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quando egli entrò nella selva de' peccati, uscendo fuor della dritta via, era pien di sogno, cioè di vanità senza consiglio e ragione, dormendo in lui allora la bontà del giudicio. Or ciò presupposto, veggiamo come il suo vero viaggio che fece, cioè de' fare chi vuol mondarsi, sia una azione e non più: e come di questo suo viaggio egli con ragione possa aver fatto il poema, ove egli sia persona e poeta. Argomentare che sia più di una azione, perchè per ogni cantica invochi, è una Senesità: perciocchè egli non solamente per ogni cantica invoca, ma invoca molte volte per esse cantiche, ove la cosa ha qualche difficultà, sicchè dubiti senza ajuto di non se ne ispedire. Però invoca nel canto 32. dello 'nferno, nel 29. del Purgatorio, nello ultimo del Paradiso, nel 22. nel 17. Dovea il Senese non provar la multiplicità della azione per la multiplicità delle invocazioni, ma presupponendo una sola azione, dimandar perchè tante volte invocasse Dante. Altrimenti proveria costui, che la Eneida non fusse una, ma due azioni, invocando Virgilio solennemente nel settimo, poichè Enea è in Italia: e proveria che'l suo andare allo 'nferno fusse azione diversa dalle altre della Eneida, perchè nuovamente invoca. Doveva piuttosto costui considerar la diversità delle invocazioni fatte alle Muse istesse, nè biasimar la metafora usata da Dante nel primo canto del Paradiso dello scorticar di Marsia; perchè parlandone invocando, convien parlarne altamente, però più con metafore, che propriamente. e in ciò è bella considerazione, che qui

invoca Apollo vittorioso di Marsia, le Muse vittoriose delle Piche, ed ajutrici di Anfione.

Or essendo il viaggio di Dante una azione sua propria, vediamo se egli ne può fare un poema imitando se stesso in proprio nome. e dico che sì: perciocchè come l'uomo può dipinger se stesso ed esser ritratto, e dipintore, e dipinto; e può medicar se stesso, e conoscer se stesso, così può imitar se stesso. E forse questa è imitazione molto più bella, che non è imitare, dipingere, medicare, e conoscere altrui. E qui dimando, se l'uomo può parlare di se stesso lodandosi, come fa ogni poeta, o accusandosi, come fa chi si confessa, e confessar se medesimo, siccome fa il soliloquio, e come fa il Petrarca in una sua canzone; ed accusarsi e difendersi, e far ciò poeticamente, come fa Dante, mentre è con Virgilio: dimando, se la narrazione che fa Ulisse delli errori suoi ad Alcinoo, e di Enea a Didone, è cosa poetica o no? Non dirà credo pazzamente di no. Se è poetica, dunque parla imitando se stesso, ed introducendo se stesso a parlare. Questa cosa se altri non ha fatto, non è che far non si possa, ma che non si è trovato d'imitar se stesso lodandosi senza biasimo, perchè è male il lodar se medesimo, nè biasimarsi senza laude, il che è cosa impossibile a fare, se non da Cristiano confessandosi peccatore, il che è biasimo; ma essere talmente in grazia di Dio, che si ammendi de' suoi peccati, il che è tanta laude, che fa sparire il biasimo dello esser stato peccatore. e questa imitazione è migliore, che

non è quella del dipingersi. perciocchè se è bello, ed ei si dipinga bello, par che ciò faccia per vanagloria; e se è brutto, e si dipinge brutto, par che in ciò sia pazzo: ma descriversi brutto, e di brutto divenir bello per grazia di Dio, è ben felicità sua, ma non è vanagloria; perchè la gloria si dà a Dio, ed il biasimo a se. Così descrivea se stesso S. Paulo. Dipinge l'uomo se stesso in un pericolo, onde paja impossibile il potersi salvare; e dipingesi esser salvato per grazia di Dio, onde faccia aver di se compassione alla gente: siccome mostra Dante nel Paradiso; ove in principio di canto dice:

Se mai continga che'l poema sacro.

A ciò si dee attender in Dante per chi ne vuol parlare, e non a ciancie sognate. Ma non attende a ciò chi fa e perde sua vita nelle buttighe, con le quali non si dee scusar costui di aver poco considerate le cose dette da lui; perchè impedito da basse cure non si mettea in alte considerazioni. e ciò dico per suo proprio giudicio. Che se Dante non dee usar similitudini basse in cose alte, non dee l'uomo uso a basse cure avere ardimento di giudicare le altrui alte: onde poi prometta altrui di rimoversi dalla sua opinione, solo che gli sia accennato, che ella sia non bona, senza udirne altra ragione, come fa costui nella lettera scritta al Capponi, non ostante che riprenda altrui, perchè si confidi in autorità.

Tale è Dante nel poetar di se stesso, quale è la fe

nice nel generar se medesima. nè si de' biasimar perciò, ma ammirar la natura.

In quanti luoghi Dante mostri chiaro, che veramente andasse per lo viaggio, e non sognasse, saria lungo il contarli. Ma nel primo e secondo canto dello 'nferno, e primo e settimo del Paradiso è chiarissimo. E se dice visione, vuol significar perciò la vera veduta, e non il sogno. Vedi il canto 3. e 14. del Paradiso. Ma un loco nel fin del Paradiso è difficile. Argomentar costui dalla autorità del Castelviedro è una Senesaggine. Dante in molti luoghi si loda, e fa bene. ma nel 2. del Paradiso espressamente si loda bene, e de' farlo; perchè il suo poema quanto al subietto non ha pare. L'alta fantasia di Dante nella fine del Paradiso è il suo alto concetto: il che dice nel canto istesso assai volte; e dice vista ed aspetto, non pur visione; e dice viso, e vidi; nè quel terzetto Quale è colui, che sognando vede ec.

al

fa creder, che la veduta, vista, ed aspetto di Dante sia vision di sogno; anzi simigliando la sua veduta sogno, fa manifesto che la sua veduta è vera, е così simigli il vero al sogno, e non il sogno al sogno, che non l'assimiglia, ma è lo stesso. Dice imaginar, e non sognar nel fin del canto penultimo; e nel canto 24. nel terzetto

E tre fiate intorno di Beatrice,

si vede che fantasia vuol dir concetto, e non sogno. e certo quando parla di fantasia, e di lingua, fanta

sia vuol dir concetto e non sogno, perchè la lingua significa il concetto, come il concetto la cosa. Parere, parve, e parvenza vuol dire apparere e manife

stare.

Quanto alla particola quinta, dico che'l poema di Dante è di una sola azione. Ma questo detto si de' regolare per quello che dice Dante medesimo nel fin del primo canto dello 'nferno, cioè che'l viaggio di Dante parte è necessario, parte volontario. È necessario quello dello 'nferno certo come si legge nel canto 12. dello 'nferno,

Necessità lo 'nduce, e non diletto.

e nel fine del canto 30. del Purgatorio; benchè quivi paja parlar solamente del viaggio allo 'nferno. Ma nel primo dello 'nferno si vede esser congiunti in necessità il Purgatorio e lo 'nferno: altrimenti Dante si sarebbe disperato; e la speranza li viene dal Purgatorio. L'altra parte del suo viaggio, cioè quella del Paradiso, è volontaria. Perciò dice nel canto primo dello 'nferno,

Alle quai poi se tu vorrai salire.

perchè allora, cioè al fin del Purgatorio, l'arbitrio di Dante era libero, sano, e dritto. è dunque un viaggio solo, ed una sola azione tutto 'l suo poema; ma le due parti sotto Virgilio necessarie, la terza sotto Beatrice nel Paradiso volontaria. Perciò, moralmente parlando, bastava a Dante per farlo virtuoso, veder lo 'nferno ed il Purgatorio, racquistando per que

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