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Lo ciel seguente, ch'ha tante vedute,
Quell'esser parte per diverse essenze,
Da lui distinte e da lui contenute;
Gli altri giron per varie differenze

Le distinzion, che dentro da sè hanno,
Dispongono a' lor fini e a lor semenze.
Questi organi del mondo così vanno,
Come tu vedi omai, di grado in grado,
Che di su prendono, e di sotto fanno.

(Parad., II, 112-123).

In questi versi in cui è gran parte del sistema mondiale di Dante, chi non vede insieme riprodotta, con leggere mutazioni, la dottrina cosmica d'Aristotele? Anche in Aristotele, infatti, il mondo è concepito come una grande sfera, risultante, alla sua volta, di più sfere concentriche, differenti fra loro per grado e per movimento, e aventi, la superiore rispetto all'inferiore, quello stesso rapporto che il principio formale o motore ha rispetto al principio materiale: anche in Aristotele c'è una prima sfera, un primo cielo, il più perfetto e il più vicino a Dio, che da Dio riceve direttamente il moto e lo comunica poi agli altri cieli, i sette pianeti, primo motore mobile rispetto al primo motore immobile. Ben è vero che Aristotele assegna al cielo delle stelle fisse l'ufficio di primo motore mobile, e non già a un cielo superiore a questo, al cielo cristallino, che Dante ammise seguendo Tolomeo;) ben è vero anche che Dante, seguendo li cattolici, co

1) Cfr. Convivio, II, 3 e 4.

m'egli s'esprime nel Convivio, 1) ammise un quieto e pacifico cielo, l'empireo, sede della divinità e de' beati. Ma anzitutto, per ciò che riguarda l'empireo, pare che Aristotele stesso, sebbene confusamente, ammettesse qualche cosa di simile, come risulta dal suo De Coelo, 2) e come Dante avverte nel Convivio; 3) e poi, in ogni caso, si deve badare al fondo, alla sostanza della dottrina di Dante, e questo fondo, questa sostanza è pur sempre in Aristotele.

E anche d'Aristotele è la dottrina, pure ammessa da Dante, degli elementi: fuoco, aria, acqua, terra; quest'ultima, centro dell'universo ed immobile, mentre gli altri tre, col resto delle sfere mondiali, girano intorno ad essa. Il poeta, nella sua ascensione, ha più particolarmente ritratto il supremo cerchio elementare, il cerchio del fuoco, sede della folgore, immediatamente al di sotto del cielo della luna. Come in Aristotele, anche in Dante il nostro mondo sublunare, cioè il mondo degli elementi, va soggetto alle vicende del nascere e del perire, è temporaneo e caduco; mentre i cieli superiori sono eterni e incorruttibili, e, appunto colla virtù onde sono dotati, agiscono sulle vicende di questo mondo inferiore.

3) IV, 4.

1) II, 4,

4) Vedi il canto I del Paradis

2) 1; Paradiso.

V.

Ma il sistema della natura in Dante, quale noi abbiamo descritto nelle sue linee generali, e ch'egli attinse nella scienza del tempo, rappresentata massimamente da Aristotele, cristianeggiato, non è al postutto che lo scheletro, a dir così, che l'ossatura d'un gran corpo; la buccia, se ci si permette anche quest'altra immagine, d'un frutto meraviglioso. Ciò che vivifica quello scheletro, ciò che rimpolpa quell'ossatura, ciò che riempie quella buccia, manca ancora in quel sistema; nè la scienza del tempo poteva offrirlo a Dante. La scienza del tempo era anzi fatta apposta per fare che Dante privasse la natura d'ogni contenuto interiore, d'ogni significato vero e profondo. Mancando la natura d'una vera propria finalità intrinseca, essendo il suo fine in Dio, essa dovea acconciarsi, per ciò stesso, a servire di mezzo. E non basta. La natura era anche il male nel medio evo, ciò che ci distacca dal nostro vero fine; liberarsene era un merito, averla in orrore un dovere. Alla vita attiva era succeduta la contemplazione dell'ascesi; alla città era

preferito il cenobio, a quella guisa che il cielo sorpassava di lunga mano la terra. Anche la redenzione, concepita dapprima come una necessità dai Neoplatonici, era divenuta poi arbitraria nella Scolastica; poteva non avvenire. E la natura era redenta non per sè, ma perchè la sua redenzione era come un mezzo alla perfezione del mondo degli spiriti, della beata civitas, offuscata nel suo splendore dalla caduta di una parte di essi. Quando questa perfezione sarà ottenuta, scrive Sant'Anselmo, sarà anche rinnovata in meglio la mole corporea. L'uomo stesso non 1) avea fine per sè; Dio l'ha fatto per rifare il numero degli angeli caduti. 2)

A questa nullità della natura e dell'uomo con essa, ch'era il concetto predominante nel medio evo, a quest'eccesso di ascetismo e di misticismo non si acconciò Dante. Scrive egli nel Convivio (1, 1) che «non siede alla beata mensa» dei filosofi, che a' piedi di coloro che seggono »>

«ma

rac

1) Nel Dialogo di sant'Anselmo Cur Deus homo si legge al lib. I, c. XVIII: « Credimus hanc mundi molem corpoream in melius renovandam; nec hoc futurum esse, donec impleatur numerus electorum hominum, et illa beata perficiatur civitas; nec post eius perfectionem differendum ».

2) Nello stesso Dialogo al lib. I, c. XVI si legge: « Deum constat proposuisse, ut de humana natura, quam fecit sine peccato, numerum Angelorum qui ceciderant, restitueret >>.

coglie «< di quello che da loro cade», cioè raccoglie le briciole. E briciole, in realtà, sono le notizie ch'egli raccoglie dalla scienza del tempo, anche in ciò che riguarda la natura, e di cui fa tesoro nel suo poema. Ma ben altro è ciò ch'egli vi aggiunge del suo e che trae dall'intimo fondo dell'anima; ben altro che briciole, che cadono dall'altrui mensa, ei sa offrire in quel meraviglioso banchetto, a cui si direbbe abbia invitate tutte quante le genti. La natura per lui ha una vita propria, ha un valore e un significato proprio; dipende da Dio, è figlia sua, sicuramente; ma ha anche diritti suoi, per così dire, ha bellezze ed energie che, pur essendo manifestazioni della bellezza ed energia infinita, meritano di essere celebrate come se fossero proprio sue, come se ad essa appartenessero veramente.

Già da qualche tempo, nota il Burckardt, 1) la natura era monda e purificata d'ogni influsso di potenze soprannaturali; lo stesso san Francesco d'Assisi nel suo Cantico delle Creature loda il Signore non per altro, che per la creazione delle luci del cielo e dei quattro elementi. Ma in Dante, più che in altri, si rivela questa specie di autonomia della natura; in Dante, più che in altri, si hanno le prove più convincenti della profonda impres

1) La Civiltà del Rinascimento, vol. I, p. 27 della trad. Valbusa.

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