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ciali condizioni nelle quali si fa menzione di Lia ed è questo personaggio introdotto nel poema. Lia, anzi, preannunzia Matelda; e, appunto, perchè Lia rappresenta sicuramente, per confessione del poeta, la vita attiva, Matelda, nel pensiero del poeta stesso, non può rappresentare altra cosa. Dante, passato attraverso le fiamme del settimo girone, sta per salire al paradiso terrestre ; sopravvenendo la notte, fa, coi suoi compagni, Virgilio e Stazio, letto d'un grado, e il sonno lo prende; il sonno, nota il poeta, quasi per mettere in avvertenza il lettore, che sovente, anzi che il fatto sia, sa le novelle (Purg., XXVII, 92 sgg.); durante il sonno sogna:

Nell'ora, credo, che dall'oriente

Prima raggiò nel monte Citerea,

Che di fuoco d'amor par sempre ardente,
Giovane e bella in sogno mi parea
Donna vedere andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
Sappia, qualunque il mio nome domanda,
Ch'io mi son Lia, e vo movendo intorno
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio qui m'adorno;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga
Dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
Ell'è de' suoi begli occhi veder vaga,
Com'io dell'adornarmi con le mani;
Lei lo vedere, e me l'ovrare appaga

(Purg., XXVII, 94 sgg.).

Perchè questo sogno? questo sogno che, anzi che il fatto sia, sa le novelle? Dante

vuole preannunziare così il paradiso terrestre, Matelda, Beatrice stessa; certamente Matelda. La donna giovane e bella, che va cogliendo fiori per una landa e dice cantando che è Lia, la quale si compiace dell'operare, mentre la sorella sua, Rachele, si compiace del contemplare, non può essere che il simbolo, dirò così, sognato dell'altro simbolo reale, Matelda; ad ogni buon conto, anche Matelda è una donna giovane e bella, e anch'ella va cogliendo fiori, e anch'ella va cantando per la divina foresta del paradiso terrestre. O perchè questa identità, dirò così, esteriore fra le due donne, se poi non dovessero anche interiormente rappresentare la stessa cosa? Dante è avvezzo a ricorrere a questo artifizio dei sogni, quando vuole preannunziare un qualche fatto o un qualche personaggio. La venuta di Lucia, che dall'antipurgatorio lo trasporta alla porta del Purgatorio, è figurata dalla visione, in sogno, di un'aquila :

In sogno mi parea veder sospesa

Un'aquila nel ciel con penne d'oro,
Con l'ale aperte ed a calare intesa:

Poi mi parea che, roteata un poco,
Terribil come folgor discendesse,
E me rapisse suso infino al foco

(Purg, IX, 19 sgg.).

Ed egualmente, al quarto girone, il vizio della intemperanza, che si espia nei tre gi

roni successivi, è figurato dal sogno della femmina balba, negli occhi guercia e sovra i piè distorta, con le man monche e di colore scialba (Purg, XIX, 7 sgg.). L'apparizione del sogno è perciò sempre, in Dante, legata con la realtà effettiva che segue poi; anche questa volta non poteva essere diversamente.

Aggiungasi che, a mio credere, Dante stesso fa capire, in fondo, che Matelda simboleggia la vita attiva, nè più nè meno di Lia. Notinsi infatti questi versi:

Voi siete nuovi, e forse perch'io rido,
Cominciò ella, in questo loco eletto
All'umana natura per suo nido,
Maravigliando tienvi alcun sospetto:
Ma luce rende il salmo Delectasti,
Che puote disnebbiar vostro intelletto

(Purg, XXVIII, 76 sgg.).

Questi versi, o io mi inganno, ci svelano il simbolo di Matelda; ce ne dànno, in qualche modo, la chiave. Essi sono, in generale, interpretati erroneamente. Anzitutto il salmo Delectasti suona così: «Delectasti me, Domine, in factura tua, et in operibus manuum tuarum exultabo. Quam magnificata sunt opera tua, Domine, ecc. », cioè: « Mi hai dilettato, o Signore, nella tua fattura, e nelle opere delle tue mani esulterò. Quanto grandi sono le opere tue, o Signore! » Ora, gli interpreti spiegano l'intero luogo su per giù

in questo modo: «Voi siete nuovi, e forse meraviglia e dubbio vi prendono, perchè io rido in questo luogo eletto per suo nido all'umana natura; ma il salmo Delectasti manda tal luce che può rischiarare l'intelletto vostro, e farvi conoscere che io rido e gioisco per le meravigliose opere del Creatore, che mi circondano ». E altri aggiungono: «nè la serenità della mia gioia è turbata dalla colpa qui commessa, per la quale l'umana natura perdette questo suo nido ». Schiettamente, se un concetto così semplice e ovvio Dante avesse voluto esprimere, non avrebbe adoperato quel solenne:

Ma luce rende il salmo Delectasti,
Che puote disnebbiar vostro intelletto,

che pare introdotto proprio per risolvere una grossa difficoltà e un grosso dubbio; nè, d'altra parte, la grossa difficoltà e il grosso dubbio,

Maravigliando tienvi alcun sospetto

avrebbero avuto ragione di essere. O perchè non doveva essere felice quella creatura in un luogo di delizie, quale quello descritto da Dante, e perchè avrebbe ella supposto che i nuovi visitatori avrebbero trovata strana questa sua felicità? Gli interpreti, in fondo, fanno che Matelda dica

ai nuovi visitatori: «Io sono felice in questo luogo, perchè mi compiaccio delle meravigliose opere che il Creatore vi ha sparso ». << È naturale », potevano questi rispondere, « nè noi si pensava diversamente »; e potevano aggiungere : « anzi, ci meravigliamo che tu potessi pensare che noi si pensasse diversamente ».

Non questo, adunque, dovette dire e intese dire Matelda. Ella doveva pensare che i nuovi visitatori trovassero strano non già che fosse felice e sorridesse di gioia in quel luogo, ma che si trovasse in quel luogo e che cosa mai vi stesse a fare: una creatura in quel luogo non poteva essere che felice; ma come c'era una creatura, e perchè c'era? Ecco la ragione delle parole di Matelda. Mentre ella prevede il dubbio e la maraviglia dei nuovi venuti, sull'essere suo, cerca di snebbiare il loro intelletto col salmo Delectasti. Il salmo loda le opere del Signore, vero inno all' operare; nell'operare, adunque, sta il vero essere di Matelda; ella simboleggia l'operare e, appunto perciò, è nel paradiso terrestre, simboleggiante, a sua volta, la felicità a cui si giunge con l'operare. Così, in fondo, Matelda verrebbe a dire quello stesso che la Lia del sogno: Me l'ovrare appaga, dice Lia, e Matelda con le parole del salmo Delectasti fa capire che ella pure si compiace dell'operare. Il luogo

è un

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