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parte più umile di nostra natura alla più degna e sublime, che lega noi all'infinito fuor di noi, ma si tramuta in un vacuo formalismo, o si petrifica in un rigido sistema di dogmi; e se può tuttavia con la maestà e con la vastità dell'aspetto indur maraviglia, non commove, non agita e non solleva più. Così in qualche parte avviene della poesia, e dico in qualche parte soltanto, poichè l'umano che sempre vi tiene il più gran luogo, rimane intelligibile in ogni tempo. Se non che non v'illudete. Quando voi vi sentite commover dentro alla lettura dell'Iliade non crediate che sia tutta emozione poetica quella, imperocchè veramente non è tale se non in parte. Vi commove la poesia del libro, ma vi commovono anche più altre cose che non sono nel libro, e che spontanee, senza che voi ve ne accorgiate nemmeno, vi nascon nell'animo: la lieve e natural turbazione che genera in voi lo spettacolo di quella età tanto remota dalla nostra; il pensiero che di quel clamoroso passato non è rimasta altra voce nel mondo se non quella oramai che in una morta favella vi suona nell'attonito orecchio; un sentimento pauroso e strano di voi medesimi, vivi e presenti, che dopo tanto volger di secoli e tante morte generazioni, vi fate specchiar nell'anima quei lontanissimi casi; la trepidazione continua che si genera nel vostro intelletto dalla minuta dissonanza che è tra le idee che per la lettura vi si suscitan dentro e (lasciatemi usar di un concetto e di una denominazione ormai famigliari ai psicologi) e i gruppi delle idee ap

percettive; tutti questi pensieri e tutti questi sentimenti concorrono, quando non vi si aggiunga ancora l'interesse letterario e scientifico, a produrre in voi quell'indimenticabile commovimento. Del quale se voi potrete, con qualche sforzo, sceverar gli elementi, vedrete, non senza maraviglia, che la poesia propria del libro vi ha assai più picciola parte che prima forse voi non foste inclinati a credere. Gli è che ora in poesia noi abbiamo un altro spirito, e usiamo un altro linguaggio.

Certo la poesia ha molto perduto della estensione antica; ma quanto ell'ha perduto in amplitudine, tanto, per compenso, ha guadagnato in acuità; ed egli era mestieri che così si mutasse perchè gli animi nostri indurati nel lungo uso della riflessione potessero ancora esserne penetrati. Son molti che vedendo questa diminuzione e questo addensamento dubitano non sia giunta ormai l'ora che ponga termine alla vita di quest'arte, antichissima avvivatrice e consolatrice degli animi umani; e par loro ch'ella faccia quel medesimo che negli organismi animali fanno il sangue e gli spiriti, che, in sul passo della morte si raccolgono al cuore. Ma non parmi che sia buona ragione a questo dubbio; nè posso indurmi a credere che la poesia s'apparecchi a morire in quella appunto che tutta la viene penetrando un maraviglioso spirito di novità, in quella ch'essa così potentemente agita e sconvolge gli spiriti nostri. Chi è tra voi che non porti profondi nella coscienza i solchi del verbo d'un Goethe, d'un Byron e d'un Leopardi? Gli è vero;

la poesia s'è ritratta dalla vita, e lo spirito della scienza pari ad una crescente marea la vien tutto intorno premendo; ma ella si raccoglie, come in una cittadella nel cuore, e rincacciata da una parte dalla ragione, rientra dall'altra, e in novo connubio si associa alle idee ed alla speculazione, e colora di sè i grandi e immortali problemi dello spirito. E poichè io sono entrato in questo argomento, e poichè si fa oggidì un gran discorrere della guerra che lo spirito scientifico muove allo spirito poetico, e da molti si dubita che questo non abbia finalmente a rimaner sopraffatto, lasciate che alquanto io mi fermi, a fare alcune considerazioni. Certo in principio, e in tesi generale, la scienza nuoce alla poesia. Quando noi ci siam formati nello spirito la nozione scientifica di una cosa, non possiamo più senza ripugnanza riceverne la nozion poetica; cosi vuole la propria natura dell'anima nostra, dove le rappresentazioni contrastanti tendono a sopraffarsi reciprocamente e a sopprimersi. Ora la poesia vive in gran parte di mistero : ella ha bisogno d'una certa oscurità e di una certa dubbiezza, perchè la fantasia non si esercita liberamente se non sulle cose dubbie ed oscure; ell'ha bisogno del mito, perchè nel mito integra idealmente e fantasticamente le cose, e perchè senza integrazione ideale e fantastica non v'è poesia. Voi sentite che io accenno qui al vizio fondamentale di quello che oggi si chiama il realismo. Quando una cosa è divenuta troppo chiara, quando la nozione che noi ne abbiamo è divenuta troppo precisa,

la poesia naturalmente se ne allontana; e poichè la scienza ha per iscopo appunto di render le cose chiare e le nozioni precise, voi vedete che tra la scienza e la poesia è un originale antagonismo e una viva guerra e continua. Se non che non è guerra così cruda e mortale come generalmente si stima. Le vaste e grandi idee sono spesso di lor natura poetiche, e però son poetiche molte tra le grandi verità della scienza. Inoltre un oggetto perfettamente chiarito dalla scienza, se cessa d'essere poetico per sè stesso, può tuttavia entrare in una qualche relazione poetica, e rimaner pertanto nel dominio della poesia. Reco un esempio. Gli è gran tempo che gli uomini non veggon più nella luna la vergine Diana, la cacciatrice dall'arco d'argento, e son più e più anni trascorsi che la scienza ce l'ha mostrata agli sguardi nudo e squallido pianeta, privo d'aria e di vita, cenere e scoria di un mondo combusto. E pur non di meno la poesia non l'ha abbandonata ancora questa sua dolce amica, nè l'abbandonerà per altro tempo parecchio. Certo, presa in sè, la nozione mitica e antica era più poetica della positiva e moderna; ma pur tuttavia anco questa è atta a produrre in noi quella commozione che la poesia intende a produrre, quando noi ci facciamo a paragonare quel morto pianeta a questo vivo in cui abbiamo stanza, e a cui serbano i tempi la medesima sorte; quando vivamente ci rappresentiamo allo spirito il contrasto di quella luce serena, di quella luce alla cui idea noi irresistibilmente colleghiamo l'idea

della vita, e di quell'eterno e mortale silenzio; quando poniamo in intima relazione gli aspetti e le qualità di esso con le vicende della vita nostra, con la dubbiezza di noi medesimi, con tutta quella fantasmagoria di sentimenti figurati, che, senza posa, com'ombre, passano e ripassano sullo specchio della nostra coscienza. Finalmente ei non bisogna dimenticare che la scienza per ogni problema che risolve un altro ne suscita, e che la fantasia, la quale usa correrle innanzi si trova sempre a fronte uno spazioso e libero campo.

Della poesia nostra presente, come di ogni altra poesia, due sono gli obietti: l'uomo e la natura; e di questi due obietti, sebbene nello spirito scientifico sia qualche tendenza alla confusione, non s'è mai fatto un così profondo discernimento com'ora. Gli è che in nessun tempo nemmeno gli uomini ebbero più viva coscienza di sè medesimi, e che mai questo eterno problema dell'esser nostro non fu scrutato sì addentro e con si febbrile insistenza. Più d'una volta abbiamo veduto lo scrutatore dare indietro esterrefatto alla vista degli abissi che gli si aprivan dinanzi; più d'una volta abbiamo veduto l'uomo farsi Gorgone a sè medesimo. E la poesia s'inspirò di queste indagini e di questi terrori, e nacquero al mondo le figure di Amleto, di Fausto e di Manfredo. Notate una curiosa diversità che corre da tempi a tempi. Man mano che l'uomo afferma ed accresce la potestà sua sulla natura, man mano che gl'inciviliti costumi si sostituiscono ai barbari, che le

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