SONETTO NONO. Poichè sguardando il cor feriste in tanto Di grave colpo, ch'io batto di vena, Dio, per pietade or dagli alcuna lena, Che' tristo spirto si rinvegna alquanto! Or non mi vedi consumare in pianto Gli occhi dolenti per soverchia pena, La qual si stretto alla morte mi mena, Che già fuggir non posso in alcun canto? Vedete, donna, s' io porto dolore, E la mia voce s'è fatta sottile, Chiamando a voi mercè sempre d'amore! E s'el v' aggrada, donna mia gentile, Che questa doglia pur mi strugga il core, Eccomi apparecchiato servo umile! Io SONETTO DECIMO. maledico il dì ch' io vidi in prima La luce de' vostri occhi traditori, El punto che veniste in sulla cima Del core a trarne l'anima di fuori: E maledico l'amorosa lima, C'ha pulito i miei detti e i bei colori, E maledico la mia mente dura, Che ferma è di tener quel che m'uccide, Per cui Amor sovente si spergiura, Che credo tor la ruota alla ventura. Neuntes Sonett. eil euer Anblick so das Herz berührt Weil Mit schwerem Schlag, daß alle Nerven beben, Gott, laß dein Mitleid etwas Luft ihm geben, Damit der arme Geist Erholung spürt! Siehst du nicht, wie ich weinend jetzt verzehre Die mich so nahe läßt dem Tode sein, Doch, meine edle Herrin, wenn dies Leid Euch Freude macht, drin mir das Herz vergeht, So seht mich als demütigen Knecht bereit. Zehntes Sonett. ch fluch dem Tag, wo ich zuerst ward inne Des Lichts von euerm Aug, das mich verriet, Und dem Moment, wo ihr erstiegt die Zinne Des Herzens, draus ihr mir die Seele zieht: Fluch auch der zarten Feile, die aus Minne Geglättet und so buntgefärbt manch Lied, Daß es für euch im Schmuck der Reime rinne, Daß huldigend stets auf euch die Mitwelt sieht: Fluch dem Gedächtnis auch, das dessen sich, Was mich getötet hat, nicht will entschlagen, Des Bildes, dem nie Reiz und Unheil wich, Drob Amor euch verschwor oft freventlich, Daß alle sein und mein zu lachen wagen, Weil ich das Glücksrad rauben wollt für mich. SONETTO DECIMOPRIMO. Parole mie, che per lo mondo siete, Voi che nasceste poich' io cominciai Piangendo sì, ch' ella oda i nostri guai, Dicendo: «A voi dovem noi fare onore !» SONETTO DECIMOSECONDO. Chi hi guarderà giammai senza paura Che m'hanno concio sì, che non s' aspetta Per me se non la morte, che m'è dura? Vedete quanto è forte mia ventura, Che fu tra l'altre la mia vita eletta Per dare esempio altrui, ch' uom non si metta A rischio di mirar la sua figura. Destinata mi fu questa finita; Dacch' uomo conveniva esser disfatto, E però lasso! fu' io così ratto In trarre a me 'l contrario della vita, Elftes Sonett. hr Worte mein, die ich der Welt geschenkt, Werft ihr zu Füßen demutvoll euch nieder Zwölftes Sonett. er blickte jemals, ohne zu verzagen, Wer Wohl in die Augen diesem hübschen Kinde, Nur einer wird dem Untergang geweiht, Ε SONETTO DECIMOTERZO. non è legno di sì forti nocchi, Nè anco tanto dura alcuna pietra, Deh perchè tanta virtù data fue Agli occhi d' una donna così acerba, Ed è contr' a pietà tanto superba, Che, s' altri muor per lei, nol mira piue, SONETTO DECIMOQUARTO. Se e vedi gli occhi miei di pianger vaghi Ch' egli ha già sparto, e vuol che 'l mondo allaghi. E messo ha di paura tanto gelo Nel cor de' tuoi fedei, che ciascun tace; Questa virtù, che nuda e fredda giace, Chè senza lei non è qui in terra pace! |