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1)

seconda donna del vangelo di Luca. Rachele è la visione del principio, visum principium; è il riposo, la quiete della vita contemplativa, dopo le fatiche dell'attiva; omnis qui ad Deum convertitur, dice san Gregorio, prius necesse est ut desudet in labore, idest Liam accipiat, ut post ad videndum principium in Rachel amplexibus requiescat; 1) Rachele è bella di faccia, pulchra facie, e la vita contemplativa è speciosa in animo; 2) il simbolo e la cosa simboleggiata si adeguano. Quanto a Maria, ella siede assiduamente ai piedi di Gesù, intenta ad ascoltarne le parole, mentre Marta s'affaccenda nella casa; Marta si turba, ella è serena, e sceglie la parte migliore, che non le sarà tolta: optimam partem elegit Maria, quae non auferetur ab ea, dice Gesù. 3)

1) Summa theol,, II, II, 182, 2. Cfr., del resto, Summa theol., II, II, 182, 1; 180, 1, 2; 179, 2.

2) Summa theol, II. II, 180, 2.

3) Summa theol., II, II, 182, 1. Cfr. Summa theol., II, II, 180, 3; 179, 2.

VI.

Ho detto più sopra che Dante doveva giovarsi largamente delle considerazioni e delle vedute di san Tommaso in ciò che riguarda la vita attiva e la vita contemplativa, cioè, in fondo, pel simbolo filosofico della Commedia.

Anzitutto non occorre ricordare il famoso sogno del 27.° del Purgatorio, su cui ci siamo già fermati abbastanza. Qui la vita attiva e la contemplativa sono appunto simboleggiate rispettivamente da Lia e da Rachele; l'una, che va movendo intorno le belle mani a farsi una ghirlanda; l'altra, che mai non si smaga dal suo miraglio e siede tutto giorno. Ma anche nel Convivio doveva passare il commento cristiano di san Tommaso al pensiero d'Aristotele, come risulta specialmente da questo luogo notevole: «Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicità, secondo due diversi cammini buoni e ottimi che a ciò ne menano: l'una è la vita attiva, e l'altra la contemplativa, la quale (avvegnachè per l'attiva si pervenga, come detto è, a buona felicità) ne mena a ottima felicità e beatitudine, se

condochè prova il Filosofo nel decimo dell'Etica, e Cristo l'afferma con la sua bocca nel vangelo di Luca, parlando a Marta e rispondendo a quella: «Marta, Marta, sollecita se' e turbiti intorno a molte cose: certamente una cosa sola è necessaria, cioè quello che fai»; e soggiunge: « Maria ottima parte ha eletta, la quale non le sarà tolta». E Maria, secondochè dinanzi è scritto a queste parole del vangelo, ai piedi di Cristo sedendo, nulla cura del ministero della casa mostrava; ma solamente le parole del Salvatore ascoltava. Che se moralmente ciò volemo esporre, volle il nostro Signore in ciò mostrare che la contemplativa vita fosse ottima, tuttochè buona fosse l'attiva; ciò è manifesto a chi ben vuole por mente alle evangeliche parole. » 1)

E non basta. San Tommaso, s'è detto, considera la vita come preparazione, come disposizione alla vita contemplativa, in quanto seda l'interno tumulto delle passioni, e produce la pace e la serenità di spirito necessarie a chi abbia a contemplare; e la vita contemplativa fa cominciare qui in terra, per farla assurgere poi alla perfezione nel cielo. Ebbene, anche Dante fa cominciare la vita contemplativa nel paradiso terrestre, appena ottenuta la pienezza della vita attiva.

1 Conv., IV, 17.

Il labor della vita attiva è stato veramente prodigioso. Dante è passato per gli orrori della selva, per le fatiche e i patimenti dell'Inferno e del Purgatorio; così è giunto a virtù morale, alla libertà, alla sanità, alla dirittura dell'arbitrio, e può cominciare, in una perfetta serenità di spirito, la vita superiore della contemplazione. Nel cielo questa contemplazione si attua in tutta la sua pienezza; e i beati danteschi, ancora in corrispondenza all'insegnamento di san Tommaso, secondo il quale, se non dura più in cielo la vita attiva, durano però le virtù morali, frutto di questa, conservano pur essi il frutto di ciò che hanno operato di bene nel mondo; le loro virtù proprie e caratteristiche, cioè, che costituiscono, insieme, il titolo e la condizione della loro beatitudine e del grado maggiore o minore di essa. E così, mentre la contemplazione è come la nota comune di questi beati, mentre la visione di Dio è ciò che costituisce per tutti la beatitudine, ognuno ha una sua propria cagione di meritarla, e di meritarla più o meno; ha come un proprio diritto ad essa, acquistato nella vita attiva e per la vita attiva.

Di qui le diverse categorie di beati nel Paradiso dantesco, e insieme i diversi gradi di loro beatitudine. « Ogni dove in cielo è paradiso » bensì; ma « la grazia del sommo

Ben d'un modo non vi piove » ;) i beati hanno bensì tutti «<i loro scanni» nell'empireo, dove fruiscono della visione di Dio; ma intanto appariscono a Dante in questa o in quella sfera, nella Luna, in Mercurio, in Venere, nel Sole e via dicendo; il che appunto indica, in modo sensibile, per una parte, le varie categorie loro, secondo le virtù da loro esercitate nel mondo (spiriti casti, attivi, amorosi, sapienti, e così via); per l'altra, la loro beatitudine minore o maggiore, in corrispondenza alla loro più o meno chiara visione di Dio.

Dei serafin colui che più s'indìa,
Moisè, Samuel, e quel Giovanni,

Qual prender vuoli, io dico, non Maria,
Non hanno in altro cielo i loro scanni
Che quegli spirti che mo' t'appariro,
Nè hanno all'esser loro più o meno anni.
Ma tutti fanno bello il primo giro,

E differentemente han dolce vita,

Per sentir più o men l'eterno spiro.

[sortita

Qui (cielo della luna) si mostraron, non perchè
Sia questa spera lor, ma per far segno
Della celestial ch'ha men salita. 2)

E che dire poi di quella singolarità dei beati danteschi, che appaiono sotto forma di lumi e splendori moventisi quasi sempre vivacemente in giro? Salvochè per i beati del primo cielo, che si presentano agli occhi dell'attonito poeta come immagini riflesse

1) Parad., III, 88-90.

2) Parad., IV, 28-39.

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