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poesia lirica, o di quant' altre mai poesie fossero al mondo inventate, quanto quel solo di Dante. Dunque qual poema è? dirà il censore. Il poema di Daute. Il quale ha saputo con un capacissimo ingegno, dopo tanti stati prima di lui, un' invenzione ritrovare originale, grandissima, darle regola di arte, essere il primo, e dare un nuovo modello a noi, se lo vogliamo conoscere, e per rispetto degli altri poeti stati prima di lui, della latina lingua da lui venerata, quasi per umiltà, (1) chiamarlo Commedia nel frontispizio. Avvedendosi però egli medesimo di vari effetti che facea il suo componimento, or tragedia, or poena, e talvolta poema sacro l'intitolò deutro al corpo dell'opera; la quale incostanza ed incer

caccisti mi fanno l'effetto medesimo; ma non dirò mi fanno l'effetto di cose seipite e antipatiche, bensì: le giudico, mi paiono scipite, mi sono antipatiche, ne sento fistidio.

la com

(1) QUASI PER UMILTÀ. La ragione par presa dall' antico Lenzoni (Difesa della lingua fiorentina e di Dante. Firenze 1556) il quale pensa che bisognandoli dire il poema Danteide o Dantea, non lo facesse per timore forse di non esserne tenuto troppo ambizioso (Giornata 2; ma non coglie nel giusto. Non per umiltà dell'autore, ma per universalità dell' opera il poema è detto Commedia perchè la tragedia usa sempre lo stile alto, e l' Eneide è una tragedia (Inferno XX), la elegia l'infimo, media che di regola usa il mezzano, si può estendere a comprendere gli altri due. La cosa appar chiara dal capo IV del II libro dell'opera de Vulgari Eloquentia, sulla quale molto si questionò nel 1500. volendola di Dante ed a ragione il Trissino ed il Muzio, e negandola il Varchi. E già alcune ragioni buone erano state presentite e come adembrate dal Lenzoni stesso (Giornata 2 poi spiegate non senza vigoria e chiarezza dal Fontanini nella sua Eloquen:a italiana Lib. II° cap. 21, ove tanto il Bettinelli, quanto il Gozzi avrebbero potuto vederle.

tezza (1) nel dargli titolo, molto più mi prova la sua novità ed estraordinaria originalità, e lascio che si azzuffino i pedanti a schernire il frontispizio, e senza anche frontispizio veruno, mi prenderei quel tesoro, o quand' an he non si stampasse altro nella prima facciata, che: Libro di Dante.

Ma quasi che per via d'una ragionevole conghiettura, io vorrei affermare forse, che Dante in suo cuore desse al suo poema un altro titolo diverso da quello che si vede, e che Commedia l'intitolasse per is.uggire l'invidia dei tempi suoi. Imperciocchè, quantunque fosse d' animo piuttosto superbo che no, e volentieri da sè si esaltasse, egli lo fece però sempre con una certa poetica malizia, per celarsi quanto potea; siccome nel canto IV dell' Inferuo, dove intendendo di lodarsi come poeta deguo di stare con Omero, con Virgilio, Orazio, Ovidio e Lucano, nol dice però apertamente, ma con buon garbo:

Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno:
El mio Maestro sorrise d: tanto.
E più d'onore ancora assai mi fenno,
Ch'ei si mi fecer della loro schiera,
Si ch'io fui sesto fra cotanto senno.

E nell' XI del Purgatorio, dove parla della lingua, volendo dire che Guido Cavalcanti meglio e con più suo onore la usava, che Guido Guinicelli, poeta a' suoi

(1) Incostanza ED INCERTEZZA SOno parole non esatte. Dante non è punto incerto se il suo lavoro sia commedia o tragedia: sa benissimo che è l'una e l'altra.

tempi stimato, e finalmente ch' egli con la gloria sua dello scrivere avrebbe superato l'uno e l'altro, non si nomina, ma dice:

Cosi ha tolto l'uno all' altro Guido

La gloria della lingua, e forse è nato
Chi 'uno e l'altro caccerà di nido.

E lo stesso fa in altri luoghi, dove altamente si loda, ma sempre celatamente; di che si vede che, quanto potè, fuggì l'invidia, la quale molto più l'avrebbe lacerato, s' egli medesimo dal principale personaggio del suo poema avesse tratto il titolo del suo poema, come Olissea da Ulisse, ed Eneida da Euea furono tratte. Dico ciò per coughiettura, e quasi giurerei che più volte, essendo Dante il personaggio principale del suo poema, gli cadesse in animo d'intitolarlo Danteide; ma poi per timore nol facesse, ed anzi cercasse tanto nel Convito, quanto nella dedicatoria da lui scritta a Cangrande della Scala, di addurre molte ragioni perchè la intitolasse Commedia, solamente per iscostare gli uomini dal sospetto ch'egli volesse agli eroi dell'antichità pa ̈agouarsi. In verità, che in suo cuore un imitatore di Virgilio, il quale vedea che da Enea, personaggio principale dell'azione da Virgilio inventata, n'era venuta l'Eneide, avrà conosciuto benissimo, che da Dante adoperato in quel viaggio per principale persona, ne usciva naturalmente Danteide (1); ma oltre

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(1) DANTEIDE Poemi che trattino in modo particolare o principalissimo delle gesta di un uomo possono opportunamente

alla gran novità del nome agli orecchi italiani, il timore di esporsi ad una soverchia invidia, e d'essere stimato troppo superbo a credersi un Ulisse, o un Enea, lo fece ricorrere all'astuzia di chiamarlo Commedia. Si vede pure che, quando nomina sè stesso, egli si fa nominare da Beatrice, e chiede quasi scusa d'aver ricordato nel racconto il suo nome:

Dante, perchè Virgilio se ne vada,

Non pianger anche, non piangere ancora,
Che pianger ti convien per altra spada.
Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora
Viene a veder la gente, che ministra
Per gli alti legni, ed a ben far la 'ncuora,
In su la sponda del carro sinistra,
(Quando mi volsi al suon del nome mio,
Che di necessità qui si registra)
Vidi la donna, che pria m' appario.

Purg. Cant. XXX.

Ma tutto ciò, dico, sia detto per conghiettura, e non perchè il titolo aggiunga punto o levi alla bellezza del poema; e così piacesse a Dio, che ai giorui nostri l'arte de' frontispizi non fosse giunta al som mo

intitolarsi da questo, come l'Odissea, l' Eneide ecc.; ma nella Commedia non si tratta veramente di gesta di Dante, bensì di una visione concessa a lui per il bene del genere umano, del quale egli è rappresentante nel poema. Sic hè dal protagonista si sarebbe dovuto intitolare non Danteide, ma piuttosto : L' Umanità. Il fine dell' U. mo, o simili; nè è accettabile questa congettura del Gozzi.

grado di perfezione, e il midollo e la sostanza de' libri perduta (1).

Quello (2) è un poema che ammaestra, che trasporta gli animi per tutti i versi, che dipinge, che scolpisce, che fa parlare la natura medesima, che ha sempre il cuore del poeta in ogni espressione, che ti presenta scene e spettacoli agli occhi, de' maggiori che mai vedessi. Osserva pure il Purgatorio e il Paradiso, e leggi attento: massime il ventitreesimo canto di quest'ultimo, e dimmi se in esse due parti vi è quell'eterna vacuità che il censore deride (3); o piuttosto una galleria di pitture non mai più immaginate da altro poeta; e vestiti di corpo visibile, atteggiato e parlante, idoli e pensieri piuttosto divini che umani?

Nella satira poi qual poeta gli tolse il pregio, che con Giuvenale gareggia di forza, con Orazio di naturalezza e con Aristofane d'invenzione, e forse nella naturalezza delle allegorie l'oltrepassa? Questa parte non l'esaminiamo di più, ognuno la vede, e la conosce; ma solamente dirò cosa forse non avver

(1) Il poema è quel che è, qualunque ne sia il titolo. Pure anche questo vi dev'essere per qualche cosa, e precisamente per dare una prima idea dell' opera; e perciò sono da biasimare quei titoli che non raggiungono quest fine. Un volume intito lato: Penombre, Cadenze, Do Re Mi Fa Sol La, od in altro modo siffatto, chi saprebb mi iadov nare di che trattasse?

(2. QUELLO. cioè la Commedia di Dante.

(3) IL BETTINELLI: Le altre due parti (Purgatorio e Paradiso) ho scorso qua e li prestamente, per tema di perdermi in quell'eterna vacuità (Lettera 3).

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