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loro opere Latine, che delle Tosche. però fe' il Petrarca quel sonetto;

Se io avessi pensato, che si care ec.

Per la quale istessa cagione Brunetto Latini Fiorentino scrisse non Toscano, ma Francese il suo Tesoro, aggiungendo un'altra ragione: ciò fu, che la lingua Francesca era intesa da più persone, che la Toscana; di che più a basso si parlerà un'altra volta. Dante adunque fu primo e sommo, che scrivesse in tal lingua sue cose alte, come ne parla il Boccaccio nella sua vita: il quale essendo perciò lodato ed imitato nella locuzione e ne' vocaboli da Gio. Villani, dal Boccaccio, e dal Petrarca, tale viene a essere in questa lingua a farla ricca ed alta di mendica che ella era, quale alla Latina fu Cicerone. Però cessi la quistion, qual sia la lingua volgare al presente, e qual fosse l'antica: perciocchè l'antica povera è fatta ricca dalli autori allegati, e non dal popolo di Toscana, e più onorata che giammai fusse: e per un'altra ragione, la quale io taccio, per aver altro a dire. Non tacerò già che la lingua Toscana e Fiorentina specialmente dopo la rotta di Monteaperti fuggendo i Guelfi in Francia, si fece ricca di vocaboli e locuzioni Franciesche; onde non abbia ora nella plebe della città e nelli scrittori grazia, vocabolo, nè locuzione, che non derivi dalla Franciesca. Però Dante nel far parlare Arnaldo Daniello in sua lingua, non fece male, perciocchè quella lingua era allora comune a' Toscani ed a' Francieschi, o Provenzali, e più

intesa della Toscana. Non fa già parlare Virgilio a Ulisse, nè rispondere Ulisse a Virgilio in lingua Greca, nè Cacciaguida a Dante in lingua Latina, se non quei primi tre versi, come arra di tutto il ragionamento e forse arra de' ragionamenti di tutte l'anime del Purgatorio e del Paradiso. Però dice a lui il Papa dal Flisco :

Scias quod ego fui successor Petri.

Che si possa meschiar senza biasimo il volgar col Latino sia di ciò prova le paradosse di Cicerone, e le epistole ad Atticum, e Lucrezio.

Contra la seconda particola. Costui ignorantissimo non ha letto nella vita di S. Antonio scritta da S. Jeronimo, che S. Antonio cercando di Paolo primo Eremita, vide nel deserto Satiri, e parlò loro; e nelle genealogie de' Dei scritte dal Boccaccio, che 'l corpo di Erice in Sicilia e di Pallante a Roma trovati erano di grandezza gigantea. e nella Bibbia si fa menzion de' giganti, e come nacquero. e forse era cosa ragionevole, che vivendo sì lungamente li uomini, crescessero anche più, che non fa chi vive cento anni.

De' giganti parlano li itinerarii del mondo novo allo stretto di Magagliane. Di Og re di Bafan parla la Bibbia oltre Goliat, e della schiatta di Enachin. Ma lasciando star queste istorie, le quali dovrebbe aver lette chi giudica Dante, legga costui le istorie Gotiche scritte da Giovanni ed Olao Magni Arcive

scovi di Gotia, e legga l'istoria di Dano gramatico. Or mettendo tutto ciò per niente, se non a mostrar la ignoranzia Senese, sia tutto ciò favola. Già si è detto che Dante non vuol lasciar del tutto le favole, scrivendo poeticamente le cose sue guidato da Virgilio: ma non sì, che la poesia intacchi la nostra fede. però la cosa vera, cioè lo 'nferno, il purgatorio, e le pene loro vere può scrivere favoleggiando nel resto, come è del Paradiso terrestro e della qualità del monte, e come il monte si generasse. e perchè imita Virgilio quanto può, però parla di Caron, di Cerbero, di Minos, di Flegia. Di Gerion tricorporeo parla, perchè Virgilio nel principio dello 'nferno dice forma tricorporis umbrae: e Gerion essendo stato morto da Ercole, si può metter per la fraude, perchè Ercole estinguea le cose triste. Però Dante con questa licenzia può mettere in Paradiso l'aquila, la scala, la rosa bianca, la sedia di Arrigo, e tutto ciò che vi mette. Ma vedi bestia Senese. Dice che 'l poema di Dante è sogno; e sì lo biasima, che parli dello impossibile: quasi il sogno non possa esser dello impossibile, ed esser misterioso, quasi furono li due sogni di Faraone interpretati da Josef, e quello di Nabucco interpretato da Daniello; del quale parlarò ora, perchè sognò la statua del veglio di Ida, onde fa Dante che nascano i fiumi infernali. e ciò fa poeticamente quanto ai fiumi, e con misterio quanto alla loro origine. che così come fa che nel Paradiso terrestro sia Lete ed Eunoe, che nascano dal voler di Dio, perchè sono fiumi spiritali, e non ma

teriali, come Eufrate e li altri; così fa nascer li fiumi dello 'nferno spiritali da cose spiritali, qual fu il veglio sognato da Nabucco. Del misterio che vi è per entro, non accade parlar con costui. Ma se costui e li altri pari suoi vani avesse veduto ove Gregorio Nazianzeno poeticamente in tragedia tratta della passion del Signore, con molte bugie in effetto, ma bugie, che se vere fussero, non sarebbero empie; non cianceria la bestia, come egli fa di Dante. Dante sapea se i Centauri furono, o no: e ne parlano anche i pedanti. però perchè Virgilio li nomina, e le Arpie, e li Giganti, li nomina anche egli, ma meglio, che non fa Virgilio: perchè in Inferno dà loro che fare. e de' giganti per mostrarci che favoleggi, dice quello che ne dice Aristotile, ut timeant qui sunt in Tartaro. Ma de' giganti alcuni sono sciolti, alcuni legati: come eziandio Caco Centauro è punito come ladro: di che li altri non sono puniti; ma essi e le Arpie puniscono altrui. Ma perchè non parla la bestia della pena de' sciaurati imaginata da Dante divinamente? per la quale si può comprendere onde sia, che li peccatori in Inferno pregano Dante, che parli di loro e della lor pena.

Che Dante in fatto errasse nel misurar della terra, può stare: ma che 'l misurar della terra sia cosmografia, non è vero: e manco è vero che la certezza della matematica si intenda nel misurar della terra, o nel situar delli pianeti, o nelle teoriche loro, o nella quantità del cielo, nè de' cieli, non è vero. So ben che delli antipodi non se ne credea nulla innanzi li

viaggi, e che molti credeano che 'l mondo non fusse ritondo, nè abitato sotto le zone torride, nè sotto l'equinozio. però quel forse del verso del Petrarca era a lui vero forse, e non modesta certezza. Dello Áriosto non parlo, lasciandone la cura alli Accadedemici, che se 'l facciano leggere, come Omero. Di quel che dice dello istorico, lascio parlare al Guicciardini. Ma del giudicio del poeta non so quel che si dica costui. Però passo alla sua terza particola. Di que' suoi possibili, ed impossibili, e verisimili non so che dica, nè voglia, nè sappia dire a proposito. Questo so io bene, che 'l verisimile è anche dell'oratore; e che questa è risoluta verità, che lo annale è del vero, la istoria e la vita è del degno, e del meraviglioso il poeta.

La terza particola, che vuol che'l poema di Dante sia narrazion d'un sogno, è proprio un sogno. Che se così fusse, molte cose diria costui in vano contra Dante. Dirò adunque che Dante in questo poema imita il suo viaggio fatto al monte della virtù non immediate e per cammin certo, come può fare uno, che non sia abituato nel malfare, come era egli; ma per lungo cammino, cioè per lo 'nferno, e Purgatorio, per le ragioni dette da lui in diversi luoghi del suo poema; vedendo cose, che senza vederle, benchè narrate le fussero, non erano atte a purgarlo da' vizii. Sogno non fu, ma vero in fatto; benchè il Petrarca ed il Boccaccio forse credettero che fusse sogno, onde l'uno a sua imitazione compose i trionfi, e l'altro la Visione amorosa. Dice ben Dante che

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