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Preporre alla educazione della gioventù italiana lo studio di Dante è savio provvedimento, perchè da lui non solo si può imparare il bello scrivere, che è cosa grande, ma altresì il giusto e forte pensare e sopratutto l'onesto vivere, che dev'essere il fine supremo della scuola e della società.

La nostra letteratura tutta quanta ha sentito la potenza di Dante, come la greca d'Omero, ed è stata dominata da lui con varia vicenda, finchè ai dì nostri il massimo de' nostri poeti signoreggia presso tutte le colte nazioni, come già il sommo greco signoreggiò la coltura latina, e la sua gloria rifulge di luce che non verrà meno.

Ma non è sempre stato così; ed a noi che possiamo giudicare di Dante secondo moltiplicità di aspetti (perchè il nostro secolo XIX è poderoso per la critica) pare impossibile che per l'addietro uomini, ai quali non mancarono veri meriti, abbiano dato giudizi strani su di lui, negandogli ad esempio il buon gusto nell'arte, la regolarità ne' concepimenti, il pregio della lingua; sicchè a detta del Varchi << alcuni non lo accettassero ne' loro scritti per poeta,

non che per buono poeta » (1). Non può esser caso, nè pazzia; ma costoro (che non sono pochi, nè tutti oscuri) una qualche ragione o dritta o storta di dire tali cose debbono averla avuta. Ciò ne invita a dare uno sguardo alle sommarie vicende della questione dantesca, e non sarà inutile che facciamo insieme sul grave argomento alcune parole.

Non m'è d'uopo di rammentare a giovani studenti come la poesia si distingua dalla prosa, ed abbia quattro generi principali, ciascuno con forme e modi propri, chè queste son cose notissime e rese evidenti fin dai primi studi, in guisa che non solo a primo aspetto si distingua l'epica dalla lirica, dalla drammatica, dalla didascalica, ma altresì si suddistingua l'epica eroica dall'eroicomica, la tragedia dalla commedia e via dicendo. È da notare piuttosto che tali distinzioni e suddistinzioni dominarono pienamente la letteratura dell' antica Grecia. Quel popolo vide così netta la fisionomia di ciascuna cosa da sè, che parve poco curarsi delle loro relazioni reciproche; e come dall'aspetto serio e grave della vita derivò la eroica, la tragedia, ecc., così dall'aspetto leggero e volgare la commedia, l'eroicomica, ecc. Altra è l'Iliade adunque, altra la Batracomiomachia, nè vi è pericolo di confusione. I latini, ai quali non mancò potente e vasta originalità nei pensieri, quanto alle forme non inventarono molto; nè la letteratura latina presenta molta difficoltà ad essere ordinata secondo le categorie greche.

(1) VARCHI.

L' Ercolano.

Quesito IX.

Ma diversamente andò la bisogna nell' età moderna. La vita infatti non è per alcuni individui, o classi di persone eroica, e per altre classi volgare; fatti ampi e complessi possono involgere nei loro andamenti il console e l'ultimo dei plebei; e può il monarca sentire ed esprimere la commedia della vita, come la pescivendola il giorno che la sventura la inalza può essere tragica altamente.

Non già che tutti i moderni escano dalle antiche classificazioni, chè il Tasso ad esempio è sempre eroico, e il Tassoni eroicomico; ma se da questi saliamo all' Ariosto, non sarà mica possibile trovargli debito luogo. E serio o comico l' Orlando? Lo accompagneremo all' Iliade o alla Batracomiomachia? Davvero che egli comprende l'una e l'altra; e chi dice essere l'Orlando opera tragica, dice una parziale verità, come chi dice essere comica: il vero è che l' Orlando è universale. S'è dovuto trovare una denominazione nuova, cioè poema cavalleresco, poichè tratta di cavalieri; ma se anche trattasse di fantaccini la sua originalità sarebbe la stessa: poema cavalleresco sta invece di epica universale.

Le stesse cose appunto si potrebbero dire riguardo al teatro. Chi non saprebbe distinguere da una tragedia a una commedia? Eschilo, Sofocle, Euripide, ciascuno con modi propri, sono i campioni di quella, Aristofane di questa. Seneca tragico, fra i latini si ingegnò di seguire i greci; Plauto, Terenzio attenendosi (specialmente quest' ultimo) a Menandro, esprimono il comico della vita romana. Ma nell' evo medio i Misteri, le Sacre Rappresentazioni, i Maggi,

ai quali tutti finalmente è stato reso il debito onore, comprendono la tragedia e la commedia insieme; e se gli scrittori italiani del pari che i francesi non si curarono di perfezionarne le rozze forme, ben lo fecero gli occidentali. Se l'Alfieri è tragico, e il Goldoni comico, l'antichità non ha nulla da contrapporre ai grandi spagnuoli Lope de Vega e Calderon, nè all' unico Shakspeare; ed i loro lavori vastamente intesi non possono a rigor di termine esser chiamati tragedie, nè commedie, bensì drammi.

E simili cose sarebbero a notare degli altri generi di poesia, ed anche di prosa, essendo indubitato che alcuno de' nostri maggiori scritti prosastici raggiunge l'universalità, quali ad esempio il Decamerone ed i Promessi Sposi.

E se col pensiero nostro saliamo a Dante, non solo vediamo che il suo poema non si aggiusta più nelle precise specie di epica eroica o di comica, di tragedia o di commedia, di poema didascalico o di satira, ma nemmeno nei generi; e se noi chiediamo. a noi stessi se esso sia epico o drammatico, o lirico, o didascalico, non sapremo qual genere escludere e ci sarà forza concludere che sopra ogui altro lavoro dell'arte moderna è universale. E dico dell' arte perchè a questa si deve precipuamente rivolgere il nostro studio, chè si potrebbe dire lo stesso anche della scienza, accolta nel poema dantesco in tutta la sua ampiezza.

Di questo immenso pregio subito si accorsero i contemporanei; lo lodarono, lo esaltarono, e fu istituita in Firenze la prima cattedra dantesca e vi

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