da vetri trasparenti e tersi, oppure da acque nitide e tranquille, nè è detto che si muovano, tutti gli altri si muovono, danzano, ruotano, si aggirano affatto fuor dell'umano. Un sacrilego dileggiatore potrebbe, anzi, mettere in burletta questo modo strano onde in Paradiso si manifestano la letizia e la beatitudine. Eppure noi abbiamo saputo or ora da san Tommaso e da Dionigi Areopagita, che appunto il moto circolare è come la forma onde s'estrinseca la vita contemplativa, e quindi la beatitudine degli spiriti accolti in cielo; il moto circolare è già esso stesso, si potrebbe dire, vita contemplativa e beatitudine, e tanto più intenso e vivo, quanto più queste sono intense e vive. A cominciare dagli spiriti attivi del cielo di Mercurio, andando fino alle gerarchie angeliche del primo mobile e alla rosa dell'empireo, è tutto un fulgore di lumi, che si muovono e volano e girano con sempre maggiore rapidità, con sempre più viva voluttà di moto, si potrebbe dire. A leggere la cantica del Paradiso, come la luce non si può scindere interamente dal canto, così luce e canto si immedesimano coi moti e con le danze. Dalla compenetrazione di queste vibrazioni concentriche escono la vivezza e l'evidenza, quasi sensi 1) Parad., III, 10 sgg. bile, di rappresentazioni pur tanto remote dal sensibile. I verbi raggiare, cantare, torneare, per poco non sono sinonimi nel Paradiso; luce, canto, moto sono come tre concordi modi del linguaggio paradisiaco. La letizia accresce il raggiare delle lumiere, e, insieme, ne produce ed accelera i moti e i concenti. Come da più letizia pinti e tratti Alla fiata quei che vanno a ruota, (Parad., XIV, 19-24). Poi che il tripudio e l'alta festa grande (Parad, XII, 22-24). Si tosto come l'ultima parola La benedetta fiamma per dir tolse, E nel suo giro tutta non si volse Prima che un'altra di cerchio la chiuse, (Parad., XII, 1-6). Ed al nome dell'alto Maccabeo Vidi muoversi un altro roteando, (Parad., XVIII, 40-42). Nè venni prima all'ultima parola, Che del suo mezzo fece il lume centro, Girando sè, come veloce mola (Parad., XXI, 79-81). Il moto, e specialmente il moto circolare è, adunque, al pari del canto, la forma onde si manifesta la vita in cielo; gli spiriti beati hanno, come loro azioni espressive, moti e canti. La luce, d'altra parte, è come la loro veste visibile, anzi addirittura come la per sona loro, come la loro sostanza; 1) sono fatti di contemplazione, di visione di Dio, a dir così, quindi sono luce; moti e canti sono attributi della luce; sono le lumiere, sono i raggi, sono i fulgori che si muovono cantano. e Ma la vita contemplativa implica anche ardore di carità, insegna san Tommaso; ed ecco Dante assegnare un così gran posto alla carità nel Paradiso, e considerare il fiammeggiare degli spiriti, appunto, come effetto di carità; carità verso Dio, per una parte, termine ultimo della contemplazione; per l'altra, ordine supremo a cui tutto è subordinato, e che tutto informa e governa il regno celeste. 1) O ben creato spirito, che a' rai Del nome tuo e della vostra sorte. Ditegli se la luce onde s'infiora (Parad., XIV, 13-15). La nostra carità non serra porte A giusta voglia, se non come quella Li nostri affetti che solo infiammati Essere in caritate è qui necesse. (Parad., III, 37-42, 43-45, 52-54, 77). S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore Non ti maravigliar; chè ciò procede Quanto fia lunga la festa Di paradiso, tanto il nostro amore (Parad., XIV, 37-42). Nei quali versi tutti è la dottrina di Dante. Gli spiriti beati vivono in carità, e la carità viene dalla contemplazione di Dio; la carità è fiamma; di qui la veste di luce onde questi spiriti si ammantano; veste più o meno fulgida, secondo il grado della carità, cioè della contemplazione. In san Bernardo, che è il termine ultimo del gran simbolo filosofico della Commedia, la carità e la contemplazione si adeguano perfettamente e si fondono; nè più sapresti dire se sia dalla contemplazione che viene la carità, o dalla carità la contemplazione. Certo per la sua vivace carità egli, fin dal mondo dei vivi, contemplando gustò di quella pace, 1) cioè della beatitudine celeste: era naturale quindi che Dante gli riservasse il privilegio di fargli assommare il suo cammino, 2) cioè di fargli penetrare il mistero della infinita contemplazione e della carità infinita. 3) Carità di colui che, in questo mondo, 2) Parad., XXXI, 94). (Parad., XXXI, 109-111). 3) S'intende che la carità in Dante è argomento complesso, e noi ne abbiamo toccato qui soltanto incidentalmente. |