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I.

Tutti hanno presente il canto IV dell'Inferno in cui Dante, con le ombre dei grandi poeti dell'antichità, Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio e Lucano, fatto, in segno d'onore, della loro stessa schiera e divenuto sesto fra cotanto senno, entra in un nobile castello, dove, in prato di fresca verdura e da luogo aperto, luminoso ed alto, gli viene tutta mostrata l'orrevol gente che vi stava. E vede fra gli altri e più alto degli altri,

il maestro di color che sanno

Seder tra filosofica famiglia:

e vede Socrate e Platone,

Che innanzi agli altri più presso gli stanno:

e vede Democrito e Diogene e Anassagora e Talete, e molti e molti ancora.

Ma il poeta non può ritrarre di tutti appieno; chè lo caccia il lungo tema, e, riZUCCANTE. Figure e dottrine, ecc.

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dottisi a due i sei compagni, è tratto da Virgilio per altra via:

La sesta compagnia in duo si scema;
Per altra via mi mena il savio Duca,

Se fosse lecito aggiungere un'altra allegoria alle tante di cui è pieno il poema, si direbbe che qui Dante abbia voluto ritrarre se stesso e l'opera sua.

Egli entra nel nobile castello, dove sono gli spiriti magni del tempo antico. Egli sta bene in mezzo a loro e s'esalta in vederli; e quelli, d'altra parte, lo fanno segno a dimostrazioni d'onore. Quella gente rappresenta il passato, e Dante anche rappresenta il passato, perchè lo riassume. Ma riassumere il passato è appena la metà dell'opera d'un grand'uomo: il grand'uomo riassume il passato colla forza d'un pensiero originale, sicchè prepara anche, insieme, l'avvenire; il grand'uomo è come una di quelle divinità a due faccie che i Romani adoravano; dall'una parte, riguarda il passato che rappresenta; dall'altra, l'avvenire che precorre. E in Dante c'è l'avvenire oltrechè il passato: egli non s'arresta agli antichi savi, egli li oltrepassa; la via battuta egli percorre volentieri, ma vede anche, o intravvede, un'altra via:

Per altra via mi mena il savio Duca.

Per tal modo egli riunisce i tempi e, riunendoli, li domina, e, dominandoli, sottrae se stesso all'oblio che loro tien dietro e diventa immortale.

Trattando del concetto e del sentimento della natura nella Divina Commedia, io m'ingegnerò di mostrare quanto del passato sia in Dante; quant'egli abbia attinto da quel maestro di color che sanno, che là, nel Limbo, gli appare come in un'apoteosi di gloria, circondato da discepoli e ammiratori; m'ingegnerò di mostrare come la dottrina della natura, già formulata dal filosofo e cristianeggiata poi dalle scuole del medio evo e specialmente da san Tommaso, sia passata nel sacro poema, vivificata dalla poesia e dall'affetto. Ma insieme mostrerò che Dante non ripeteva semplicemente: un concetto nuovo della natura cominciava a manifestarsi in lui, accanto al vecchio; sovrattutto un sentimento di essa, quale non era negli antichi, e meno ancora nel medio evo, in cui la natura o non avea valore che in quanto era scala al Fattore, o, peggio, era considerata sorgente di corruzione e di peccato.

II.

Dopo la morte di Beatrice, s'è visto, 4) Dante, a conforto e sfogo dell'animo, s'era dato allo studio della filosofia, e, andato lă << ov'ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole de' religiosi e alle, disputazioni de' filosofanti »>, tanto era stato preso d'amore per essa, da dimenticare affatto ogni altro pensiero. La filosofia, anzi, in quel periodo, gli era apparsa come una donna gentile che, in atto misericordioso, gli consolasse la vedova vita, e a lei, qual di poeta innamorato, saliva la sua canzone d'amore.

E tutti gli autori antichi conosciuti allora e i recenti che trattassero di filosofia, esercitarono il pensiero di Dante, e tutti furono compagni delle sue veglie. E sovra tutti anche per lui, come per ogni altro nel medio evo, andava Aristotele, autorità suprema nella scienza, indice e misura della ragione umana, della vita guida sicura e infallibile, << degnissimo di fede e d'obbedienzia »>, <<< additatore e conduttore della

gente >> 2).

1) Vedi di questo volume pgg. 3-4.

2) Convivio, IV, 6. Vedi di questo volume pgg. 56-58.

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