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sedette il Boccaccio spiegando al popolo la Commedia nella chiesa.

Ma iniziatisi col Petrarca e cresciuti via per il 1400 gli studi classici, si ritornò al culto delle forme antiche; le descrizioni delle cose esteriori fatte con potenza meravigliosa dai greci e dai latini empirono di ammirazione i nostri umanisti; gli ideali antichi parvero perfetti, sicchè fosse buon fatto ricondurre la vita quanto era possibile alla antichità, traendola fuori dall'evo medio. Lo studio della vita interiore e dei concetti intimi delle cose, nel quale era eccellente il nostro medio evo, fu a poco a poco posposto alle industrie ammirevoli che gli antichi aveano usate nel manifestare la vita esteriore ed i fenomeni onde la natura ne circonda; e qual naturale conseguenza, l'evo medio fu giudicato come una età di tenebre e di barbarie. Si fece allora rifiuto della lingua della Commedia e del Decamerone, si moltiplicarono le scuole di greco e di latino, e si chiuse la cattedra di Dante. E fortuna nostra che la Commedia di Dante non è una pittura, se no vi era il caso che le dessero di bianco! I dipinti di Giotto è certo che ebbero tale trattamento.

Quello spirito di classicismo che si era impadronito della nostra coltura fu lodevole in quanto risuscitò i molti pregi che hanno le cose greche e romane; fu eccessivo e perciò biasimevole, in quanto parve non sapere apprezzare altra forma di civiltà che la classica.

Ciò posto, la questione dantesca è inevitabile; e vi sarà chi per giudicare Dante cercherà la pietra

del paragone negli esemplari greci e latini, e chi ne darà giudizio considerandolo in sè, senza pensare agli ideali antichi.

Questo ci può spiegare come fin dal secolo XIV un potente ingegno, pensando a Virgilio, a Catullo, e persino all' oscuro Lucilio, si dolesse che Fiorenza non avesse ancora un poeta !

S'io fossi stato fermo alla spelunca

Là dov' Apollo diventò profeta,
Fiorenza avria fors' oggi il suo poeta

Non pur Verona e Mantua ed Aurunca (1). Esclamazione modesta per riguardo alla classica Africa, che è riconosciuta inferiore ai modelli latini; ma almeno assai strana per riguardo a Dante, che avea levato allora la poesia fiorentina ad altezza degna di ogni paragone. Ecco in pieno secolo XV un geniale erudito, Enea Silvio Piccolomini, che divenne papa Pio II, sentenziare che post Petrarcham emerserunt litterae; e consentirgli molti e molti altri che lungo sarebbe il nominare. Vero è che tali sentenze non furono comuni a tutti, e il Petrarca stesso imitava Dante ne' Trionfi, il Boccaccio ne scriveva con ammirazione la vita; e nel secolo XIV e nel XV Dante aveva numerosi imitatori e commentatori; e il Benivieni, discepolo del Savonarola, dedicava al poeta un canto entusiastico.

Nel secolo XVI, nel quale il rinascimento della coltura classica fu in pieno fiore, non fu tanto vivo

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il culto di Dante, sebbene allora appunto giganteggiasse il Bonarroti, vero Dante delle arti belle, che se ne fece un modello nelle concezioni artistiche e nella dignità della vita. Anch' egli è della gloriosa scuola di fra Girolamo, cioè del grande ammiratore dell' evo medio; ma perciò appunto se Michelangiolo è fra i maggiori del secolo, non può dirsi che pienamente lo rappresenti.

Udiamo il Bembo, la parola del quale, accolta e venerata da tutti i contemporanei, dispensò inappellabilmente la lode ed il biasimo in cose di lettere. Nel dar giudizio di Dante, egli a dir vero è alquanto timido, e induce uno de' suoi interlocutori a dichiarare ad amici intimi che esporrà la sua sentenza confidenzialmente « se dire il vero si dee tra noi, chè non so quello che io mi facessi fuor di qui » (1). Eccola: la Commedia « è un bello e spazioso campo di grano, che sia tutto di avene e di logli e di erbe sterili e dannose mescolato (2). » La moltiplicità degli stili e la varietà della materia non piace a lui, sempre gentile e dato coll' animo all'ameno ed urbano favellare; ed eccolo infatti notare che Dante << sarebbe maggiore se altro che poeta parere agli uomini voluto non avesse nelle sue rime.... e si fosse posto a scrivere di materia meno ampia e meno alta, e quella sempre nel suo mediocre stato avesse... contenuta » (3). Il Petrarca adunque, meno ampio, meno alto, sempre composto e gentilissimo sarà senza contrasto << il maggiore poeta volgare » (4). Il Casa

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nel suo Galateo, ed altri molti seguirono tale opinione << avegnachè (come nota timidamente il Leuzoni) dagli scritti del Bembo indietro fosse Dante universalmente tenuto per primo » (1).

Il Varchi nel suo Ercolano, ove sostiene le ragioni della lingua fiorentina contro il Trissino che la vuole italiana, parla di una farragine di cose, e toccando la questione della superiorità fra Dante e il Petrarca, osa preferire il primo; non però quanto al valore assoluto, chè Dante è buono e il Petrarca è ottimo, ma sì quanto al genere, chè Dante è eroico, ed il Petrarca è lirico; e << dee preferirsi un buon sonatore di violone ad uno eccellente di ribechino » (2). In un altro punto, professando che la lingua fiorentina è superiore alla latina ed alla greca, asserisce che Dante è maggiore poeta che Omero (3). Si sente nelle sue parole un certo calore, ma vere ragioni non ve ne sono, dicendo egli soltanto che « due de' maggiori letterati de' tempi suoi il dicono e l'affermano, e fors' anche Messer Speroni è nella medesima sentenza (4). »

(1) LENZONI.

(Firenze 1556).
(2) VARCHI.

(3) Ivi.

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(4) VARCHI.

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Ercolano.

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Quesito IX.

Quesito IX.

Uno di questi due grandi letterati è certo Lionardo Salviati, che sempre e molto esalta l' Alighieri : Noi abbiamo Dante! Dante, uditori, che è quello stupore e quel miracolo che noi tutti vedemo!» (Orazione in lode della fiorei.tina lingua). « Quest' opera (la Commedia) nel pregio che a poesia si appartiene, non è per nostro credere soverchiata da alcuna, che in qualsivoglia idioma composta fosse

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Siffatte opinioni timide e malferme scandalizzarono alcuni, e sollevarono dispute ardenti fra i letterati del tempo.

Castravilla Rodolfo, con coraggio degno di miglior causa, assali l'opera di Dante con un Discorso nel quale si mostra l' imperfetione della Commedia di Dante contro al dialogo delle lingue del Varchi. Egli tratta la questione di proposito e non per cenni fuggevoli; non ci sia grave quindi il dare un'occhiata alle poche sue pagine.

Dichiara Aristotele ciò che non è favola non essere poema, e poema e favola essere unum et idem: la Commedia di Dante non è favola, dunque non è poema. E che essa non sia favola dimostrasi da ciò che dice Aristotele: che favola è imitazione d'azione; questa manca in Dante, poetando egli di un sogno, sicchè non vi è favola. Il poema. eroico, che Aristotele noma epopeia, è imitazione di eroi, quali gli Achilli, gli Ulissi, gli Enei; ma Dante personaggio principale della Commedia è cittadino privato, così che la Commedia, dato e non concesso che fusse poema, non sarebbe eroico. Nè per autorità di Aristotele, nè per esempio di alcun poeta potrebbe un'azione eroica durare si poco tempo.

giammai

(Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone - Libro II, Cap. 12). L'altro grande letterato forse è il Giambullari, che dedicando a Michelangiolo l' opera di Carlo Lenzoni in difesa della lingua fiorentina e di Dante, da sè riveduta, scrive; « Dante se forse non ha trasceso tutti gli antichi, latini et greci, correndo pur con essi tanto del pari che nessuno gli mette piè innanzi, giųstamente è ammirato e stupito per l'universo,

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