoperta fece parte al Canonico Dionisi, il quale se ne valse ben tosto, pubblicando nel quinto de' suoi Aneddoti, Verona 1790, quella interessantissima Epistola, che nella presente edizione è la V.

Ma in progresso il Sig. Conte Troya nell'esaminare su quel medesimo Codice la Lettera di Frate Ilario, che presentavagli il più forte argomento a risolvere la questione da esso trattata intorno al Veltro allegorico, s'avvide che non una, ma tutte e tre le Lettere or ora indicate appartenevano egualmente a Dante Alighieri. E nel dar di ciò contezza alla Repubblica Letteraria, volle pubblicare nell' Appendice al Libro del Veltro un brano di quella fra le due inedite che sembrogli la più importante, e che qui appresso sta col numero IV.

lo mi credea del tutto esser partito.

Da queste vostre rime, o Messer Cino,
Che si conviene omai altro cammino
Alla mia nave, già lunge dal lito.
Ma perch' io ho di voi più volte udito
Che pigliar vi lasciate ad ogni uncino,
Piacemi di prestare un pocolino
A questa penna lo stancato dito.
Chi s'innamora si come voi fate,

Ed ad ogni piacer si lega e scioglie,
Mostra ch' Amor leggiermente il saetti.
Se 'l vostro cuor si piega in tante voglie,

Per Dio vi priego, che voi 'l correggiate,
Sicchè s'accordi i fatti a' dolci detti.

Nel fine poi di questa Epistola trovansi alcune parole di consolazione che Dante porge all'amico, pur esso sventurato, siccome quegli, che trovavasi in bando dalla sua patria. L'esilio di Cino fu dall' anno 1307 al 1319; laonde è certo, che la Lettera, lá quale nel Codice Laurenziano non porta data, appartiene a tal intervallo di tempo. Ed abbenchè questa e le altre due Epistole nello stesso Codice contenute, non esprimaOr tornando alla Lettera a Cino da Pi-no il nome di Dante se nou per mezzo della stoia ( exulanti Pistoriensi ) dirò esser que-iniziale D seguita da un punto ( Epistola D. sta una responsiva. Apparisce che Cino in- de Florentia), pure si per quell' aggiunto terrogasse l'Amico suo, se l'anima nostra de Florentia si per l'altro nella Lettera trapassare si possa di passione in passione. presente florentinus exul immeritus, e si E alla quistione proposta Dante rispose con specialmente pel lor contenuto, non possoquesta Lettera, la quale egli accompagnò no lasciare il minimo dubbio, ch' esse non d'un poetico componimento, che forse, se- 'appartengano a Dante Alighieri.

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