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V..

E con questa trasfigurazione della donna gentile, avvenuta nel Convivio, il poeta mirava a un doppio intento. Anzitutto a togliere il biasimo in cui era caduto, o temeva d'esser caduto, per la celerità con cui dall'amor di Beatrice era passato ad altro amore: quando si fosse saputo di che natura fosse l'amore che l'avea mutato, e che non trattavasi di « sensibile dilettazione »>, non biasimo avrebbe raccolto, sicuramente. << Dico che pensai che da molti di retro da me forse sarei stato ripreso di levezza d'animo, udendo me essere dal primo amore mutato. Per che, a torre via questa riprensione, nullo migliore argomento era, che dire qual era quella donna che m’avea mutato » :1) «< dissi amore ragionare nella mente, per dare ad intendere che questo amore era quello che in quella nobilissima natura nasce, cioè di veritade e di vertude, e per iscludere ogni falsa opinione da me, per la quale fosse sospicato lo mio amore essere per sensibile dilettazione ». 2) La speciale condizione d'animo, in cui Dante scri2) Conv., III, 3.

1) Conv., III, 1.

veva il Convivio, molto tempo dopo la Vita Nuova, dovea fargli deplorare di essere stato troppo proclive agli amori, e desiderare quindi di giustificare in qualche modo il suo libello giovanile, che poteva essere accusato di leggerezza e di troppo calore e passione, ma a cui in realtà egli <«< non intendeva derogare in parte alcuna ». << E se nella presente opera, la quale è Convivio nominata e vo' che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo sì come ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile essere conviene. Chè altro si conviene e dire et operare a una etade, che ad altra; per che certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra.......... Et io in quella dinanzi all'entrata di mia gioventute parlai, et in questa dipoi quella già trapassata ». 1)

1) Conv., I, 1. Cfr. anche Conv. I, 2: « Temo la infamia in tanta passione avere seguita... La quale infamia si cessa per lo presente di me parlare interamente; lo quale mostra che non passione, ma virtù sia stata la movente cagione. Intendo anche mostrare la vera sentenzia che per alcuno vedere non si può s'io non la conto, perchè è nascosta sotto figura d'allegoria ». Cfr. pure Conv. 1, 4, in fine, e II, 16, in fine: «< Dico et affermo che la donna, di cui io innamorai appresso lo primo amore, fu la bellissima ed onestissima figlia dello Imperatore dell'universo, alla quale Pitagora pose nome filosofia >>.

Si dirà non degna di Dante la finzione? Ma la scusa la breve durata dell'amore per la donna gentile, che rimase come sopraffatto dalla vasta e profonda contemplazione filosofica a cui il poeta si diede, e che costituì un avvenimento decisivo della sua vita.

Il secondo intento, a cui Dante mirava con la trasfigurazione della donna gentile, è anche più importante.

Coi nuovi studi della filosofia Dante avea imparato la dottrina del senso letterale e del senso allegorico. Erano di questa dottrina così profondamente imbevuti gli autori che formarono allora l'alimento intellettuale del poeta, Beda, Ugo di san Vittore, san Tommaso, san Bonaventura, e così via; e, d'altra parte, le «< scuole dei religiosi », ch'egli frequentò e «<le disputazioni dei filosofanti », a cui intervenne, doveano farne tanto l'oggetto del loro insegnamento e delle loro dispute, che essa si convertì come in succo e sangue suo.

E il fondamento di questa dottrina era, che il senso letterale deva precedere l'allegorico, cioè, la realtà, la storia precedere l'allegoria; senza la realtà, senza la storia l'allegoria rimane come campata in aria, perde come il suo fulcro naturale. «Spiritualis expositio, scrive san Tommaso, semper debet habere fulcimentum ab aliqua literali

expositione»,1) ed Ugo di san Vittore nei « libri didascalici» raccomanda vivamente al suo discepolo di imparar bene a penetrar nella sentenza d'un libro secondo la lettera, perchè altrimenti non potrebbe procedere all'allegoria: «Hoc nimirum in doctrina fieri oportet ut videlicet prius historiam discas.... Neque ego te perfecte subtilem posse fieri puto in allegoria, nisi prius fundatus fueris in historia » ; 2) e considera, lo stesso Ugo di san Vittore, come «fundamentum et principium doctrinae », la storia, dalla quale « quasi mel de favo veritas allegoriae exprimitur ». 3) Il senso di questi insegnamenti era espresso da Dante in immagini felici: il senso letterale e storico è come il di fuori di una cosa, senza cui naturalmente non può stare il di dentro, è come il soggetto, la materia, « sopra che la forma dee stare »; è come il fondamento d'una casa, su cui la casa viene a costruirsi; mentre il senso allegorico è, appunto, come il di

1) Quaest, Quodlib. VII, quaest. VI, artic. XIV. In questo stesso articolo san Tommaso scrive ancora: «sensus spiritualis semper fundatur super literalem et procedit ex eo »>.

2) HUGONIS DE SANCTO VICTORE opera omnia, Maguntiae, 1617, t. III, 1. VI, c. III. Questo capitolo III, che ha per titolo «De historia et libris in ea legendis,» è importantissimo per il caso nostro, come è importante anche il capitolo che segue e che ha per titolo De allegoria ».

) Ib. Cfr. PARIDE CHISTONI, La seconda fase del pensiero dantesco, Livorno, Giusti, 1903, p. 170-173.

dentro, come la forma, come la casa costrutta. 1)

Con questa dottrina, per la quale, adunque, non vi può essere allegoria senza fondamento di senso storico o letterale, che inchiuda realmente una verità, e senza il quale «< sarebbe irrazionale, cioè fuori d'ordine » il processo allegorico; irrazionale e fuori d'ordine, perchè «la natura vuole che ordinatamente si proceda nella nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio, in quello che conoscemo non così bene >> ; 2) con questa dottrina

1) Conv. II, 1. «In ciascuna cosa che ha 'l dentro e 'l fuori, è impossibile venire al dentro, se prima non si viene al di fuori; onde conciossiacosachè nelle scritture la sentenza litterale sia sempre lo di fuori, impossibile è venire all'altre, massimamente all'allegorica, senza prima venire alla litterale. Ancora è impossibile, però che in ciascuna cosa naturale et artificiale è impossibile procedere alla forma, sanza prima essere disposto il suggetto, sopra che la forma dee stare. Sì come impossibile è la forma dell'oro venire, se la materia, cioè lo suo suggetto, non è prima digesta et apparecchiata; e la forma dell'arca venire, se la materia, cioè lo legno, non è prima disposta et apparecchiata. Onde, conciossiacosachè la litterale sentenza sempre sia soggetto e materia dell'altre, massimamente dell'allegorica, impossibile è prima venire alla conoscenza dell'altre, che alla sua. Ancora è impossibile, perocchè in ciascuna cosa naturale et artificiale è impossibile procedere, se prima non è fatto lo fondamento, sì come nella casa, e siccome nello studiare ». Cfr. UGO DI SAN VITTORE al cap. III del libro VI dei didascalici, dove si legge: «< Sicut vides, quod omnis aedificatio fundamento carens stabilis esse non potest, sic etiam in doctrina. Fundamentum autem et principium doctrinae sacrae scripturae historia est ». 2) Conv., II, 1.

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